CANTELMO
. Sono del sec. XII le prime sicure notizie su questa nobile famiglia provenzale, venuta in Italia con Carlo d'Angiò.
Giacomo C. si adoperò validamente perché non soltanto la nuova dinastia si consolidasse nel Regno, ma, riorganizzando e capeggiando il vecchio partito guelfo, se ne facesse uno strumento di predominio nella penisola. Vicario dell'Angioino a Roma e di poi in Lombardia nel 1272, gli procurò l'amicizia di Genova; con le armi ne rese temuto il nome nella Marca; gli conquistò da giustiziere la iedeltà degli Abruzzesi. I figli e successori suoi non solo accrebbero la potenza della casa, imparentandosi con le più nobili casate meridionali, ma anche il patrimonio con gl'innumerevoli feudi ottenuti durante il Tre e il Quattrocento, specialmente negli Abruzzi con gli alti e lauti uffici ricoperti e soprattutto con la carriera delle armi, che divenne tradizionale nei C. Particolare reputazione godettero il figlio di Giacomo, Rostaino, senatore di Roma sotto Bonifazio VIII, poi giustiziere in Abruzzo; e il figlio di Rostaino, Giacomo II, giustiziere in Abruzzo, poi vicario di Roberto d'Angiò a Firenze, ove ritornò nel 1325 con Carlo, duca di Calabria, per proteggere la città da Castruccio Castracani. Ma la fedeltà ai discendenti di re Roberto nelle guerre di successione nel regno, costò gravi persecuzioni ai C.
Non restarono invece i C. fedeli alla tradizione angioina nel sec. XV, poiché appoggiarono gli Aragonesi, conservando così la potenza negli Abruzzi. A Nicola, Alfonso d'Aragona concesse il ducato di Sora; dal fratello minore di Nicola, Onofrio, ebbe origine il ramo di Pettorano (1439); e dal secondogenito di Nicola, Giovanni, il ramo dei duchi di Popoli, mentre il ramo dei duchi di Sora e di Alvito continuò nel primogenito Piergiampaolo, il quale però, schieratosi per Giovanni d'Angiò, fu costretto nel 1459 ad abbandonare i suoi stati e a ritirarsi presso il cognato Ercole I d'Este a Ferrara. Né Piergiampaolo, né il figlio Sigismondo, né i nipoti, coi quali il ramo dei duchi di Sora si estinse, tornarono più negli aviti dominî.
Il ramo dei duchi di Popoli si estinse nel 1560: Rostaino, figlio e successore di Giovanni, fu uno dei pochi baroni che non parteciparono alla congiura dei baroni, combatté Carlo VIII e sostenne, più tardi, il dominio spagnolo; Giuseppe, ultimo dei figli di Rostaino avuto da una sorella di papa Paolo IV, comandò la cavalleria napoletana nella guerra di Siena.
Protrasse la sua vita, per altri due secoli circa, il ramo dei duchi di Popoli e di Pettorano, i cui membri servirono la Spagna. Uno di questi fu quell'Andrea C., nato nel 1598, che vien ricordato in tutte le memorie militari del sec. XVII. Nella Valtellina, nel Palatinato, nella Transilvania, nel Monferrato, nelle Fiandre, egli mostrò coraggio, capacità strategiche e grande prudenza. Richiamato in Spagna e inviato nella Catalogna, allo scoppio della guerra con i Francesi, prese Lerida e obbligò il La Mothe a sgombrare Tarragona. Ma, tradito dagli ufficiali spagnoli che gli erano divenuti ostili per gelosia, e battuto dal maresciallo Harcourt, gli fu tolto il comando e fu relegato in Galizia. Filippo IV stava per rendergli giustizia e richiamarlo a corte, quando, giovine ancora, morì nel 1645.
Nel secondo cinquantennio del sec. XVII, si segnalò Rostaino, figlio di Fabrizio, insignito dal re Filippo IV del titolo di principe di Pellerano. Il fratello di lui, Giovanni, datosi a sacerdozio, fu nunzio in Svizzera e in Polonia, e cardinale arcivescovo di Napoli; Rostaino invece seguì l'avita carriera delle armi e si trovò a Messina durante l'insurrezione del 1674. Poscia combatté nelle Fiandre e in Africa, col grado di generale di cavalleria. Scoppiata la guerra di successione di Spagna, fu tra i primi a riconoscere Filippo V e gli pacificò il regno di Napoli, ove si tramavano congiure per abbattere il nuovo governo. Caduto in disgrazia, perché capeggiava il partito avverso al card. Alberoni, dovette attenderne la morte per ritornare a corte ed esservi ascoltato. Con suo figlio Giuseppe, al quale, in seguito alla pace del 1725 fra la Spagna e l'Impero, erano stati restituiti i legittimi possessi nel regno di Napoli, si estinse, nel 1749, il ramo dei duchi di Pettorano e, con esso, la casa Cantelmo.
Bibl.: Oltre i genealogisti De Lellis (1654), Ammirato (1651), Campanile (1681), Della Marra (1641), Candida-Gonzaga (1875), Litta (vol. II), ecc. e le Storie del Regno di Napoli del Summonte, del Capecelatro e del Troyli, cfr.: T. Caracciolo, De variate fortunae, Napoli 1769; I. Pontano, Historiae neapolitanae, Napoli 1769; L. di Capua, Vita di Andrea Cantelmo, Napoli 1695; P. Vincenti, Historia della famiglia Cantelma, Napoli 1604; Diurnali del duca di Monteleone, Napoli 1895.