CARNASCIALESCHI, CANTI
. In senso lato, si chiamano canti carnascialeschi le canzoni che si accompagnano ai divertimenti del carnevale dal Quattrocento in poi; in senso ristretto, quelli che si cantavano a Firenze nei secoli XV e XVI nelle mascherate carnevalesche. Quando quelle mascherate rappresentavano divinità mitologiche e personificazioni di virtù, quei canti erano detti Trionfi; quando mestieri o condizioni d'uomini Carri. Il Lasca ci attesta che quel modo di festeggiare fu trovato da Lorenzo il Magnifico, che lo sostituì alle preesistenti canzoni a ballo cantate da uomini mascherati a guisa di donne e di fanciulli. Per la maggior parte, i canti carnascialeschi hanno forma metrica affine alla ballata. Ne sono a noi pervenuti oltre quattrocento, di cui appena qualcuno con allusioni, se pur velate, ai fatti del giorno. In gran parte, sono abbastanza scollacciati e immorali, esortazioni a godere la vita finché duri giovinezza; così, ad es., uno dei più noti dello stesso Lorenzo, il Trionfo di Bacco ed Arianna. Oltre al Medici, composero canti carnascialeschi il Poliziano, il Giambullari, il Varchi, il Grazzini e persino il Machiavelli e molti minori. Celebre è il Carro della morte di Antonio Alamanni, in cui si vollero vedere allusioni politiche.
Il Galiani e il Martorana diedero il nome di canti carnascialeschi alle poesie cantate a Napoli in occasione delle feste popolari, non soltanto carnevalesche, chiamate coccagne "feste date in forma di altissimi carri guarniti di commestibili di varie sorti da saccheggiarsi": di essi alcuni furono giudicati "singolarmente graziosi e pieni di poetico capriccio".
Edizioni: Lasca (Firenze 1559); Bracci (Cosmopoli [Lucca] 1750); Guerrini (Milano 1883).