CANTO, Canzio Bruno
Nacque a Padova il 19 giugno 1885 da Giuseppe e da Caterina Botacin.
Figlio del proprietario di una piccola azienda tessile, il cui nome figurava tra i partecipanti alle esposizioni industriali di Torino (1890) e di Genova (1892), si diplomò ragioniere, prima di iscriversi alla "Bocconi" di Milano, dove nel 1907 conseguì contemporaneamente la laurea in scienze economiche e commerciali e il diploma presso la Scuola superiore di tessitura, gestita dalla Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri.
La sua tesi di laurea, L'industria cotoniera italiana, pubblicata prima a puntate sulla rivista Industria tessile e tintoria (1907-1908) e quindi in opuscolo (Milano 1908), dedicata al rettore della "Bocconi", Leopoldo Sabbatini, può considerarsi una sorta di breviario dell'industriale tessile del primo Novecento.
Il C. vi affrontava tutti i problemi (materie prime, energia, macchine e tecnologie) che impedivano all'industria cotoniera italiana di essere concorrenziale sul mercato internazionale. Più in particolare si soffermava sulla questione che più lo ossessionerà per tutta la vita: il problema operaio con i suoi riflessi sui costi unitari dei prodotto finito. Nel confronto che egli stabiliva tra l'operaio inglese e quello italiano, questo aveva la peggio in tutti i campi: non aveva "dei suoi obblighi il rigido concetto che se ne forma quello inglese"; mostrava scarso attaccamento al lavoro; insensibile agli incentivi economici ("preferendo egli talvolta rinunciare al maggior guadagno pur di non sobbarcarsi ad un lavoro più intensivo"); le donne incapaci di trascorrere una intera esistenza in fabbrica (come quelle inglesi) e pronte a fuggirne appena sposate; tutti, maschi e femmine, smaniosi di scioperare (il fenomeno degli scioperi aveva raggiunto negli ultimi anni un carattere di tale morbosità da indurre l'industriale a calcolare i danni da essi provocati "fra gli elementi ordinari di spesa"). E come se tutto questo non fosse bastato, si era aggiunto negli ultimi anni anche il governo con le limitazioni del lavoro notturno, che avevano obbligato gli industriali a creare due squadre per la notte, accrescendo così "il coefficiente carico di una medesima quantità di macchinario" (pp. 13-14 e 21).
Con questa filosofia il C. fu spedito subito dal rettore della "Bocconi" a Roberto Wenner, che gli aveva fatto richiesta di un giovane laureato in grado di fornirgli valida collaborazione. Il Wenner, discendente di una famiglia svizzera della città di San Gallo, che con altre casate svizzere e tedesche aveva creato l'industria cotoniera meridionale (localizzata soprattutto in provincia di Salerno), era allora titolare di una società in nome collettivo, la Roberto Wenner & C., con sede in Napoli e stabilimenti a Scafati e Castellammare di Stabia. La collaborazione con il C. coincise anche con una grande espansione della sua azienda e con la scalata a due grossi complessi cotonieri sorti nella zona orientale di Napoli (Poggioreale) in virtù delle agevolazioni garantite dalla legge speciale n. 351, 8 luglio 1904 (il Cotonificio nazionale, già Ligure napoletana di filatura e tessitura, e le Industrie tessili napoletane). Il 7 genn. 1913, riunendo le sue aziende di Scafati, di Castellammare di Stabia e di Napoli (solo però lo stabilimento del Cotonificio nazionale) egli fondò la società per azioni Manifatture cotoniere meridionali (MCM) Roberto Wenner & C. Dopo esserne stato nominato procuratore, il C. fu ammesso dal Wenner nel consiglio di amministrazione di tale società. La legislazione varata dal governo italiano durante la prima guerra mondiale già aveva messo in