Vedi CANONE dell'anno: 1959 - 1994
CANONE (v. vol. II, p. 311)
La parola greca κανών designa in origine un'asta diritta, in particolare un utensile dei muratori: il regolo (o squadra), che serve sia per ottenere superfici piane che per calcolare le misure (IG, I3, 386, 113; 475, 214; Eurip., Her. fur., 945). In matematica κανών ο κανόνιον è il righello, nella teoria musicale uno strumento, inventato secondo le fonti da Pitagora, originariamente un monocordo con cui si misuravano i rapporti matematici corrispondenti agli intervalli dei toni. In architettura (τεκτονική) il κανών garantisce la precisione (Plat., Phileb., 56 b; Plut., Mor., 99 Β) e in tal senso nel V sec. a.C. il termine viene usato anche metaforicamente, diventando emblematico della ricerca dell'accuratezza (ακρίβεια) che allora toccava tutti gli aspetti della vita. Nelle Rane di Aristofane vengono scherzosamente portati in scena fra gli altri anche κανόνες che servivano come strumenti di misura nella disputa fra Eschilo ed Euripide (Aristoph., Ran., 799). Lo stesso Euripide parla di κανών a proposito di scelte etiche (Eurip., Elect., 52; Hec., 602). Negli scritti scientifici di Democrito relativi alla natura è conservato il titolo di un trattato Κανών. Forse poco prima lo scultore Policleto aveva trasferito il termine alle arti figurative: anche in questo caso il termine indica una misura precisa (v. infra).
Quando Policleto divenne un modello per altri artisti, una statua, probabilmente il Doriforo, fu chiamata κανών dai successori, perché esemplificava nel modo più chiaro la dottrina del maestro (Cic., Brut., 296; Plin., Nat. hist., XXXIV, 55; J. Overbeck, Die antiken Schriftquellen, Lipsia 1867, nn. 953-960). Questa denominazione presuppone un passaggio e una trasposizione, in atto nel IV sec. a.C., a un uso figurato della parola: se fino a quel momento κανών designava uno strumento con cui ottenere risultati precisi in modo oggettivo, ora singoli individui o anche un'opera singola possono diventare il κανών scelto in maniera soggettiva, ossia la norma e il modello da imitare: si passa così a esprimere la concezione della mimesi tipica dell'età post-classica (p.es. Dion. Hal., Lys., 2). Inoltre κανών passa a significare in generale anche «direttiva» (p.es. Lycurg., Leocr., 9; Aeschin., Ctes., 199) o «regola», in ultimo «tabella» o «lista», cioè una regola resa visibile graficamente. Questi significati furono tramandati dalla letteratura cristiana fino al Medioevo e all'età moderna. L'equivalente latino è regula, o anche norma. P.es. Vitruvio adopera entrambi i termini nel senso concreto di «asta» o «lista diritta» e «squadra», seguendo qui il significato originario di κανών; altrimenti regula viene intesa soprattutto in senso figurato come κανών.
La moderna storia dell'arte e l'archeologia hanno fatto del titolo dello scritto di Policleto un termine universale dell'arte; tuttavia di solito vengono denominati c. solamente sistemi di proporzioni, perlopiù di corrispondenze fra le misure del corpo umano. Tali sistemi sono tramandati dall'antichità solo in parte e la loro ricostruzione rimane quasi sempre incerta.
Conosciamo abbastanza bene il c. adoperato dagli scultori egiziani per statue e rilievi figurati. Esso è testimoniato da monumenti tuttora conservati, che riportano ancora ben visibili i segni corrispondenti (linee-guida con cui gli artisti si aiutavano), ed è inoltre menzionato da Diodoro (I, 98,8). In linea di principio si possono riconoscere due sistemi che si succedono in ordine di tempo: almeno dalla IV dinastia la figura umana stante viene realizzata con l'aiuto di un sistema a reticolo, che dalla pianta dei piedi all'attaccatura dei capelli riporta 18 suddivisioni. Dalla XXVI dinastia (664-526 a.C.) lo stesso reticolo contava 21 suddivisioni, dalla pianta dei piedi al dorso del naso e al bordo superiore degli occhi. La misura base nel vecchio sistema è fornita probabilmente dall'ampiezza della mano, pollice incluso che non viene invece considerato nel sistema successivo. Su questa base si svilupparono anche rapporti proporzionali fissi tra le singole parti del corpo. Ambedue i sistemi sono strettamente collegati alle misure di lunghezza allora in uso, derivate a loro volta da quelle del corpo umano.
