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CAPITELLO
È l'elemento sovrapposto alla colonna, all'anta o al muro, o al pilastro, che nel caso della colonna è l'elemento distintivo per eccellenza dell'ordine. Il c. raccorda con l'architrave o il piedritto dell'arco l'elemento architettonico che sormonta, amplia staticamente il piano d'appoggio del fusto e conclude la verticalità con un profilo espanso e spesso ricco di motivi ornamentali. Si ha di conseguenza nel c. una distinzione in due parti: la prima, più alta, corrispondente all'abaco, generalmente più semplice a causa della sua funzione di sostegno, e una seconda, di raccordo, dove l'elemento ornamentale predomina, cercando nel suo sviluppo un accordo armonico con il carattere e le proporzioni dell'elemento architettonico sottostante, in modo di concluderne l'andamento verticale in rapporto allo spirito che informa l'insieme.
(G. Matthiae)
Egitto. - In Egitto può forse non esser felice parlare di "capitello" per indicare quel che in realtà è solo la parte alta della colonna, sentita di regola come un tutto unico. Ma, in pratica, la parola è usata, specie nei casi in cui tale unità sia meno evidente. In genere il c. egiziano consta di elementi vegetali (v. colonna) di vario tipo: bocci di loto, fiori o bocci di papiro, foglie di palma. In alcuni casi è solo un abaco (v.) quadrato, su cui poggia direttamente l'architrave; negli altri casi, invece, esso suole essere sormontato da un dado che in epoca tarda si fa assai più appariscente, ed è spesso decorato con figure di Bes o teste di Ḥatḥōr. Nei templi di questa ultima dea, il c. è costituito da una immagine della testa di lei su cui il dado raffigura la cassa di risonanza del sistro. In epoca tarda si fa frequente l'uso di decorare capitelli campaniformi con motivi vegetali assai complessi, ripetuti in circolo da 8 fino a 32 volte. L'effetto ne è assai ricco; una derivazione dal c. corinzio, che forse sarebbe possibile sostenere per l'età tolemaica, è esclusa dal fatto che l'inizio della serie si trova già in epoca saita (VII-VI sec. a. C.).
(S. Donadoni)
Oriente Anteriore. - L'uso molto limitato della colonna nell'architettura dell'antico Oriente Anteriore, per lo meno fino all'epoca persiana, e il materiale stesso con cui la colonna era costruita, mattoni di argilla o legno poggianti su una base di pietra (v. colonna), non consentirono uno sviluppo del c. paragonabile, per diffusione e ricchezza di forme, a quello che si riscontra nel mondo classico. Sarebbe tuttavia inesatto affermare che l'antico Oriente ignorò completamente tale elemento architettonico, tanto più che proprio in Oriente nacque il tipo del c. a volute, sviluppatosi dal motivo ornamentale della palmetta, sorto nella Siria del II millennio per influsso egiziano, e dall'albero sacro (attestato già nel III millennio presso i Sumeri) nella forma stilizzata che acquistò nell'Assiria dell'inizio del I millennio a. C.
Alla mancanza quasi totale di una documentazione diretta (un capitello di pietra datato all'XI sec. a. C. è stato trovato ad Assur) supplisce la testimonianza di monumenti figurati nei quali compare il c., isolato o insieme alla colonna. In un rilievo del re babilonese Nabū-apaliddin (prima metà IX sec. a. C.) è raffigurato il dio Shamash sotto una specie di padiglione sorretto anteriormente da una colonna; questa presenta alle due estremità (cioè come base e come c.) tre anelli sovrapposti sormontati da una doppia voluta, secondo uno schema molto simile a quello del c. greco di Neandria (VI sec. a. C.). Un rilievo assiro, proveniente da Kuyungik (Ninive) e datato al tempo del re Assurbanipal (668-626 a. C.), presenta una scena paesaggistica dominata da un piccolo tempio in antis: le colonne centrali, poggianti su basi, terminano superiormente in un complesso c. a volute la cui parte inferiore presenta un ingrossamento dovuto probabilmente, da quanto il mediocre stato di conservazione dei rilievo lascia vedere, ai sepali ripiegati verso il basso, analogamente al c. di Neandria e a quello da Tell Ḥalaf sormontato da un'aquila. Nello stesso rilievo sono inoltre da notare i pilastri laterali del tempio che presentano capitelli costituiti da due serie, sovrapposte, di volute, che confermano in tal modo l'origine del c. dalla triplice sovrapposizione di volute, sia della palmetta sia dell'albero sacro. Tra gli altri esempi di raffigurazione di capitelli, ricorderemo infine la serie di avorî, provenienti da Nimrud, Khorsābād e Arslan Taṣ, raffiguranti un volto femminile incorniciato da una finestra, nella parte inferiore della quale è una fila di capitelli a volute con una fila di ovoli (?) al di sotto.