difficoltà i soci tedeschi dei Cotonifici riuniti di Salerno (sorti il 25 maggio 1916 dalla confluenza di due accomandite - la Schlaepfer Wenner & C. e la Aselmeyer & C. con stabilimenti a Fratte di Salerno, Nocera Inferiore, Angri e, dal 1917, Piedimonte d'Alife), costringendoli ad abbandonare l'Italia. Il decreto luogotenenziale 24 marzo 1918, n. 414 estendeva le norme in vigore contro le aziende appartenenti a sudditi di stati nemici anche "a quelle esercitate da sudditi italiani e di Stati alleati o neutrali" aventi rapporti coi nemico, fornendo ad "alcuni intriganti" l'occasione per denunciare gli svizzeri come rei di alto tradimento per commercio con il nemico (G. Wenner, L'industria tessile salernitana, Salerno 1953, p. 59). Già discriminati per l'esclusione dal requisito della "ausiliarietà", impauriti dalle denunce e vedendo un loro socio (Max von Orelli) in carcere, svizzeri e tedeschi cedettero alle pressioni di finanzieri d'assalto italiani, vendendo tutte le loro partecipazioni azionarie alla Banca italiana di sconto. Il ruolo del C. in tutta l'operazione non dovette essere secondario, perché nelle assemblee straordinarie delle società del gruppo (in particolare delle MCM Roberto Wenner & C., delle Industrie tessili napoletane, del Cotonificio di Spoleto, della Società per l'incremento della cotonicultura nell'Italia meridionale) tenute a Napoli tra il 15 e il 16 maggio 1918, assunse una posizione di comando (di direttore generale e di amministratore delegato) di tutte le dette società, in particolare delle MCM a cui fu tolta la denominazione Roberto Wenner & C.
Ma l'azione del C. in questi anni non si limitò a ciò: la favorevole congiuntura creata dalla guerra, le manovre finanziarie spregiudicate della Banca italiana di sconto e del suo amministratore delegato Angelo Pogliani, di cui egli era il rappresentante di fiducia a Napoli, gli consentirono di mettere a punto un ricco programma di iniziative, che spaziavano dall'industria aeronautica e bancaria al settore assicurativo ed immobiliare fino alla stampa specializzata e quotidiana. Il 25 luglio 1917 con Carlo Lefebvre ed altri fondò le Industrie aviatorie meridionali per la "fabbricazione e riparazione di apparecchi di aviazione e motori per detti nonché l'esercizio di trasporti aerei di posta, passeggeri e merci", di cui assunse la presidenza. A reclamizzare il programma ambizioso di tale industria (tra l'altro, la costruzione di un aeromobile per il collegamento commerciale senza scalo tra l'Europa e l'America) egli lanciò, a partire dal gennaio 1918, il mensile La Via azzurra. Nel novembre del 1917 partecipò alla costituzione della Banca dell'Italia meridionale che, nel 1923 e dopo l'ingresso del finanziere italo-americano Amedeo P. Giannini, diventerà Banca d'America e d'Italia. Il 12 maggio 1918 costituì, con una folta schiera di uomini d'affari e di società, l'anonima Compagnia meridionale di assicurazioni, "al fine di integrare lo sviluppo industriale, specialmente nel Mezzogiorno, e di concorrere alla nazionalizzazione della industria assicurativa" riuscendovi subito eletto amministratore. Fu nominato amministratore anche della Società acquisti immobiliari, costituita il 24 maggio 1918, nella quale figurava come sindaco un suo uomo di fiducia, l'avvocato Diego Bellacosa (Il Mezzogiorno, 26 maggio 1918). Coronò questo febbrile attivismo con la fondazione del quotidiano Il Mezzogiorno, apparso per la prima volta in edicola il 15 maggio 1918, in singolare concomitanza con assemblea straordinaria delle MCM, che sanciva la conquista ad opera dei "capitali nazionali" dei cotonifici posseduti dagli "stranieri".
