CANOSA di Puglia (A. T., 27-28-29)
Comune della provincia di Bari. Il centro capoluogo è situato a 154 m. all'estremità delle Murgette di Canosa, che si considerano l'inizio dell'altipiano delle Murge; dalla città si domina il Tavoliere di Puglia e gran parte della valle inferiore dell'Ofanto che scorre a 2 km. dall'abitato. Posto avanzato della regione delle Murge verso il Tavoliere, ad essa convergono le vie naturali da cui l'altipiano murgiano è fiancheggiato verso N. e S.: in essa dalla via Traiana partiva una diramazione che raggiungeva a Venosa l'Appia: a essa facevano capo fino alla metà del secolo scorso i tratturi più frequentati della Puglia centrale e della Basilicata orientale per il passaggio del bestiame ovino e bovino che era menato a svernare nella piana di Foggia. Oggi Canosa è allacciata con ferrovia al porto di Barletta, che è lo scalo dei suoi prodotti agricoli; ed è punto d'incontro delle strade interprovinciali Barletta-Melfi e Cerignola-Andria. Canosa contava 12.985 ab. nel 1861, 24.169 nel 1901 e 26.375 nel 1921: la forte emigrazione transoceanica del primo quindicennio del secolo ha ridotto a cifre insignificanti l'aumento di popolazione. Quasi tutta la popolazione del comune vive nel capoluogo, il quale costituisce un grosso nucleo di popolazione rurale: nel 1921 soli 203 abitanti (meno dell'i %) avevano la loro dimora fuori del centro urbano. Il territorio del comune (149,58 kmq.) produce specialmente cereali nelle zone più elevate e in prossimità dell'Ofanto, ma è fittamente coltivato a viti, mandorli e ulivi in tutto il resto; nelle alte Murge il seminativo trapassa spesso nelle zone pascolative; in prossimità dell'abitato sono intensamente coltivati gli ortaggi; con l'agricoltura e con l'allevamento sono legate varie industrie vinicole e olearie e l'industria dei latticinî. Nel 1921 Canosa figurava tra i comuni di Puglia con più alto numero di analfabeti (il 65%; media della Terra di Bari: 50%).
Storia antica. - Il nome antico di Canosa era Canusium (gr. Κανύσιον). La leggenda la diceva fondata da Diomede, al pari di molte altre città delle Puglie, e così chiamata dai cani, da cui l'eroe si faceva accompagnare nella caccia. Fu sin dai secoli IV e III a. C. città fiorente di commerci e di industrie, specialmente di vesti di lana e di ceramiche: il suo emporio sul mare, alla foce dell'Ofanto, doveva essere presso al luogo dove più tardi sorse Barletta. Di tale ricchezza ci fanno testimonianza le monete uscite dalla sua zecca, che coniò oltre il bronzo anche l'argento (R. Garrucci, Monete dell'Italia antica, II, p. 114). Il nome della città compare prima in greco, poi in latino: secondo Orazio infatti (Sat., I, 10, 30), i Canosini erano more bilingues. Nel 318 a. C., durante la seconda guerra sannitica, si diede a Roma, stringendo con essa un'alleanza a cui si mantenne fedele anche dopo la rotta di Canne, quando accolse nelle sue mura i resti dell'esercito sconfitto.
Nella guerra sociale invece si ribellò a Roma (Appian., Bell. civ., I, 42; 52; 84); molto dovette soffrire durante questo tempo, e ciò accelerò il suo declino; al principio dell'impero, Strabone (VI, 3, 9) la dice assai decaduta. Mantenne tuttavia anche più tardi una posizione preminente nella regione, come frequentata stazione della via Traiana. Fu prima municipio, iscritto alla tribù Ufentina, poi, forse per opera di Erode Attico sotto Antonino Pio, ebbe rango di colonia, aggiungendo al suo nome originario i titoli di colonia Aurelia Augusta Pia. Un interessante documento è l'albo dei decurioni di Canosa dell'anno 223 d. C., inciso su una tavola di bronzo, oggi nel Museo di Firenze (Corp. Inscr. Lat., IX, 338).
Della rinomanza della lana di Canosa parlano Plinio (Nat. Hist., VIII, 48, 190 seg.), Marziale (XIV, 127) e molti altri.
La produzione di ceramica ci è testimoniata dalla copia di esemplari dati dalle tombe della città e delle adiacenze, come altresì dalle necropoli di tutta la Puglia. L'ampiezza degl'ipogei fece entrare nell'uso e nelle preferenze i vasi di grandi dimensioni, che sono appunto una specialità delle fabbriche canosine.