Con queste ultime opere siamo passati dall'ambiente mesopotamico a quello siro-palestinese, caratterizzato da una diretta dipendenza dall'arte egiziana. In Fenicia e in Palestina anche il tipo di c. si avvicina a quello egizio: dai capitelli di bronzo "a forma di giglio" che nel X secolo a. C. Salomone pose in cima alle due colonne del suo tempio e che raggiungevano ben 2 m e mezzo di altezza (I Re, vii, 15-22), a quelli hathorici di Biblo (Louvre) e a quelli raffigurati su un incensiere da Megiddo, i diversi tipi riflettono moduli egiziani. Sulle monete di Biblo coniate al tempo di Elagabalo si vede invece un tempio le cui colonne presentano capitelli con le due serie sovrapposte di volute, come quelli del ricordato rilievo assiro.
(G. Garbini)
Irān. - Non sappiamo quale forma avessero i capitelli delle primitive colonne lignee di Pasargade e di Persepoli all'epoca achemènide; quelli in pietra furono inizialmente molto semplici (a Pasargade e nell'atrio dell'apadāna di Persepoli), ma rapidamente giunsero a forme estremamente complesse, di indubbio effetto decorativo non privo di fasto.
Il c. achemènide, quale lo troviamo a Susa e a Persepoli, consta di varie parti; inferiormente una corolla, dai sepali rivolti verso il basso, richiama il tipo di c. egiziano; la parte centrale, con lo sviluppo in senso verticale di serie di volute, rivela un'originale rielaborazione del motivo della voluta, che si è già trovata nell'Oriente Anteriore; la parte superiore infine, con le monumentali protomi di tori, talvolta androcefali; rappresenta l'innovazione più notevole dell'arte achemènide in questo campo, per aver dato una struttura architettonica ad un motivo (quello degli animali uniti per il dorso) che compare già nella manifestazioni protostoriche dell'arte mesopotamica (v. achemènide, arte, fig. 30).
L'originalità del c. achemènide, che pur doveva i suoi elementi a motivi diversi tratti da varie culture, non si mantenne nel periodo successivo, dominato dagli influssi ellenistici; a Persepoli (Iṣṭakhr) si trovano tuttavia capitelli che, pur riecheggianti il tipo corinzio, si presentano particolari abbastanza da mostrare che la Persia, accogliendo i modelli greci, sapeva rielaborarli secondo una propria sensibilità. I tardi capitelli sassanidi di Bīsutūn, a forma di piramide tronca rovesciata, arieggiano già i pulvini bizantini, specialmente per la decorazione, sulle facce, con motivi floreali e raffigurazioni della dea Anāhitā; ornati floreali compaiono anche nei rilievi a stucco in cui sono rappresentati i capitelli.
(Red.)
India. - Nell'arte indiana, il c. si ispira generalmente, per quanto concerne l'aspetto formale, a modelli occidentali, ellenistici o persiani; indiano è invece il simbolismo che si manifesta attraverso gli elementi decorativi.
Pur nella grande varietà di modelli si possono distinguere due tipi fondamentali di c.; l'uno di ispirazione ellenistica, diffuso specialmente nel Gandhāra, riproduce nelle linee essenziali il c. ionico o quello composito quale si era diffuso nell'ambiente parthico; tra le innovazioni apportate dall'arte indiana è da menzionare l'inserzione di una figura di Buddha o di bodhisattva tra il fogliame; l'altro d'ispirazione iranica, con le corolle nella parte inferiore e le volute verticali in quella mediana, presenta, fin dal periodo Maurya (322-185 a. C.), figure di animali (leoni nel periodo più antico, elefanti in quello più recente) al posto delle protomi achemènidi (notevoli gli esemplari da Sarnath e Pataliputra). In epoca successiva viene inserito una specie di pulvino tra le volute e il gruppo di animali che corona la colonna, onde quest'ultima perde le proporzioni originarie, assumendo un aspetto tozzo e barocco.
(Red.)
Mondo classico. - Nell'età preellenica le colonne dei palazzi cretesi presentano capitelli espansi a forma di cuscino fra due listelli, di un tipo assai semplice che ritorna anche nella colonna posta fra le due leonesse nella porta di Micene. Spetta però alla Grecia dell'età classica l'elaborazione delle forme di c. che rimasero in vigore con poche varianti in tutta l'antichità e che riappariranno dal Rinascimento al neoclassicismo nelle forme e nelle proporzioni già fissate.