Il giornale poteva considerarsi un organo delle MCM nella misura in cui esse si identificavano col C., ma in realtà era il portavoce personale del C., il quale ne era e rimarrà unico proprietario fino al novembre 1925 (Il Mezzogiorno, 18-19 nov. 1925). Il programma, con cui si presentava al pubblico, se da una parte faceva professioni di fede nittiane (essendo il Nitti il principale fautore della penetrazione nel Mezzogiorno di un moderno capitalismo industriale), dall'altra aderiva in pieno alla filosofia imprenditoriale di quegli anni, che si esprimeva in un produttivismo ad oltranza e nella valorizzazione delle competenze tecniche e professionali. Non alieno dallo sposare alcuni slogans demagogici del momento ("alleanza tra capitale e lavoro", "partecipazione degli operai alle imprese") il giornale verrà affidato ad una direzione democratico-nittiana (direttore Floriano Del Secolo).
Convinto che la dotazione di vie rapide di comunicazione fosse un fattore importante per l'inserimento del Mezzogiorno nel mercato mondiale, il C. fu nel 1925 fra i promotori della società anonima Autostrade meridionali. Egli sembrava lanciato verso una ascesa irresistibile, quando sul suo cammino sopraggiunsero ostacoli che gli impedirono quel successo a cui aspirava. Lo smantellamento della Mobilitazione industriale sottrasse a lui, come agli altri industriali, quella discrezionalità (se non arbitrarietà) nell'utilizzo della forza-lavoro, ch'era un tratto tipico del suo rapporto con le maestranze. Alle difficoltà del mercato interno e internazionale, che stentava ad assorbire le eccedenze produttive, si assommavano quelle finanziarie derivanti dalla riunione nel portafoglio della Banca italiana di sconto non solo delle azioni delle società già ricordate, ma anche di consistenti partecipazioni della Rinascente e dell'Ente trasporto cotoni. Tali difficoltà non vennero alla luce fin quando fu possibile pagare sottocosto gli operai delle aziende del gruppo e varare aumenti di capitale al limite della regolarità. Già, però, il concordato cotoniero nazionale, sottoscritto tra le parti a Milano il 7 apr. 1920, abolendo le discriminazioni salariali, metteva in evidenza il disagio dell'azienda ad affrontare quella nuova situazione, perché dal suo tentativo di dilazionare l'applicazione del concordato scaturì una delle più dure agitazioni dei tessili del gruppo con uno sciopero di quasi tre mesi (dal giugno all'agosto del 1920), cui si rispose con la solita intransigenza, sostenuta dalla forza pubblica, che costrinse alla resa incondizionata gli operai. Nonostante la vittoria ottenuta, questo sciopero rimase nella memoria del C. come uno degli episodi più nefasti nella storia delle MCM e una delle cause della sua successiva crisi (Archivio di gabinetto della Prefettura di Napoli, 1925-28, VI 5/137, promemoria della direzione delle MCM in data 28 sett. 1926). La situazione si aggravò con la messa in moratoria (dicembre 1921) ed il successivo fallimento della Banca italiana di sconto, che costrinse il C. a trovare nuovi soci (soprattutto l'israelita Giorgio Ascarelli), a rivolgersi ad altre banche per i bisogni più urgenti del gruppo, nonché a tentare la carta degli aumenti di capitale e dei prestiti obbligazionari.
All'inizio del 1923, avvalendosi dei poteri che deteneva all'interno del gruppo e della fiducia che riponevano in lui gli azionisti di minoranza (G. Brusadelli e G. Ascarelli), preparò un ambizioso piano di ristrutturazione aziendale, i cui punti qualificanti erano: l'introduzione di una nuova "organizzazione scientifica del lavoro"; il rinnovamento dei macchinari e il ricorso a nuove fonti di energia (il processo di ammodernamento degli impianti era iniziato già dal 1919); "la concentrazione in ciascuna manifattura di una fase specifica del processo di fabbricazione" (De Benedetti, Napoli tra le due guerre, p. 790).
