Vedi CANNE dell'anno: 1959 - 1973
CANNE (Cannae, Κάνναι)
A metà strada tra Barletta e Canosa, a 10 km dal mare, sulla riva dell'Ofanto, sorge la collina per lunga tradizione designata col nome di "Monte di Canne". È l'ultimo contrafforte digradante dalle Murge e sta come a guardia del corso inferiore del fiume. Tale valore topografico ne fa la chiave della Puglia centrale, e questo spiega le diverse battaglie che, per il possesso della regione, si sono combattute dai Romani fino ai Bizantini e ai Normanni.
Sulla spianata di quella collina, sin dalla fine del 1700 erano visibili le rovine dell'antica città; e nelle sue immediate vicinanze sono apparsi frammenti di ceramica neolitica e dell'Età del Bronzo. Un menhir vi segna il termine più settentrionale della diffusione di quei caratteristici monumenti megalitici dal Capo di Leuca al fiume Ofanto. Non vi mancano sepolcri dell'Età del Ferro e altri con vasellame di stile geometrico dauno, che scendono al VI-V sec. a. C.
Ma il nome di C. è soprattutto collegato alla sconfitta che nel 216 a. C. Annibale inflisse ai Romani: uno dei più grandi avvenimenti della storia.
Le incertezze delle fonti non consentivano di precisare il punto dove si svolse la battaglia, se sulla riva destra o sulla sinistra dell'Ofanto, ciò che interessava anche per la soluzione di problemi filologici e logistici. I dubbi potevano chiarirsi solo con una metodica campagna di scavi, e questi furono condotti a termine nel 1938. Non trascurando autorevoli ipotesi e notizie più o meno fantastiche di rinvenimenti di spade, elmi, corazze, la prima fase degli scavi si svolse sulla sponda sinistra. Per una zona lunga 8 km e larga non meno di 1 km, parallela al fiume, si praticarono grandi trincee, ma non vi si rinvennero che scarsi frammenti ceramici e coltelli di silice neolitici, oltre a un nucleo di 28 tombe bizantine. Spostata la ricerca sulla sponda destra, dopo avere indagato nelle varie direzioni, a quasi 1 km a S dell'antica città venne alla luce un vasto ossuario che si estendeva compatto per 23.000 mq.
Nella sua uniforme fisionomia, l'ossuario non presenta nessun carattere dei comuni cimiteri. Teschi, femori, costole, vertebre erano ammucchiati in disordine, e sovrapposti talvolta fino a 6 strati. Frammiste a tanto ossame, si trovano delle fosse rettangolari contenenti di regola uno scheletro per lo più disteso orizzontalmente. Nelle fosse e negli strati, nessun avanzo di corredo sepolcrale. Le fosse risultano tutte di materiale eterogeneo, adattato evidentemente in maniera sommaria e affrettata: lastre irregolari di calcare, sassi informi, pezzi di grossi dolî e di mattoni spezzati, frammenti architettonici e altro materiale di edifici distrutti. Assai scarsi i frammenti di armi; in alcune orbite e cavità nasali tracce di ossido di ferro che fanno pensare a punta di lancia o di frecce; delle fratture di teschi rivelano colpi di arma da taglio. Nella generalità, gli scheletri sono da riferirsi a individui giovani e adulti. Riesce difficile non riconoscere qui un sepolcro di fortuna, un sepolcreto di guerra.
Un sicuro indizio cronologico ci deriva dall'essersi trovate due monete di Maroneia, città della Tracia, coniate sotto Filippo il Macedone, che fu appunto, alleato di Annibale. Ad un mondo semitico accennano certi costumi funebri: le braccia incrociate sul petto, la pratica di immolare prigionieri al vincitore, la copertura a schema antropoide in alcune delle fosse rettangolari. Un primo esame antropologico dei teschi ha riscontrato affinità con teschi di necropoli puniche.
In certi tratti del sepolcreto si contarono fino a 16 teschi, aggrovigliati con scarsi avanzi di scheletri: ne risulterebbe, in quella superficie di 23.000 mq, un calcolo non esagerato di 45-50.000 morti. Un siffatto numero risponderebbe alla media più probabile dei caduti nella battaglia annibalica del 216 a. C., ed elimina un qualsiasi riferimento alle altre modeste battaglie svoltesi presso l'Ofanto. Infine la coesistenza della duplice maniera di deposizione può ritenersi una conferma del racconto di T. Livio: all'indomani della battaglia Annibale fece seppellire i suoi, e dei Romani lasciati insepolti non restò che la più grande rovina dei corpi.
La campagna di scavi non escluse una iniziale esplorazione della collina della città. Venne messa in evidenza gran parte delle mura di cinta; nel taglio di un grande trincerone, basi onorarie e numerose iscrizioni latine, soglie e stipiti di porte, tronchi di colonne di granito e di marmo si presentano allineati in modo da offrire l'aspetto di un'antica strada fiancheggiata da case e da tabernae. È molto verosimile l'ipotesi che C. funzionasse come emporio della ricca Canosa. Sotto Tiberio un adiutor Caesari era addetto a un lanificio; un C. Saturnino vi tenne la carica di augustale. Nel IV sec., Costantino e Giuliano vi ebbero delle statue onorarie (C. I. L., ix, 318 e 319). Nell'alto Medioevo la cittadina dovette permanere all'ombra di Canosa, che fu sede di una delle più antiche diocesi d'Italia. Canosa fu distrutta dai Saraceni nell'872. Una ventina di pergamene ci dicono della persistenza di un episcopus Cannensis fin nel sec. XIII. Nel 1277 la città distrutta dava l'immagine di una selva: silvae effigiem praesentaret locus ubi Cannensis civitas erat sita. Gli oggetti di carattere archeologico rinvenuti a C. sono conservati nel locale Antiquarium, inaugurato nel 1958.
Bibl.: Per le fonti e la bibl. v. G. De Sanctis, Storia dei Romani, VIII, p. 736. Per gli scavi: M. Gervasio, Scavi di C., in Japigia, IX, 1938, p. 389, e X, 1939, p. 129.