Il c. dorico, i cui primi esempî sono quelli dell'Heraion di Olimpia o del tempio di Apollo a Corinto, consta di un echino o cuscinetto a quarto di cerchio espanso e di un abaco a forma di tavoletta; esso è una semplificazione, in senso rigorosamente architettonico, di quello cretese-miceneo e termine di passaggio può considerarsi l'esemplare rinvenuto sull'acropoli di Tirinto che ha l'echino più pronunciato, l'abaco assai grande ed un giro di palmette simili a quelle egizie. L'abaco molto sviluppato e sporgente resta infatti come carattere di arcaismo in vari templi della Magna Grecia. In particolare il giro di foglie si ritrova anche nella cosiddetta "Basilica" di Paestum. In processo di tempo, la linea dell'echino tende ad irrigidirsi fino a divenire una obliqua quasi priva di curva.
Dai resti del tempio di Neandria, come dall'esemplare dell'acropoli di Mitilene si è potuta ricostituire, non senza obiezioni, la forma del c. eolico. Esso consta di un nucleo rivestito in basso da due ordini di foglie, rivolte la superiore in alto e l'inferiore in basso, dai quali spiccano due larghe volute traforate al centro, assai sviluppate e con altre fogliette di palma intermedie. In esso è evidente non solo una certa derivazione da modelli orientali e mesopotamici in particolare, ma anche la prevalenza dell'ornato dell'elemento vegetale, senza la rigorosa stilizzazione architettonica cui fu sottoposto l'ordine dorico.
Da quello eolico si ritiene che abbia tratto origine il c. ionico che si presenta ai suoi inizi con varietà sostanziali di forma sia sulle coste dell'Asia Minore dove probabilmente nacque, sia nell'Attica che lo accolse tendendo a schematizzarlo. Le volute eoliche vi appaiono strette e schematizzate, solcate da un canale che nel raccordo può avere limiti paralleli o l'inferiore lievemente incurvato in basso; fra il collarino e il canale si dispone una fila di ovuli; l'abaco prende la forma di un tronco di piramide rovescia molto sottile, ornato di ovuli (kỳma ionico) o di fogliette cuoriformi (kỳma lesbio). Esemplari arcaici con vive remimscenze eoliche sono stati ritrovati sull'acropoli di Atene, con volute poco serrate, baccellature in luogo degli ovuli e ornati a guisa di greca stilizzata sull'abaco; singolare per lo sviluppo in altezza della fascia con ovuli è il c. della colonna dei Nassî a Delfi. Capitelli perfettamente risolti nella loro forma definitiva offrono l'Heraion di Samo, il Didymaion di Mileto, l'Artemision di Efeso, i Propilei o il tempio di Atena Nìke sull'acropoli ateniese; particolarmente belli per ricchezza e finezza d'intaglio quelli dell'Eretteo.
Del c. corinzio, la tradizione, raccolta anche da Vitruvio, riteneva fosse inventore Kallimachos ed intrecciava sulle origini di esso un pietoso racconto, in quanto lo scultore si sarebbe ispirato ad un cesto chiuso con una tavoletta deposto dalla nutrice sulla tomba di una giovinetta di Corinto ed intorno al quale si sarebbero disposte le foglie di un acanto germogliato per caso. Ed infatti nella sua forma definitiva il c. corinzio consta di un corpo a tronco di cono rovescio ornato da un giro semplice o doppio di foglie d'acanto con i caulicoli angolari che si spingono fin sotto l'abaco ripiegandosi, mentre l'abaco, molto ampio e profilato con una gola ed un listello, si flette al centro di una curva concava sopra il fiorone del centro. L'esemplare più antico che si conosca, anticipato però in certo modo da un c. di pilastro a Megara, è quello al centro della cella del tempio di Apollo a Figalia, dove il giro delle foglie è ancora assai basso rispetto allo sviluppo dei caulicoli. Splendidi esemplari sono quelli del tempio di Atena Alea a Tegea, della thòlos di Epidauro o del monumento coregico di Lisicrate (v. acanto).
Il tempio di Zeus ad Aizanoi in Frigia del sec. I a. C. offre poi il primo esempio finora noto di c. composito, cioè un c. corinzio sul quale vengono inserite le volute ioniche.
Non mancano nella produzione greca anche capitelli con elementi figurati che si inseriscono nel rigido schema dell'ordine, come quelli del Didymaion di Mileto o gli altri del portico di Eleusi con protomi taurine. Le stoài pergamene avevano anche capitelli papiriformi di gusto egittizzante. La varietà tende sempre ad aumentare durante il periodo ellenistico, ed ornati di palmette si trovano anche sui capitelli dei pilastri del Didymaion già ricordato.
Qualche rapporto con il c. eolico ha quello cipriota a palmette con fiori di giglio e doppie volute ripiegate in basso e in alto, affine in questo particolare agli esemplari persiani.