I prodotti più antichi sono quelli senza vernice, con decorazione geometrica, di gusto locale; caratteristica fra tutte la forma di cratere ad imbuto, o sphagion. Da essi, rimasti in uso anche più tardi, derivano i cosiddetti vasi listati, con decorazione distribuita a fasce parallele, nella quale ai motivi geometrici si uniscono rozze figure umane e motivi vegetali. Sotto l'influenza greca s'introdusse la tecnica a vernice nera, nella quale tuttavia le figure, risparmiate sul fondo rosso, furono ravvivate da una copiosa policromia sopradipinta. Negli ultimi tempi furono preferiti i vasi ingubbiati di bianco con le figure sopradipinte a colori tenui, o i vasi - fra cui caratteristici i grandi askoi ventricosi - con ornati applicati e riportati.
Oltre ai numerosi sepolcri a camera, oggi spogliati della loro suppellettile, Canosa conserva tracce delle costruzioni dell'acropoli e qualche elemento delle mura; il cosiddetto Arco di Varrone o di Traiano, forse una delle porte della città o un arco eretto a ricordo della costruzione della via Traiana; resti dell'anfiteatro e di un edificio che il popolo crede il castello dove la matrona Busa raccolse i superstiti di Canne, e che è invece certo di età imperiale; un mausoleo del sec. II o III d. Cr.. detto Bagnoli; antico è altresì il nucleo principale del ponte sull'Ofanto sulla via di Cerignola.
Bibl.: Corp. Inscr. Lat., IX, p. 34 seg.; Ch. Hülsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 1501-02; E. De Ruggiero, Diz. epigraf., s. v.; A. L. Millin, Description des tombeaux de Canosa, ecc., Parigi 1816; N. Jacobone, Ricerche sulla storia e la topografia di Canosa antica, Canosa 1905; per la ceramica: M. Fatta, Tombe canosine del Museo provinciale di Bari, in Röm. Mitth., 1914, p. 90 segg.; v. anche apuli, vasi.
Storia medievale e moderna. - La Canosa medievale sorse su per giù dove era la vecchia Canusium, ma, per molti secoli del Medioevo, fu ben lontana dall'avere l'importanza della città romana.
I suoi abitanti, rifugiatisi verso l'interno a tempo delle invasioni barbariche, avrebbero dato origine, secondo una tradizione non documentata, a Minervino, nelle Murge. Terra greca dapprima, passò, non sappiamo quando, sotto i Longobardi; con altre terre di Puglia e del Sannio fu poi assegnata al ducato di Benevento. Son questi gli anni più tristi nella storia medievale della città. Un certo miglioramento si ebbe col duca Romualdo, la cui moglie Teodorida ristabilì la sede vescovile di Canosa, abbandonata fin dal tempo di S. Gregorio. Nel corso del sec. IX essa estese la sua giurisdizione; l'835 fu elevata a sede arcivescovile. L'invasione saracena e le terribili distruzioni operate tra l'840 e l'870 interruppero il promettente sviluppo. La ricostruzione di Canosa coincide (963) con la discesa di Ottone I in Italia; ma intanto la direzione della giurisdizione ecclesiastica era passata a Bari. La diocesi di Bari-Canosa raggiunse la massima espansione al tempo della discesa di Ottone II; più tardi, nel 1024 o 1025, Giovanni XIX riconobbe all'arcivescovo di Canosa-Bari il diritto di metropolita con vastissima giurisdizione. Quando i Normanni occuparono Canosa, la diocesi si staccò da Bari.
Se con l'accentramento monarchico normanno e svevo diminuisce l'importanza politica della città, questa però progredisce economicamente, avvalendosi dell'Ofanto allora navigabile a piccole imbarcazioni e ancor più della vicina costa dell'Adriatico. Rifatta dai guasti cui andò soggetta nelle guerre dinastiche tra gli Angioini di Francia e quelli d'Ungheria, e difesa dal castello cittadino, del quale fino ad alcuni decennî addietro si vedevano le rovine, resistette validamente agli Ungheresi. Ma più famoso è rimasto nella tradizione locale l'assedio del 1502 posto dai Francesi alla città presidiata da truppe spagnole che si arresero soltanto dopo lunga resistenza. Da Carlo I d'Angiò fu data in feudo a Carlo di Lagonessa, siniscalco del regno. Ritornata poi alla corte, ne fu investito Alessandro Orsini da re Alfonso I. Carlo V nel 1530 la donò a Filiberto di Chalon, princ. d'Orange, ma dopo due anni la concesse ad Onorato Grimaldi, dai cui discendenti la comprò nel 1643 Filippo Affaitati di Barletta. Lui fallito, i creditori la vendettero per 48.000 ducati a Fabrizio Capece Minutolo.
