CANNE (Cannae)
La rocca di Canne sorgeva sopra un'altura sulla destra dell'Ofanto, a circa 6 km. dal mare. Qui i Romani che fronteggiavano Annibale nel nord dell'Apulia fra il Tiferno e il Frento, avevano collocato uno dei loro magazzini di rifornimento. Sulla primavera del 216 a. C. Annibale, sottraendosi alla vigilanza del nemico abbandonò l'Apulia settentrionale e con rapida mossa, sceso a sud dell'Aufido, s'impadronì di Canne, trasportandosi così in una pianura ricca di messi e atta a far valere la sua superiorità in cavalleria. Ivi lo seguirono i due consoli del 216, Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo, che con quattro legioni forti di 45-50.000 uomini si stanziarono in due campi, uno maggiore presso la destra del fiume, uno minore più a valle sulla sinistra. Annibale che si era accampato sulla sinistra, ripiegò sulla destra nelle vicinanze immediate di Canne. Egli disponeva di 35-40.000 uomini, ma era superiore al nemico per il valore e forse anche per il numero della cavalleria. I Romani desideravano di venire a battaglia, fiduciosi nel valore della loro fanteria e nella superiorità numerica. In caso di sconfitta essi contavano di poter ripiegare sui loro campi fortificati e poi su Canosa o Venosa. Annibale, stretto fra i campi romani e il mare, non aveva invece altra speranza di salvezza che nella vittoria. Tuttavia egli accettò la battaglia, che gli offersero i consoli il 2 agosto 216 (secondo il calendario romano). Trasportate tutte le loro forze sulla sinistra dell'Aufido i Romani avevano disposto alle ali la cavalleria, al centro la fanteria, in linee serrate e profonde, sperando di sopraffare in tal modo i Cartaginesi. Annibale protese in avanti il centro formato dalla fanteria celtica ed iberica e tenne immobili sui due lati di questa i fanti libici; dispose alle ali secondo il consueto la cavalleria, a sinistra i Cartaginesi, a destra i Numidi. Mentre, appena iniziata la battaglia, la cavalleria cartaginese fugava la cavalleria della destra romana, i Romani al centro respingevano la fanteria gallo-ispana e si avanzavano inseguendola come un cuneo entro la fronte cartaginese. Era il momento atteso da Annibale per dare il segnale dell'avanzata alla fanteria libica, la quale era rimasta immobile spettatrice del combattimento che si svolgeva al centro. Così le legioni romane avanzanti si trovarono serrate come in una tenaglia, e l'accerchiamento fu compiuto quando la cavalleria cartaginese, reduce dall'inseguimento, fugò prima i cavalieri dell'ala sinistra, che ancora resistevano ai Numidi, e poi attaccò a tergo le legioni. In tal modo la disfatta della fanteria romana fu completa. Perirono 20 o 25.000 uomini fra cui il console Emilio Paolo, il console dell'anno precedente Servilio e l'ex-maestro dei cavalieri Minucio; furono fatti circa 10.000 prigionieri. Fu una terribile sconfitta, dopo la quale cominciarono le ribellioni fra gli alleati romani dell'Italia meridionale, dovuta soprattutto agli avvedimenti tattici di Annibale. La sua manovra a tenaglia, prima di allora non mai adoperata, rimase meritamente famosa e fu assai ammirata anche in età moderna dai tecnici dell'arte militare, e imitata con successo nell'ultima guerra europea, particolarmente nella battaglia di Tannenberg.
Si è molto discusso intorno alla topografia della battaglia di Canne. Non pochi critici, fra cui il Kromayer, la collocano sulla destra dell'Ofanto; ma quasi tutti i più autorevoli, a partire dal generale De Vaudoncourt, col Niebuhr e col Delbrück, la collocano sulla sinistra. Scavi sistematici, che sembra siano per iniziarsi, potranno forse stabilire se non altro la esatta topografia dei campi romani e del cartaginese. Quanto alle forze, Livio trovava nelle sue fonti notizie contraddittorie e Polibio parla di 8 legioni, ma è da credere che il termine di legione (στρατόπεδον) sia qui usato da Polibio, come altrove, in un senso improprio, cioè indichi tanto la legione romana quanto il relativo contingente di alleati, per modo che si tratterebbe in realtà di 4 legioni romane con le corrispondenti alae sociorum, conforme a una delle versioni che Livio aveva davanti a sé.
Si è discusso anche intorno alla data, ma sembra probabile che la data del calendario romano d'allora corrispondesse approssimativamente alla data giuliana.
Fonti: Polibio, III, 113-117; Livio, XXII, 45-50; Appiano, Annibalica, 19-25; Plutarco, Fabio, 15-16. Copiosi, ma senza grande importanza, gli accenni in altre fonti secondarie.
Bibl.: H. Delbrück, Geschichte der Kriegskunst, I, 3ª ed., Berlino 1920, p. 326 segg.; J. Kromayer, Antike Schlachtfelder, III, i, Berlino 1912, p. 278 segg. (ivi amplissima bibliogr.); J. Kahrstedt, Geschichte der Karthager, Berlino 1913, pag. 426 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, ii, Torino 1917, pp. 58 segg., 131 segg.; H. Delbrück, in Historische Zeitschrift, CIX (1912), p. 481 segg.; W. Judeich, in Historische Zeitschrift, CXXXVI (1927), p. 1 segg.; Kromayer-Veith, Schlachten-Atlas, Röm. Abt., puntata 1ª, Lipsia 1922, tav. vi; A. v. Schlieffen, Cannä, 2ª ed., 1925; E. Pais, Storia di Roma durante le guerre puniche, Roma 1927, I, pp. 250-255.