Presso gli Etruschi si trovano le forme più varie; il c. arcaico egizio a fascio di papiro (tomba di Casal Marittimo), quello dorico (tomba di Bomarzo), l'eolico (applicato anche a pilastri: Tomba dei Rilievi), a semplice sguscio fra listelli (Tomba dell'Alcova a Cerveteri) o con doppie volute a palmetta simili a quelle dei capitelli ciprioti (Tomba dei Capitelli a Cerveteri).
Complessa è l'origine del c. tuscanico, che è in sostanza una sottospecie del dorico applicato su un fusto non scanalato, con echino rigonfio e schiacciato ed alto abaco; in tal senso si riallaccia alle forme arcaiche del dorico. Esemplari nell'ambito dell'architettura greca ne sono offerti dal cosiddetto tempio di Demetra a Paestum o in raffigurazioni vascolari, come il vaso François del Museo Arch. di Firenze. Altri esemplari è stato possibile ricavarne dall'acropoli di Marzabotto o dal tumulo vulcente detto la Cucumella, cui è da aggiungere anche un esempio di Pompei.
L'architettura romana accolse integralmente gli ordini greci e con essi i diversi tipi di c., preferendo dapprima il dorico e lo ionico, ma poi polarizzando il suo interesse esclusivamente sul corinzio ed il composito che, arricchiti di vari ordini di fogliami, soddisfacevano in pieno il gusto decorativo del tempo. Anche l'esecuzione assume un diverso carattere, perché all'intaglio nitido e minuzioso della scultura greca si sostituisce una fattura più schematica e sommaria con modanature semplificate, fogliame d'acanto ora molle, ora spinoso in vista dei diversi effetti decorativi, spesso con l'inserzione di elementi figurati come nell'esemplare delle Terme di Caracalla. Di particolare interesse la modificazione introdotta nel composito in età flavia, con foglie carnose e quasi prive di nervature. Assai diffuso pure l'uso del c. tuscanico che si sostituisce di regola a quello dorico. A modificare profondamente il senso greco delle proporzioni contribuì l'adozione dei capitelli per le semicolonne addossate che, dovendo negli ordini sovrapposti adattarsi all'altezza dei piani, determinarono, come nei templi di dimensioni gigantesche, un maggiore sviluppo in altezza dei capitelli corinzi e compositi.
Caratteristica del c. nel periodo paleocristiano è lo sviluppo di quel processo di stilizzazione iniziatosi già nel corso del sec. II d. C., con accentuazione dell'uso del trapano e delle forti ombreggiature, per cui la preferenza fu data all'acanto spinoso, specie in esemplari dell'Africa settentrionale, della Siria e della Palestina. Accanto a capitelli di grande esuberanza decorativa, come quelli di Gemila, di Gerasa, di Mshatta, di Betlemme, altri preludono, nel contrasto fra bianco e nero, alle stilizzazioni di gusto copto. Contemporaneamente anche a Roma si verificò una disorganizzazione interna del c. classico nella forma e nelle proporzioni delle volute ioniche (S. Stefano Rotondo), metamorfosi dell'abaco in pulvino, enorme sviluppo delle volute angolari lisce a guisa di rocchetto (S. Vitale) accanto ad altri come quelli di S. Sabina eseguiti con tale cura da essere facilmente scambiati per opere classiche.
(G. Matthiae)
Bibl.: U. Tarchi, L'architettura egiziana, Milano 1923; Jéquier, Manuel d'archéologie ég. Les éléments de l'architecture, Parigi 1924, p. 167 ss. - Perrot-Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, I e II; C. Bezold, Ninive und Babylon, Lipsia 1926; W. Andrae, Das Gotteshaus und die Urformen des Bauens im alten Orient, Berlino 1930; R. Naumann, in Jahrbuch für Kleinasiatische Forschung, II, 1953, pp. 246-261; H. Frankfort, The Art and Architecture of the Ancient Orient, Harmondsworth 1954; F. Krischen, Weltwunder der Baukunst in Babylonien und Jonien, Tubinga 1956; A Survey of Persian Art, I, Londra 1938; R. Ghirshman, Iran, Harmondsworth 1954; E. Meyer, in Mitteilungen der Deutsch-Orient Gesellschaft, 80, 1943. - B. Rowland, The Art and Architecture of India2, Harmondsworth 1956. - Sui capitelli greci e romani la bibl. fondamentale è citata in: W. B. Dinsmoor The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950; A. W. Lawrence, Greek Architecture, Harmondsworth 1957; H. Kähler, Die römischen Kapitelle des Rheingebietes, Berlino 1939; V. Scrinari, I capitelli romani di Aquileia, Aquileia 1952; id., I capitelli romani della Venezia Giulia e dell'Istria, Roma 1956.
(S. Donadoni - G. Garbini - G. Matthiae)