II piano per il momento non preoccupò gli amministratori, anche se esponeva le MCM ad un forte indebitamento bancario, ma suscitò le più vive apprensioni fra i dipendenti, cui si prospettavano massicci licenziamenti ed una intensificazione dei tempi di lavoro. Il C. riteneva di poter superare l'opposizione operaia (che fu una costante nella storia delle MCM) con il ricorso al sindacalismo fascista, che egli era stato uno dei primi industriali napoletani a finanziare e a creare, nonostante la linea nittiana del Mezzogiorno. I sindacalisti fascisti, invece, premuti dalla massa operaia non solo dichiararono pubblicamente la loro ostilità al piano, ma ne denunciarono i risvolti drammatici per gli operai sulla stampa napoletana, che politicamente forse era più a destra dei Mezzogiorno. Nel frangente il C. cercò di giocare d'abilità, facendo venire a Napoli, come mediatore nella vertenza che lo opponeva ai sindacati fascisti, Giovanni Preziosi. Egli fece accreditare la voce che fosse inviato da Mussolini, mentre era stato l'economista Maffeo Pantaleoni, noto fautore della "libertà" delle aziende ed estimatore del Preziosi, a spedirlo a Napoli su sollecitazione molto discreta dello stesso Canto. In effetti la presenza attiva del Preziosi fu determinante nella stipula di un concordato di sostanziale approvazione del piano aziendale, che fu firmato, sia pure con riluttanza, dai sindacalisti fascisti (estate 1923).
L'affidamento al Preziosi della direzione del Mezzogiorno, resa pubblica sul numero del giornale del 19-20 ag. 1923, in singolare coincidenza con il ruolo svolto dal personaggio nel conflitto aziendale, fu daipiù interpretato come uno scambio di favori. Ancora più significativa la designazione di Maffeo Pantaleoni a presidente della neocostituita società anonima di gestione del giornale, annunziata sullo stesso numero, che rendeva noto il cambiamento di direzione e confermava al tempo stesso la totale appartenenza del quotidiano al Canto. Le dimissioni, cui furono costretti sia i redattori filonittiani sia il direttore F. Del Secolo, crearono attorno al C. un clima di impopolarità, che si accrebbe quando il Preziosi, oggetto di molte diffidenze negli ambienti fascisti, prese ad appoggiare il dissidentismo di "sinistra" di A. Padovani. Il fatto però più paradossale, che scaturiva da questo mutamento di direzione del Mezzogiorno, era il declino politico del C. in concomitanza con il suo sforzo di dare una impronta più marcatamente fascista al giornale di sua proprietà.
Prima che sopraggiungesse il suo declino economico, egli ribadì nel 1 congresso per lo sviluppo economico dei Mezzogiorno (Napoli, 28 settembre-1° ottobre 1925) i temi della sua filosofia imprenditoriale, di cui alcuni sembravano mutuati dalla sua lunga permanenza a Napoli (agevolazioni fiscali da parte dei governo e facilitazioni creditizie da parte delle banche), altri riprendevano motivi tradizionali a lui cari (per un più completo addomesticamento degli operai meridionali al lavoro di fabbrica chiedeva "un'opera educativa tra le masse" dei sindacati fascisti e il divieto "di qualsiasi agitazione di parte operaia": Atti…, Napoli 1926, p. 393).
Complesse vicende societarie per tutta la seconda metà degli anni Venti minarono alla base il processo di consolidamento delle MCM. Mentre l'azienda a causa delle profonde trasformazioni avviate nel 1919 e nel 1923 attraversava una fase di estrema fragilità, verso la fine del 1924 alcuni azionisti di minoranza (il lombardo Brusadelli e il napoletano Ascarelli), con il sostegno giornalistico dei Mattino degli Scarfoglio, tentarono la scalata borsistica per l'acquisizione del pacchetto di controllo. Il C., che non disponeva di mezzi per respingere l'assalto, fece deliberare dal consiglio di amministrazione un aumento di capitale alla pari da 80 a 100 milioni. Le modalità di esecuzione prevedevano la costituzione di un sindacato di collocamento, il quale, pur senza negare agli azionisti la facoltà di opzione, differiva di fatto l'esercizio relativo di voto sulle azioni nuove per un periodo fino a cinque anni, conferendo viceversa tale diritto al sindacato stesso e cioè al gruppo di controllo. In tal modo gli scalatori vedevano vanificato il loro tentativo, giacché, rifiutando di sottoscrivere l'aumento, riducevano la percentuale delle azioni rastrellate, e, partecipando, avrebbero addirittura finito per favorire il C., gratificandolo di denaro fresco e diritti di voto delle azioni nuove. In tale contesto ai vari Brusadelli e Ascarelli non restò che offrire al C. tutte le azioni acquistate e uscire di scena. Questi a sua volta fu costretto ad acquistarle, sottraendo liquidità all'azienda e indebitandosi pesantemente onde evitare un tracollo dei titolo in borsa.