Gli scultori greci dell'epoca arcaica conoscevano il c. egiziano. Secondo Diodoro (I, 98, 5-6), Telekles e Theodoras, figli di Rhoikos, crearono per l’Heràion di Samo una statua di Apollo Pizio alla maniera egiziana. A tale riguardo Diodoro (I, 98,7) osserva che gli egiziani nelle loro statue seguirono proporzioni rigide, i greci tennero conto anche dell'impressione ottica che un'opera deve suscitare (άπό της κατά την ορασιν φαντασίας την συμμετρίαν των άγαλμάτων κρίνεσθαι).
In effetti il procedimento in uso in Egitto non fu riprodotto con la stessa precisione in Grecia. Tuttavia su opere greche arcaiche, soprattutto nei kouroi, sono state riscontrate unità di misura ricorrenti (moduli) che mostrano legami più o meno stretti con il c. egiziano. Comunque è evidente che nel corso del VI sec. gli scultori greci si allontanarono sempre di più da quel sistema di proporzioni.
Ogni c. che pretenda di avere un carattere vincolante generale sul piano artistico è connesso a una tradizione artigiana ed è il risultato di un lungo processo di sviluppo. Il c. trasforma una prassi già esistente in una norma rigida: nel contempo formula un ideale stilistico ben determinato e lo introduce nella coscienza comune. Non tutte le convenzioni sottese alle realizzazioni di scultori, pittori o anche architetti costituiscono un c., tanto meno qualsiasi rapporto ricorrente fra misure; sono invece essenziali sia una connessione sistematica di misure e proporzioni (cioè la συμμετρία), sia un'elaborazione concettuale riconoscibile in essa. La formazione di un c. è un fenomeno «tardo», e può essere addirittura un segno di irrigidimento, perché in quanto tale un c. è sempre compiuto e può venire solamente dissolto o rimpiazzato da uno nuovo. Un cambiamento del c. indica sempre anche un mutamento radicale di stile. La persistenza plurisecolare del c. egiziano poggiava sul legame particolarmente stretto in quella cultura fra l'immagine dell'uomo e funzioni religiose e di culto, che miravano a una durata eterna, e rimasero in sostanza inalterate. Per questo i Greci, che mutarono abbastanza rapidamente il loro modo di rappresentare l'uomo, pur ammirandola (v., p.es., Plat., Leg., 656, d-e), sentirono come estranea l'arte egiziana.
Il c. di Policleto non si costituì a poco a poco e anonimamente per convenzione: è invece la creazione di un singolo artista. Stendendo il proprio c. in forma scritta e dandogli un fondamento teorico, egli, probabilmente per primo fra gli artisti greci, si pose sullo stesso piano degli intellettuali. Ciò non significò soltanto un mutamento sostanziale della coscienza di sé da parte degli stessi artisti, sino a quel momento considerati artigiani; nia cambiò anche il giudizio sulle opere d'arte e divenne possibile distinguere fra arte e artigianato, fra artisti e artigiani. Tuttavia lo stesso c. di Policleto indica anche un limite: in qualità di opera basata su regole precise e con la pretesa di valere in generale per l'attività scultoria, riprende la tradizione egiziana e greco-arcaica, mentre come invenzione di un artista con propensioni teoriche inaugura un'epoca in cui un c. vincolante diventa anacronistico. Infatti a cominciare dalla piena età classica l'arte greca viene segnata in maniera più netta che in precedenza da individui dotati di peculiarità marcate e in grado di scegliere fra possibilità alternative di forma artistica.
Dello scritto policleteo sono tramandate abbastanza fedelmente soltanto due brevi frasi (Plut., Mor., 86 A e 636 C = Policleto, frg. Β ι Diels-Kranz; Phil., Mech., IV, 2 = Policleto, frg. Β 2 Diels-Kranz). Vanno aggiunte alcune parafrasi, due delle quali menzionano espressamente il c. (Gal., Hipp. Plat, plac., V, p. 449 Kühn; Temp., I, p. 566 Kühn = Policleto, frg. A 3 Diels-Kranz), e una terza che gli è stata attribuita (Plut., Mor., 45 C-D; D. Schulz, in Hermes, LXXXIII, 1955, p. 200 ss.). Secondo queste testimonianze il principio maggiore del c. risiedeva nell'esattezza durante la progettazione e l'esecuzione dell'opera d'arte, preclusa quindi a ogni elemento accidentale o fortuito, almeno in teoria. La precisione poggiava su misurazioni, si esprimeva in cifre, soprattutto in relazioni numeriche. Esse procedevano ovviamente da unità minime a unità più grandi: da un dito all'altro, da tutte le dita al palmo della mano e al polso, da lì all'avambraccio, poi al braccio e così via. Lo scopo dei calcoli era di raggiungere una misura media (μέσον), i cui primi dati vennero ottenuti probabilmente anche a livello empirico, misurando singoli individui, ma alla fine rimasero proporzioni puramente matematiche.
