Vedi CANOPO dell'anno: 1959 - 1994
CANÒPO
Prende nome di c. ciascuno dei quattro vasi destinati, in Egitto, alla conservazione dei visceri mummificati. I primi esempi rimontano alla XI o XII dinastia e sono in genere di pietra o di legno. Il coperchio può avere forma di testa umana, e ognuno dei quattro vasi è identificato con una divinità ("i quattro figli di Horus"). In seguito, specie nella XVIII dinastia, il materiale diviene più prezioso (alabastro, aragonite, terra smaltata) e il coperchio assume regolarmente la forma di quattro teste diverse (di uomo, di sciacallo, di falco, di cinocefalo), quali sono le teste dei quattro figli di Horus. In bassa epoca si fanno frequenti i vasi in terracotta, sui quali, talvolta, è soltanto disegnata l'immagine del dio protettore. I c. sono conservati in speciali cassette a quattro compartimenti, nei quali in origine erano direttamente conservati i visceri. Tali scatole sono in generale di legno dipinto, ma in taluni casi si hanno esempi in pietra, su cui sono scolpite, aderenti ai quattro angoli, le immagini delle quattro divinità femminili protettrici. Simile a un canopo, ma profondamente diverso come significato e come uso, è l'immagine che appare in epoca greco-romana di una divinità a forma di vaso, sul cui ventre sono varie immagini, con testa umana sormontata da un fiore di loto, in cui si è riconosciuto Osiride Canòpo o Osiride Hydreion.
(S. Donadoni)
Per la esteriore somiglianza con i vasi egizi, si chiamano c. gli ossuari etruschi trovati prevalentemente nel territorio di Chiusi, che sono vasi umanizzati in qualche modo con maschere o con lineamenti d'uomo, o con un coperchio a forma di testa umana, e che erano destinati a contenere le ceneri di un defunto (v. antropoidi, vasi). Si possono distinguere (col Milani) tre classi di c. che si presentano in successione cronologica: quella delle maschere di bronzo applicate al collo dello ossuario; quella dei c. in cui la parte facciale non è ben fusa col coperchio del vaso; quella dei c. in cui il coperchio è una vera testa modellata a tutto tondo. La suppellettile dei corredi funebri che si trovano insieme ai c. dimostra che i primi tentativi di animare il cinerario furono compiuti verso il 650 a. C., applicando maschere di bronzo sul vaso oppure plasmando sul coperchio qualche lineamento umano; che verso il 6oo a. C. si tentò di fondere la maschera col coperchio del cinerario e che nel 550 a. C. si giunse alla formazione a tutto tondo della testa umana sostituente il coperchio. Quest'ultima, definitiva esperienza terminò verso il 500 a. C. quando decadde in Chiusi il rito della cremazione.
La tipologia del canopo durò dunque centocinquanta anni e non sorse dal nulla, poiché l'intenzione di antropomorfizzare l'ossuario si trova già nella civiltà villanoviana. Certi ossuari villanoviani di Tarquinia hanno infatti per coperchio un elmo crestato, in uno di Vulci il coperchio è un pileo sormontato da un tetto di capanna. E non solo per questa considerazione si può stabilire una continuità fra gli ossuari della civiltà villanoviana e i c., bensì anche perché nelle cosiddette maschere degli ossuarî più antichi, e anche nei volti della fase intermedia, si perpetua la formula costruttiva della faccia propria della plastica villanoviana: volto sempre piatto a forma di paletta da muratore, impostato obliquamente dall'alto in basso, con indicazioni schematiche dei lineamenti.
L'uso improprio della parola "maschera" ha generato equivoci, poiché ha fatto pensare ch'esse fossero richieste da particolari rituali magici e che esistessero connessioni con le maschere micenee dei defunti. In realtà, le piastre di bronzo degli ossuarî canopici non sono maschere, ma "facce", "volti", che sostituiscono intenzionalmente analoghe rappresentazioni a tutto tondo. Ciò è dimostrato dal fatto che questi volti, prima appesi all'ossuario con fili di bronzo passati attraverso i forellini, si fusero poi col coperchio, il quale diventò infine una vera testa a tutto tondo. Questa evoluzione non sarebbe avvenuta se i volti fossero stati all'inizio maschere rituali, poiché la tradizione religiosa avrebbe imposto la conservazione della tipologia originaria.
I c. rappresentano donne e uomini: le prime portano orecchini nel lobo traforato e avevano forse la parte posteriore della testa avvolta in stoffe, poiché in alcuni c. l'occipite è lasciato liscio. Solo due esemplari sono barbuti e rappresentano quindi uomini di età più matura, per quanto non anziani; gli altri sono imberbi e giovanili. Poiché non si può pensare che i c. fossero ossuari destinati solo ai morti in giovane età, bisogna concludere che le teste non sono ritratti, neppure intenzionali, ma immagini eroizzate di aefunti. Le acconciature, nel gruppo dei c. del tipo evoluto, ossia con la testa-coperchio lavorata a tutto tondo, databili, come s'è detto, dal 550 al 500 a. C., non sono molto diverse: quasi sempre una specie di calotta con ciocche più o meno ondulate, tagliate a frangia sulla fronte e pendenti fino all'inizio della nuca, dove si arrestano con un taglio netto. Sono molto rispettate in questa classe più evoluta varie convenzioni, come le occhiaie stilizzate a forma di conchiglia, le labbra sottili e serrate, le arcate sopraccigliari ampie, poco voltate e prominenti come tettoie, le fronti basse.