Nel frattempo la politica di rivalutazione della lira cominciata nell'estate del 1926 trovò le MCM con debiti esteri per oltre go milioni. Il sopraggiunto ribasso del prezzo dei cotone indebolì ulteriormente la società. Il C. chiese aiuto a Mussolini, il quale dopo il parere favorevole delle autorità locali (l'alto commissario M. Castelli e il commissario straordinario dei sindacati fascisti L. Lojacono), autorizzò l'estensione delle linee di credito delle MCM presso il Banco di Napoli. Le perdite maturate nel corso di quell'anno non figurarono neppure in bilancio, poiché il C., grazie ad una perizia di un tecnico del valore di Vittorio Olcese, propose una discutibile rivalutazione degli impianti di oltre 35 milioni.
Il C. proseguì la sua intensa attività pubblica, al Congresso internazionale sull'organizzazione scientifica del lavoro (Roma 5-8 sett. 1927) illustrò l'organizzazione del lavoro nello stabilimento di Angri, vantando i risultati ottenuti attraverso la costanza dei lavoro, la selezione operaia e soprattutto "la tranquillità sindacale" (Archivio del Gabinetto della Prefettura di Napoli, 1925-1928, VI-5/177). Era il tempo in cui l'imprenditore padovano affermava che i suoi operai "facevano più fatica a studiare il modo di non lavorare senza essere puniti, di quella che avrebbero fatto lavorando veramente" (Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Cart. ord., fasc. 149874: da un discorso in data 9 apr. 1928).
Nel 1927 e nel 1928 la situazione non migliorò. L'azienda, non potendo far fronte ai debiti bancari che erano cresciuti, operò con manovre sul capitale, l'ultima delle quali alla fine del 1928 si concluse, dopo complesse trattative con il Banco di Napoli, con l'impegno da parte del C. di accollarsi personalmente gran parte del capitale inoptato. Ma anche questa nuova sistemazione non durò a lungo. Di fronte a un disavanzo di oltre 20 milioni quale risultato del bilancio 1929, il C. fu costretto a dimettersi dalla carica di amministratore delegato il 14 febbr. 1930, mentre conservava quella di direttore generale. Tenacemente egli cercò di allontanare qualunque ipotesi che prevedesse un suo distacco dalle MCM.
La questione tornò nuovamente sul tavolo di Mussolini, deciso a trovare una soluzione definitiva. A questo scopo un ruolo molto importante ebbe l'industriale napoletano Biagio Borriello, che proprio in quei mesi (e molto meno in seguito) godeva della fiducia del presidente del Consiglio. Non è difficile immaginare che il salvataggio del C., concorrente del Borriello, fosse in contrasto con il disegno egemonico di quest'ultimo, che, tra l'altro, sembrava godere dell'appoggio del direttore generale del Banco di Napoli G. Frignani. D'altra parte la posizione espositoria delle MCM nei confronti del Banco di Napoli era tale che ormai l'azienda poteva dirsi di fatto di proprietà dell'Istituto di credito. Mussolini finì quindi per cedere alle insistenze dei suoi consiglieri napoletani e fu persuaso ad affidare la ristrutturazione delle MCM a Giuseppe Paratore, i cui legami, anche economici, col Borriello non erano un mistero. Il Borriello assunse la carica di consigliere d'amministrazione e, successivamente, di sindaco. Il C. restava nell'azienda in posizione subordinata, nella qualità di direttore generale. Dopo qualche mese, tuttavia, la situazione non appariva più sostenibile, anche per le ricorrenti critiche che il C. andava muovendo al Paratore, in modo che questi, nel novembre del 1930 decise il licenziamento del direttore generale, motivando il provvedimento con la necessità di ridurre i costi di gestione.
