CAPITOLO (dal lat. capitulum, diminutivo di caput "capo")
Già Tertulliano e San Girolamo hanno trasportato la voce classica capitulum a significare le divisioni di un libro, dal che è derivato il senso di passo della Sacra Scrittura che si canta durante l'ufficio e di parte della regola di un ordine religioso che i monaci sono obbligati a leggere. Da quest'ultimo uso, attraverso frasi come ire ad capitulum, è sorto l'altro significato della voce: collegio di preti addetti a una chiesa; e adunanza, secondo le prescrizioni della regola, di religiosi o di ordini cavallereschi per trattare degl'interessi della comunità; nonché luogo di tali adunanze.
Il collegio di ecclesiastici è detto: capitolo collegiale o collegiata, se annesso a una chiesa non cattedrale e con soli scopi di culto; capitolo cattedrale, e i suoi componenti sono detti canonici, se è annesso a una chiesa cattedrale e se ha lo scopo di aiutare e supplire il vescovo nel governo della diocesi.
Fin dai primi secoli del cristianesimo il presbyterium, cioè l'insieme del clero addetto alla chiesa vescovile, assisteva il vescovo, ne faceva le veci per gli affari ordinarî o urgenti, se la sede era vacante, e ne eleggeva il successore chiamando talora il popolo e le autorità cittadine a partecipare all'elezione. In molte diocesi, dal sec. IV in poi, seguendo l'esempio di S. Eusebio, di S. Ambrogio e di S. Agostino, vescovo e clero si diedero a condurre vita comune. Ma la vera vita canonica, dei canonici regolari (v. agostiniani), secondo regole quasi monastiche, comincia con la regola dettata nel 760 dal vescovo di Metz Crodegango per il suo clero secolare, sul modello della regola benedettina; un sinodo di Aquisgrana (817) la elaborò ancora ed essa fu applicata estesamente. Il vescovo soleva assegnare al capitolo una porzione (portio cleri) del patrimonio ecclesiastico; fintantoché, al tempo dei Carolingi, ai capitoli, riconosciuti come persone giuridiche, venne attribuita la piena proprietà di tale porzione, che prese il nome di mensa canonicorum. La mensa canonicorum fu poi presto spartita quando si assegnarono senz'altro delle quote di essa ai singoli canonici perché le amministrassero e le godessero personalmente. Questi nuclei patrimoniali, detti prebende canonicali, acquistarono fin dai primi del sec. XIII una personalità giuridica propria con carattere di fondazione, distinta dalla personalità del capitolo che aveva carattere di corporazione. Questa riforma fece sì che i canonici non volessero più saperne di spartire con nuovi colleghi la quota spesso cospicua del patrimonio capitolare loro toccata, onde si chiuse l'organico della maggior parte dei capitoli e si ebbero i cosiddetti capitoli chiusi (capitula clausa, ecclesiae numeratae). Oltre le singole prebende, i canonici, che presenziavano alle quotidiane funzioni, percepivano delle distribuzioni, in danaro o in natura, dette corali o quotidiane, prelevate da un nucleo patrimoniale distinto dalle prebende e dal patrimonio capitolare o massa grande, e detto per ciò massa piccola. Accanto alle prebende si incorporarono ancora nei capitoli nuove fondazioni col nome di benefici minori o cappellanie, derivanti per lo più da lasciti privati, e che, attribuiti nei capitoli chiusi a canonici già prebendati, ne accrebbero notevolmente i redditi. Ma col crescere delle ricchezze decadde la disciplina; tanto che, dopo il sec. XIII, soltanto qualche collegiata conduceva vita canonica, mentre i canonici di quasi tutti i capitoli vivevano come il clero secolare.
La costituzione dei capitoli, quale oggi è sancita dal Codex iuris canonici (can. 391-422), può dirsi sostanzialmente compiuta già nel sec. XIII. Di solito i capitoli si compongono di dignità e di canonici (v.), a cui si assegnano varie funzioni; ma le dignità possono anche non far parte del capitolo in senso stretto. L'istituzione, l'innovazione e la soppressione dei capitoli, cattedrali e collegiali, e la collazione delle dignità, spettano alla Santa Sede; mentre la collazione dei canonicati e dei benefici spetta oggi generalmente al vescovo, udito il capitolo.
Il capitolo cattedrale deve in più assistere il vescovo nelle sue funzioni religiose. Il capitolo, come corporazione autonoma o come senato diocesano, si raduna solennemente nella propria sede, ed è convocato dalle dignità nell'ordine di precedenza nel primo caso, dal vescovo nel secondo. Si richiede di regola la convocazione di tutti i capitolari, e le deliberazioni devono essere prese a maggioranza assoluta dei presenti secondo il Codex iuris canonici, salvo le costituzioni particolari dei singoli capitoli. I rapporti dei capitoli cattedrali col vescovo e con la diocesi variano a seconda che la sede episcopale è piena, vacante o impedita. Nel primo caso il capitolo è tenuto a dare il proprio voto, deliberativo o consultivo, a certi atti di maggiore importanza del governo vescovile. Nel secondo caso il capitolo, mentre fino al sec. XV eleggeva il vescovo, oggi soltanto gli succede nella giurisdizione, salvo per quei diritti che al vescovo spettano in virtù degli ordini sacri, ma deve entro otto giorni nominare un vicario capitolare il quale amministri in vece sua la diocesi. Nel terzo caso, a sede impedita (cioè quando il vescovo è nell'impossibilità di corrispondere con la diocesi, per prigionia, ad esempio), il capitolo succede egualmente al vescovo sino alla nomina del vicario capitolare, salvo che non esista un vicario generale del vescovo, o altro ecclesiastico dal vescovo delegato o la Santa Sede non abbia altrimenti provvisto (c. 429).