Questa comunanza di motivi deve far pensare che le teste dei c. siano state create coll'intenzione di raggiungere un tipo di bellezza ideale, com'è nel caso del koùros greco. Per quanto esse non siano ritratti, come si è detto, ma immagini di morti eroizzati, pure esiste il principio dell'individualizzazione, perché nessun c. è perfettamente uguale a un altro; se non che codesta individualizzazione non ha fini celebrativi, di conservazione della fisionomia reale del defunto, bensì di osservanza delle credenze religiose, le quali assegnavano ai morti personalità distinte. Per tale fine pratico non era necessario rendere nell'argilla le vere fattezze del morto, perché era sufficiente modificare lievemente gli esemplari di un tipo fondamentale, in modo che nessuno fosse proprio identico all'altro. Appare dunque fallace quanto è stato detto sui c. come testimonianze di una precocità italica nel sorgere del ritratto.
Un procedimento veristico non sarebbe stato del resto compatibile con il principio dell'eroizzazione, secondo il quale anche le facce vecchie e rugose dovevano essere presentate come giovanili e terse. Né la ritrattistica funeraria etrusca divenne mai veristica; nel significato più proprio della parola non si fecero mai ritratti dal vero, anche quando non si crearono più immagini eroizzate.
I c. sono documenti di grande interesse per lo studio della trasformazione culturale avvenuta in Etruria alla fine dell'VIII sec. a. C. Mentre i c. più arcaici, quelli con le "maschere", sono ancora nell'orizzonte della Civiltà villanoviana del Ferro, gli ultimi, quelli delle teste a tutto tondo, rivelano l'insegnamento greco. Dagli uni agli altri non c'è soluzione di continuità, ma graduale acquisizione del possesso della forma. Considerato ciò, si può dire che lo studio dei c. fornisce maggiori prove a coloro che vedono nella civiltà etrusca un fatto culturale, avvenuto in seguito agli apporti di beni spirituali e materiali da parte dei Greci ai popoli di civiltà villanoviana, piuttosto che una trasformazione etnica.
I c. chiusini furono trovati in tombe a ziro, ossia costituite da un grande dolio; essi sono di bronzo e di argilla rossastra o grigia, o di bucchero. Gli ossuarî riposano su tronetti a spalliera circolare o su sedie rettangolari, di bronzo o di terracotta (nel secondo caso è sempre evidente la derivazione da modelli metallici). Alcuni c. hanno decorazioni del repertorio orientalizzante. Spesso sono rappresentate le braccia distese lungo le pareti o applicate e alzate. In un solo c. nel Museo Archeologico di Firenze, sono rappresentate le spalle con le clavicole e il torace con muscoli modellati. C. si trovano prevalentemente nel Museo Archeologico di Firenze, nel Museo Civico di Chiusi, nel Museo Faina di Orvieto e nelle Collezioni Casuccini e Bargagli al museo di Siena, e pezzi isolati sparsi in vari musei stranieri. Agli ossuari a forma di c. seguono, nella civiltà di Chiusi, gli ossuari sferici di lamina metallica posti ugualmente su sedie, però non più entro dolî di terracotta, ma in tombe a camera (tomba di Poggio alla Sala), e privi di carattere iconico. Più tardi, invece (sec. V), si trovano statue cinerarie in forma di figure sedute su trono a spalliera, la cui testa è mobile e chiude una cavità nel torace, destinata a contenere le ceneri del defunto. La più antica di tali statue cinerarie (Palermo, Museo Naz., Collez. Casuccini) mostra un tipo virile di forme colossali, con fattezze assai prossime a quelle dei più recenti c.; ma prevalgono in seguito figure femminili derivate dalla tipologia dell'arcaismo greco (v. etrusca, arte).
(L. Laurenzi)
Bibl.: K. Sethe, Zur Geschichte der Einbalsamierung, in Sitzb. Pr. Ak. Wiss. Phil. Hist. Kl., 1934, p. 211 ss.; v. Bissing, Aeg. Kultbilder der Ptolemäer-u. Römerzeit, Lipsia 1936; L. A. Milani, Monumenti etruschi iconici, in Museo italiano di antichità classica, I, pp. 289-290; R. Bianchi Bandinelli, Clusium, in Mon. Ant. Lincei, XXX, 1925, p. 448; D. Levi, I C. di Chiusi, in La critica d'arte, 1935-36, p. 18 ss., e p. 82 ss.; per i problemi relativi alla struttura, v. la bibl. in L. Laurenzi, Problemi della ritrattistica repubblicana romana, in Aevum, 1940, p. 116 ss.
(S. Donadoni - L. Laurenzi)