Il C. lasciava Napoli e le MCM assai ridimensionato nel patrimonio e nel ruolo sociale. In una lettera scritta a Mussolini nell'ottobre del 1931 chiese invano che fosse rispettato un impegno morale assunto l'anno prima perché gli si trovasse una "sistemazione decente". Effettuò alcuni viaggi all'estero per aggiornarsi sull'evoluzione dell'organizzazione del lavoro nelle industrie cotoniere più avanzate e continuò con ostinazione la sua battaglia contro il Paratore, grazie anche al sostegno giornalistico di qualche vecchio amico.
Nel 1934 fondò un piccolo cotonificio a Marghera, che presto sarà rilevato dal potente gruppo finanziario veneto facente capo a Volpi, Cini e Gaggia. Divenuto uno dei manager di punta del gruppo nel ramo tessile, già dal 1936 fu messo a capo, in qualità di amministratore delegato, del Cotonificio veneziano (3500 operai). Successivamente, nell'agosto del 1937 fu nominato presidente e direttore generale degli Stabilimenti tessili italiani (3500 operai), azienda che per iniziativa dello stesso C. era stata rilevata dall'IRI.
Ma la partita con Napoli non si era ancora chiusa. Nell'ottobre del 1937 il C., assai preoccupato perché la Corte di cassazione stava per emettere la sentenza definitiva circa una vertenza con il Banco di Napoli che si andava trascinando da oltre sei anni, chiese ancora una volta l'intervento di Mussolini.
In effetti nel giugno del 1931, quando orinai il C. aveva abbandonato l'azienda da quasi un anno, il Banco di Napoli, probabilmente dietro sollecitazione dei Paratore, aveva intentato causa per il recupero del credito concesso all'ex amministratore delegato in occasione della sistemazione ottenuta con l'aumento di capitale del 1928. Il C. aveva risposto nel gennaio del 1932 con una azione presso la Magistratura dei lavoro contro il licenziamento del 1930. Dopo alcune sentenze, tutte sfavorevoli al C., questi era stato condannato a pagare al Banco di Napoli la somma di 8 milioni. Di fronte all'ennesimo appello, le due cause erano state infine riunite per essere sottoposte all'estremo giudizio della Corte di cassazione.
In realtà, tra la fine del 1937 e il 1938, erano venuti meno ormai i motivi che avevano causato la lunga controversia, ma Mussolini, che non aveva mai avuto il C. in grande simpatia, si mostrava poco incline ad un intervento. Solo in seguito alle pressioni del Volpi e dei Cini accettò che un esperto del valore di Alberto Beneduce esprimesse un parere sulla complicata vicenda, parere che fu sostanzialmente favorevole al C. (Memoriale Beneduce, in Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del Duce, Cart. ord., fasc. 149874).
Mussolini, tuttavia, non volle assumere impegni diretti e solo dopo alcuni mesi e dietro pressione del senatore Alfredo Felici, che il C. aveva posto a capo del suo collegio di difesa, espresse parere favorevole per una eventuale transazione con il Banco di Napoli. Ma intanto la Cassazione aveva emesso la sentenza che, in definitiva, poneva fine ad ogni contrasto adottando quella soluzione equa auspicata qualche mese prima dal Beneduce.
Concluso il periodo bellico, il C. non ebbe alcuna voce né alla guida degli Stabilimenti tessili italiani, nella normalizzazione del dopoguerra in seno ad organismi industriali quali la Confindustria ci l'Istituto cotoniero italiano, né nell'Associazione nazionale dei cavalieri del lavoro (in cui era entrato giovanissimo nel 1921). Lo stesso settore cotoniero, del resto, attraversò agli inizi degli anni Cinquanta una lunga e gravissima crisi, nella quale ancora si versava quando improvvisamente, il 20 febbr. del 1957, nei pressi di Mendrisio (Svizzera), il C. fu coinvolto con il fratello Gino in un incidente automobilistico dal quale, per le ferite riportate, non riuscì a riprendersi. Il C. morì a Mendrisio il 24 febbr. 1957.
