CANTARO (κάνϑαρος, canthărus)
Gli antichi menzionano il cantaro fra i vasi da bere (Athen., Deipn. p. 474; Poll., VI, 96; Hesych., s. v. κάνϑαρος), ma non ne descrivono la forma. Oggi peraltro gli archeologi concordano nel chiamare cantaro un vaso diffusissimo nell'antichità, con il corpo a bacino molto fondo, munito di due ampie anse che ne sormontano l'orlo, e di un piede più o meno alto e sottile. L'origine del tipo si può ritrovare nell'età eneolitica di Creta, perché non mancano ivi esemplari di tale genere; come pure vasi forniti di piede e di doppie anse si sono rinvenuti in Orcomeno micenea e fra i prodotti della civiltà tirrenica dell'isola di Lemno. Cantari si possono trovare anche nella civiltà villanoviana o della prima età del ferro italica, e tale nome si potrebbe assegnare senz'altro a molti vasi di bucchero etruschi. Nell'età classica il cantaro era il vaso da bere caratteristico dei conviti e caro a Dioniso, che raramente ne è rappresentato privo. È ben noto un esemplare decorato dal ceramista Duride (v. fig.). La forma è ancora tozza, ma in breve assume proporzioni più snelle fino a raggiungere l'esilità degli esemplari ellenistici e italioti. Tradotto in metallo è questo il tipo che predomina in età romana. Nel Digesto (XXX, 41, 11) è chiamato cantaro anche il bacino dove zampillava l'acqua nei giardini: a Pompei infatti fu rinvenuta un'ampia vasca di porfido munita di due anse, alla quale per la sua forma potrebbe adattarsi questo nome. Il quale passa con lo stesso significato al cristianesimo, che chiama cantaro la vasca per le abluzioni posta nel centro dell'atrio della basilica primitiva. Da tale uso forse deriva il significato simbolico con cui il cantaro è rappresentato sovente nei mosaici cristiani primitivi.
Bibl.: E. Saglio, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecq. et rom., I, ii, p. 893 seg.; O. Montelius, La Grèce préclassique, Stoccolma 1924, tavv. 48, 98; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923.