La vita interna di Canosa per molti secoli fra l'evo medio e il moderno non ha nulla di diverso da quella delle altre città meridionali: lotta tra feudatarî e università: quelli, per accrescere i diritti feudali, questa, per difendere gli usi civici e prendere nelle mani l'amministrazione cittadina; liti fra l'università e il demanio dello stato; liti fra il capitolo e il vescovo di Canosa e quelli di Bari per motivi giurisdizionali, finché nel 1818 Canosa fu data in amministrazione al vescovo di Andria; liti, più di recente, fra borghesi, latifondisti e contadini anelanti al possesso della terra. Infine Canosa fu infestata dal brigantaggio, soprattutto a mezzo il sec. XVII, sul finire del'700 e dopo il 1860; e fu rovinata dal terremoto nel 1361, nel 1456, nel 1627, nel 1851 e nel 1857.
Bibl.: Circa la demanialità o meno della chiesa di Canosa, cfr. M. Pastore, Per lo R. Patronato della chiesa di Canosa sotto il titolo di S. Sabino, Napoli 1783; V. Ruggieri e D. Trombetta, Difesa a favore del Rev.mo Capitolo di Canosa di Puglia contro il demanio dello stato nel tribunale civile e correzionale di Trani, Trani 1868; id., Memoria c. s., Trani 1872; P. e N. e D. Discanno, Per la R. Corona contro il demanio dello stato nella Corte di appello di Trani, Trani 1872; Vitolo, Per la città di Canosa contro l'illustre principe e particolari cittadini di essa circa il decreto di expedit sulla continuazione del diritto proibitivo dei centimoli, Napoli 1775. Altri lavori sono ricordati da L. Volpicella, Bibl. stor. della prov. di Terra di Bari, Napoli 1884, pp. 349-385. Cfr. poi G. Nicastro, Contr. alla storia della peste (1656-1656), Melfi 1912.
Monumenti medievali. - Superstite monumento è la cattedrale romanica (metà del sec. XI), consacrata nel 1101. Malgrado i rimaneggiamenti (1689) e le aggiunte moderne, vi è riconoscibile la chiesa antica, a croce latina con tre navate e copertura a cinque cupolette, sostenute da arcate che s'impostano su colonne marmoree di spoglio. Il pergamo, della prima metà del sec. XI, è opera di un Accetto arcidiacono educato all'arte bizantina ma ispirato anche alla musulmana. E forme e modi plastici di affine derivazione si avvertono più tardi nella cattedra vescovile al centro dell'abside di un Romualdo scultore, opera possente nella sua quadratezza e nell'originalità dei sostegni. Addossata al fianco destro della cattedrale è la tomba di Boemondo; grandioso mausoleo di pianta quadrata e cupoletta ripristinata modernamente su tamburo ottagonale. Il portale è chiuso da solenni imposte bronzee a incrostature d'argento e altorilievi rapportati (ora scomparsi), assai complesse nello stile, bizantineggiante nelle figure e musulmano negli ornati di arabeschi e palmette: nel battente sinistro è inciso il nome dell'artefice, un Rogerius Melfi e Campanarum, probabilmente di Amalfi. Nel tesoro di S. Sabino un messale trecentesco miniato, un crocifisso eburneo bizantino e altro.
Bibl.: W. Schulz, Denkmäler d. Kunst in Unteritalien, Dresda 1860, I, p. 53 segg.; A. Avena, Monumenti dell'Italia meridionale, Roma 1902, pp. 95, 291; S. Morra, Canosa e suoi dintorni, Canosa 1902; G. K. Guarini, Rogerius Melfi e Campanarum, in Napoli nobilissima, XI (1902), pp. 177-80; M. Wackernagel, La bottega dell'arcidiacono Acceptus, in Boll. d'arte, II (1908), pp. 143-50; A. Vinaccia, I monumenti medievali di terra di Bari, Bari 1915; Jacobone, Canusium, Lecce 1925; P. Toesca, Storia dell'arte ital., I, Torino 1927.