Il significato effettivo del c. policleteo va oltre la sua utilizzabilità pratica: Policleto sostituì le tradizionali regole di bottega con un sistema di relazioni formali che trovavano la loro base nelle stesse leggi della natura: illustrando la possibilità di esprimere le proporzioni naturali del corpo umano tramite relazioni di tipo matematico, dimostrò d'altronde che la proporzione è un principio della natura. In questo quadro i numeri hanno un valore differente rispetto a quello della quadrettatura nella scultura egiziana e greco-arcaica. Non si tratta soltanto di espedienti tecnici che dovevano servire da guida, bensì è l'espressione dell'esattezza corrispondente alle leggi della natura.
In una delle due citazioni letterali del c. (frg. Β 2 Diels- Kranz) l'esito dell'osservazione precisa di numerosi rapporti numerici viene indicato con il termine tò ευ. «Il bene» qui è un valore contemporaneamente estetico e morale. Una connotazione morale hanno anche tò μέσον, la «misura media» (Gal., Temp., I, p. 566 Kühn = Policleto, frg. A 3 Diels-Kranz), e quadratus = τετράγωνος, un termine che non è attestato direttamente per il c., ma fu riferito dalla critica d'arte dell'antichità alle stesse statue di Policleto (Plin., Nat. hist., XXXIV, 56). Si può dunque supporre che facesse parte della concezione di Policleto la convinzione che una forma artigianale ben riuscita avesse una qualità anche morale. Inoltre egli deve essere stato convinto della possibilità di costruire valori estetici, che fossero nel contempo anche morali: come la forma, anche l’èthos sarebbe riproducibile. Il formalismo del c. non si esaurisce nell'art pour l'art, bensì tende a una perfezione totale, che concerne corpo e anima, pensiero e azione dell'uomo.
Il c. di Policleto era saldamente ancorato al pensiero del suo tempo: esattezza, ponderazione e misura erano parole chiave nella discussione culturale del V sec. a.C. Soprattutto i pitagorici avevano ricercato la conoscenza nei numeri e tentato di esprimerla attraverso di essi; tuttavia non è possibile dimostrare una dipendenza diretta di Policleto da questa corrente filosofica. I sofisti credevano nella possibilità di insegnare un modo di agire etico. Gorgia riportava le regole della retorica all'essenza della natura umana e usava il termine καιρός (Gorgia, frg. Β 13 Diels-Kranz), che probabilmente giocò un ruolo anche nella teorizzazione di Policleto. Questi riteneva che il corpo umano fosse come un cosmo, composto da elementi correlati fra loro. Un parallelo è offerto dalla fisica degli atomisti. La medicina classica faceva dipendere il benessere corporeo dall'attenersi a una misura intermedia (Hippocr., Vict., I, 2; in, 67), e definiva la salute l'equilibrio tra forze contrapposte (Alcmeone, frg. B4 Diels-Kranz).