N. De Ianni
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, 138537: Stabilimenti tessili italiani; 149875: Canto Bruno; 151433: Industria cotoniera; ibid., Carteggio riservato, busta 77, fasc. Giuseppe Paratore; Ibid., Presidenza del Consiglio dei ministri, anno 1923, 8-1-2210, 8-1-133; anno 1926, 8-1-2646 (tutti sulle MCM); anno 1927, 14-3-1369 (sul congresso internazionale sull'organizzazione scientifica del lavoro, Roma 5-8 sett. 1927); Ibid. Ministero dell'Interno, Polizia politica, 1927-1944: cat. I, fasc. Bruno Canto; Arch. di Stato di Napoli, Arch. Gabinetto di Prefettura, 1918-25, V-5/27: Cotonifici riuniti di Salerno; 1925-28, VI-5/177: MCM; VI-5/24-30: Operai tessili; IV-916: Il Mezzogiorno; 1929-31, VI-5/296: MCM.
Per un quadro delle società di cui il C. fu amministratore, si vedano: Biografia finanziaria italiana. Guida dei sindaci e degli amministratori delle società per azioni, Roma 1929, ad vocem, e Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Bollettino ufficiale delle società per azioni, 1913-1930, ad annos. Sono stati utilizzati anche i quotidiani di quegli anni, in particolare i napoletani Il Giornale della sera, Il Mattino, Il Mezzogiorno, il Roma, e il settimanale La Voce di Napoli. Per notizie biografiche sul C., oltre all'articolo agiografico Uno dei nostri apparso su Il Mezzogiorno del 25-26 febbr. 1921, si veda: Cavalieri del lavoro1901-1926, Roma 1926, p. 68; C. Pecorelli, Le scuole industriali illustrate, Roma 1926, p. 159; Chi è?, Roma 1928 e 1948, ad vocem; Napoli e i napoletani, Napoli 1927-1933, ad vocem; Napoli d'oro, Napoli 1935, ad vocem; A. Codignola, L'Italia e gli italiani d'oggi, Genova 1947, ad vocem; Creatori di lavoro, Roma 1954, pp. 147 s. Necrologi del C. in Corriere della sera, 26, 27 e 28 febbr. 1957. Interessante per i retroscena che mette a nudo il processo intentato da G. Preziosi contro E. Scaglione e il quotidiano Il Mondo, celebrato nell'estate del 1925 (R. De Felice, Giovanni Preziosi e le origini del fascismo (1917-1931), in Riv. storica del socialismo, V [1962], pp. 536-538, e A. Sarubbi, Il Mondo di Amendola e Cianca, Milano 1968, ad Indicem). Si veda inoltre: R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, ad Indicem; M. Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli, Firenze 1971, ad Indicem; Id., Appunti per una storia di Napoli nell'età del fascismo, in Riv. di storia contemporanea, V (1976), p. 407; A. De Benedetti, La classe operaia a Napoli nel primo dopoguerra, Napoli 1976, ad Indicem; N. De Ianni, Per una storia economico-sociale del movimento operaio napoletano 1915-1943, in Cahiers internationaux d'histoire économique et sociale, n. 12, 1980, pp. 345, 351; G. Savarese, L'industria in Campania e nel Mezzogiorno continentale (1911-1940), Napoli 1980, ad Indicem; A. De Benedetti, Napoli tra le due guerre, in La classe operaia durante il fascismo, in Annali della Fondazione G. G. Feltrinelli, XXII (1981), ad Indicem; N. De Ianni, Operai e industriali a Napoli tra grande guerra e crisi mondiale 1915-1929, Genève 1984, ad Indicem.
N. De Ianni-M. Fatica