In Italia i capitoli cattedrali sono riconosciuti come persone giuridiche, mentre furono soppressi i capitoli collegiali, salvo che in Roma e nelle sedi suburbicarie (leggi 15 agosto 1867, art. 1; 19 giugno 1873, art. 16). Il concordato dell'11 febbraio 1929, pur informandosi a principî opposti a quelli della legislazione anteriore, non ha senz'altro riconosciuto di nuovo la personalità giuridica degli uffici e degli enti ecclesiastici soppressi, e quindi dei capitoli collegiali, ma ha ammesso che possa essere riconosciuta, purché essi rispondano alle esigenze religiose della popolazione e non producano alcun onere finanziario allo stato (Concordato, art. 29, lett. d). Tale riconoscimento dovrà avvenire per mezzo di decreto reale, udito il Consiglio di stato (legge 27 maggio 1929, art. 3).
Bibl.: Barbosa, tractatus de canon et dignitat., Lione 1668; Thomassin, Ancienne et nouvelle discipline de l'Église touchant les bénéfices, Lione 1678; P. I, l. 3, c. 7 segg.; L. A. Muratori, Antiquit. Ital. Medii Aevi, V, Milano 1741, pp. 185-272 (Diss. 62 De Capitulis); Z.B. van Espen, Ius Ecclesiast. univ., V, Venezia 1781, pp. 114-176 (De instit. et off. canonic.), pp. 177-203 (De horis canonicis); Bouix, Tract. de Capit., Parigi 1852; G. Phillips, in Vermischte Schriften, II, Magonza 1856, p. 313 segg.; G. Finazzi, Dei Capitoli cattedrali, Bergamo 1863; P. Schneider, Die bischöfl. Domkap., ihre Entwicklung und recht. Stellung im Organismus der Kirche, Magonza 1892; P. Hinschius, Das Kirchenrecht der Kathol. und Protestanten in Deutschland, II, Berlino 1878, p. 49 segg.; F. Scaduto, Diritto eccl. vigente in Italia, 2ª ed., Torino 1893, pp. 290-324; B. Peluso, I Capitoli delle cattedrali, delle collegiate e le chiese ricettizie, Napoli 1898; J. B. Sägmüller, Lehrbuch des kathol. Kirchenrechts, Friburgo in B. 1914, pp. 447-460; Lesne, in Rev. hist. du droit franç. et étranger, VIII (1929), pp. 242-290.
Nell'architettura monastica per capitolo, ovvero aula capitolare, s'intende una sala destinata alle adunanze della comunità religiosa, per l'istruzione spirituale, per la trattazione di affari, la correzione di pubbliche mancanze, la promulgazione di ordini o simili effetti. L'analogia con quanto si è detto sopra circa il capitolo cattedrale si spiega con la circostanza che spesso le grandi cattedrali sottentrarono in sostanza alle chiese abbaziali nell'edificio stesso, e nelle usanze liturgiche dei monaci che le ufficiavano.
Quanto alla situazione del capitolo, essendo le chiese orientate con la facciata a ponente, e l'abside a levante, lungo il fianco meridionale s'apriva il chiostro quadrilatero, con due lati perpendicolari all'asse, uno occidentale, a filo della facciata o quasi, l'altro orientale che s'innestava nella chiesa verso il coro. Su questo lato era allogato il capitolo, in modo comodissimo per i monaci che processionalmente vi si rendevano uscendo dal coro. L'aula circondata da un sedile murato oppure da stalli, secondo i paesi, prendeva luce dal chiostro mediante due grandi finestre con la porta, talora anche per via d'altre finestre nella parete opposta che guardava a levante. Nelle grandi abbazie di Francia la sala capitolare era quadrata o rettangolare (Fontfroide, Clairvaux, Vézelay), coperta a vòlte, con alcune colonne che ne accoglievano le ricascate. Così similmente in Italia, come tuttora si vede a S. Andrea di Vercelli, nelle abazie cisterciensi di Fossanova, S. Galgano, Chiaravalle della Colomba (Piacenza) ecc., talora con la più felice applicazione della struttura ogivale. Venuta poi questa in sempre maggior dimestichezza, il congenito istinto dei grandi spazî liberi portò i nostri costruttori alle ariose e sfogate aule capitolari di S. Maria Novella a Firenze (c. 1350) e di S. Marco, decorate, com'è noto, di splendide pitture a fresco. L'Inghilterra invece amò sovente la forma centrale, o poligona (Lincoln, Wells, ecc.), o anche rotonda (Worcester), talora con una colonna nel mezzo ove concorrono le costole, ovvero una semplice chiave di vòlta.
Bibl.: E. Martène, De antiquis Ecclesiae ritibus, IV, 2ª ed., Anversa e Milano 1738; Viollet-le-Duc, Dictionn. arch. franç., Parigi 1854-69, I, s. v. Architecture monast.; VIII, s. v. Salle capitulaire; C. Enlart, manuel d'archéol. franç., II, Parigi 1904, p. 30 (minuta enumerazione d'esempî per Francia e Italia); R. de Lasteyrie, l'archit. relig. en France à l'époque gothique, I, Parigi 1926-27, pagina 401 segg.; R. Pastè e F. Arborio Mela, L'abazia di S. Andrea in Vercelli, Vercelli 1907; A. Canestrelli, L'abbazia di San Galgano, Firenze 1896.