A differenza degli scultori egiziani e arcaici Policleto non procedeva dalla figura intera suddividendola secondo le proporzioni stabilite; piuttosto creava le proprie statue parte per parte, cominciando dall'elemento più piccolo. Tale procedimento corrisponde al principio del c.d. contrapposto: il corpo umano è interpretato come un organismo articolato, che reagisce in seguito alla forza di gravità. Policleto non ha inventato il chiasmo, ma lo ha perfezionato portandolo al livello di un sistema conchiuso in se stesso. In tal modo le caratteristiche individuali e ogni elemento accidentale venivano a essere così ridotti che la critica d'arte antica percepiva le opere di Policleto come paene ad unum exemplum, ossia come se fossero state elaborate a partire da un prototipo unico (Plin., Nat. hist., XXXIV, 56), ed elogiava la bellezza delle figure umane rappresentate come supra verum, soprannaturali (Quint., Inst., XII, 10, 8). Questa tensione verso la forma ideale rende Policleto e il suo c. tipici rappresentanti dell'età classica matura. I frequenti tentativi di ricostruire il c. di Policleto, misurando copie sicuramente riconoscibili delle sue opere, non hanno portato sinora a risultati convincenti. Tra i motivi rientrano anche problemi di carattere tecnico: in scultura è particolarmente difficile ottenere misure precise fino al millimetro e, in forme organiche come il corpo umano, si rivela pressoché impossibile definire esattamente i punti da cui effettuare le misurazioni per ricavare dati confrontabili. A questo si aggiunge la questione dell'affidabilità delle copie stesse. Le ricerche effettuate fino a ora si basano quindi su dati troppo esigui e non hanno offerto alcun dato riconoscibile come specifica caratteristica del c. policleteo; si sono ricavate invece indicazioni sui metodi generali di lavoro impiegati dagli scultori classici. P.es., sono state riscontrate proporzioni, che si adattano alla suddivisione naturale del corpo, distanze ricorrenti, che possiamo esprimere in parte nelle misure tradizionali di piedi o braccia, o ancora sono stati evidenziati il principio della bipartizione, nonché corrispondenze e deformazioni di misure in relazione simmetrica all'asse del corpo. Si potrà ricostruire il c. policleteo solo dopo aver trovato il principio che governa tutte le relazioni fra le varie proporzioni. Al momento si può solamente supporre che Policleto non le ricavasse replicando o suddividendo un'unità base fissa (modulus), bensì applicasse un procedimento generativo, ove le singole misure venivano derivate in stadi successivi l'una dall'altra.
Il c. di Policleto non ebbe molto seguito nella pratica della scultura greca. Già i lavori ascrivibili alla sua scuola mostrano proporzioni diverse da quelle del suo fondatore. È probabile che la tendenza, riscontrabile già qui, a utilizzare proporzioni più snelle sia stata eretta a nuovo sistema da Lisippo (Plin., Nat. hist., XXXIV, 65). Tuttavia un suo trattato scritto non è attestato esplicitamente. D'altronde, svariate sue affermazioni che ci sono state tramandate mostrano che Lisippo si occupava di problemi teorici e si rifaceva a Policleto (Cic., Brut., 296).
Solo in piccola parte siamo in grado di ricostruire il contenuto di scritti redatti nel IV sec. a.C. da alcuni pittori greci. Eufranore (Plin., Nat. hist., XXXV, 129) e Protogene (Suid., s.v. Πρωτογενής) trattarono forse anche problemi relativi alle proporzioni.
Vitruvio ha introdotto le proporzioni del corpo umano come modelli naturali per quelle impiegate in architettura, specialmente nei templi (Vitr., I, 2,4; III, 1). Egli derivò le misure delle singole parti partendo dall'altezza complessiva della figura, fissando rispetto a essa p. es., la lunghezza del piede in 1/6, l'altezza della testa in 1/8, o la lunghezza del volto e del palmo della mano in 1/10 dell'altezza totale della figura. Tali dimensioni forniscono un sistema di proporzioni costituitosi probabilmente nell'ellenismo; proporzioni più tarchiate, a noi note dalle opere policletee, si mescolano ad altre più allungate, caratteristich e dell'epoca di Lisippo. Vitruvio seppe correlare le proporzioni del corpo umano, quelle da usare in architettura e i sistemi storici di misurazione: tale vasto sistema riuscì a diventare un c. e a esercitare il proprio influsso anche oltre l'antichità. Esso ebbe un ruolo notevole nella discussione artistica durante il Rinascimento e nel neoclassicismo: era ed è rimasto l'unico sistema di proporzioni risalente all'antichità classica i cui valori numerici si siano conservati e che sia ricostruibile graficamente.
Anche l'arte indiana conosce un dettagliato c. di proporzioni. Le singole norme furono codificate in trattati, ove i numeri svolgono un ruolo importante. Le unità di base della figura umana sono la lunghezza del pollice e quella del volto, considerata uguale alla lunghezza del palmo della mano. Tuttavia all'interno di questo sistema complessivo le proporzioni si accordano agli oggetti di volta in volta diversi delle raffigurazioni; in questo senso il c. indiano esprime la cosmologia induista.
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(a. h. borbein)