Cannabis
Genere di pianta della famiglia Cannabacee cui appartengono Cannabis sativa (canapa) e C. indica (canapa indiana). Tanto da C. sativa quanto da C. indica si estraggono sostanze psicotrope note come hascish e marijuana. L’hashish è una resina di colore scuro. La marijuana si ottiene da inflorescenze essiccate e poi polverizzate. Le sostanze psicoattive vengono inalate o ingerite.
I cannabinoidi (sostanze chimiche derivate da Cannabis, prodotti ottenuti da tessuto nervoso o sintetizzati in laboratorio) si legano a specifici recettori (CB1 e CB2) nel sistema cannabinergico. I recettori CB1 si trovano sostanzialmente nel sistema nervoso centrale (talamo e corteccia) mentre i CB2 sono stati identificati nelle cellule del sistema immunitario. Il legame dei cannabinoidi ai recettori CB1 causa una inibizione presinaptica del rilascio di vari neurotrasmettitori con inibizione delle vie nervose ascendenti del dolore.
I risultati dell’assunzione di canapa sono diversi e vanno dalla sensazione di benessere, alla maggiore attività di natura creativa, dalla generale maggiore intensificazione delle risposte emozionali fino alla genesi di stati ansiosi di natura paranoide. Un consumo protratto induce dipendenza sebbene non si abbia certezza di effetti indotti da overdose. Nota per centinaia di anni come pianta medicinale la C. ha assunto un particolare interesse, oltre che per il suo ruolo di sostanza stupefacente, per le potenziali azioni antidolorifiche. In particolare la C. agisce nel dolore neuropatico e di natura neoplastica. Vari studi sono in corso, dal primo decennio del 21o sec., per valutare ed eventualmente validare l’efficacia della C. in una serie di malattie (inappetenza correlabile all’assunzione di chemioterapici nel trattamento di neoplasie maligne, epilessia, sclerosi multipla, glaucoma, effetti antibiotici). Si tratta di sperimentazioni di grande rilievo clinico che devono poi essere considerate alla luce delle varie leggi di proibizione o limitazione che però mutano da nazione a nazione.
Uso terapeutico ed effetti dannosi della cannabis
Gli studi sugli effetti della cannabis sulla salute, prevalentemente nella varietà Cannabis indica, sono numerosi, ma i risultati sono spesso contraddittori perché la ricerca sperimentale incontra ostacoli di varia natura: infatti l’uso della pianta è quasi ovunque illegale e questo crea la difficoltà di ottenere, anche se a solo scopo di ricerca, campioni di qualità soddisfacente in termini di purezza, conservazione e contenuto di principi attivi. Inoltre è necessario differenziare gli effetti talora opposti dei diversi principi attivi presenti nella pianta, anche riguardo alle modifiche del dosaggio consueto dei principi stessi, sia nell’hashish sia nella marijuana, per le esigenze commerciali legate al mercato delle droghe d’abuso.
Nella cannabis sono presenti numerosi principi attivi, tra questi il cannabidiolo. Mentre la sostanza a maggiore effetto psicoattivo è il D-9-tetraidrocannabinolo (D-9-THC), il THC è una sostanza fortemente lipofila e quindi tende a concentrarsi nei tessuti più ricchi di grassi, quali l’encefalo. Per tale motivo è possibile reperire il THC nel cervello anche a distanza di molti mesi dall’ultima assunzione. Sono noti almeno 2 tipi di recettori per il THC: i recettori CB1, presenti soprattutto sui neuroni centrali e periferici, e i CB2, presenti soprattutto sulle cellule immunitarie. Sono stati identificati agonisti endogeni dei recettori cannabinoidi (endocannabinoidi). È chiaro che il sistema endocannabinoide, attivo attraverso i CB1, è coinvolto nel circuito dopaminergico mesolimbico della ricompensa. I cannabinoidi aumentano, infatti, il rilascio di dopamina nel nucleo accumbens. I recettori CB1 sono presenti in grandi quantità nei gangli della base, associati col controllo dei movimenti: nel cervelletto, che coordina i movimenti del corpo; nell’ippocampo, associato con le funzioni dell’apprendimento, della memoria e del controllo dello stress; nella corteccia cerebrale, sede delle funzioni cognitive più elevate. Sono anche presenti nell’ipotalamo, che regola tra l’altro la sensazione di sazietà; nell’amigdala, associata con le emozioni e la paura; nel midollo spinale, associato con le sensazioni periferiche come il dolore; nel tronco encefalico, associato con il sonno, l’eccitazione sessuale e il controllo motorio; nel nucleo del tratto solitario, associato con sensazioni viscerali, come la nausea e lo stimolo al vomito.
Gli effetti della cannabis includono stimolazione dell’appetito, secchezza delle fauci, arrossamento oculare, riduzione della pressione intra-oculare, riduzione delle capacità motorie e della concentrazione, tachicardia e ipertensione successiva a vasodilatazione periferica (rischio d’ischemia cardiaca). L’elettroencefalografia evidenzia onde alfa più persistenti e di frequenza leggermente più bassa del normale. È frequente, a livello soggettivo, maggiore apprezzamento del gusto e dell’aroma del cibo, della musica e delle attività ricreative. La cannabis allevia la tensione e dà un leggero senso di euforia. A dosi elevate, la cannabis può determinare distorsioni più marcate nella percezione del tempo e dello spazio, nella percezione del corpo, deliri, allucinazioni visive e uditive, depersonalizzazione. Nelle aree del controllo motorio e della memoria gli effetti della cannabis risultano direttamente evidenti. I cannabinoidi, secondo la dose, possono inibire transitoriamente la trasmissione dei segnali neuronali nei gangli basali e nel cervelletto. A bassi dosaggi, i cannabinoidi sembrano stimolare il movimento del corpo, mentre ad alti dosaggi sembrano inibirlo, il che si manifesta con ridotta stabilità della postura e ridotta fermezza della mano nell’eseguire compiti e movimenti che richiedono particolare attenzione. L’uso prolungato di cannabis determina fenomeni d’assuefazione e dipendenza.
Spesso l’uso è associato con abuso d’alcol. L’uso prolungato di cannabis determina effetti cognitivi e comportamentali descritti come sindrome amotivazionale. La cannabis esacerba i sintomi psicotici e aumenta il rischio di ricadute della schizofrenia. La relazione tra cannabis e psicosi sembra essere bidirezionale. Recenti revisioni sistematiche della letteratura scientifica hanno dimostrato che la cannabis, in particolare se assunta massicciamente nel corso dell’adolescenza, aumenta il rischio di psicosi, indipendentemente da effetti transitori e confondenti d’intossicazione, mentre l’evidenza per i disturbi affettivi è meno marcata. Questi dati andranno confermati da successivi studi longitudinali di popolazione, ma le evidenze sono sufficienti per avvertire i giovani che l’uso di cannabis può aumentare il loro rischio di sviluppare una psicosi.
La scoperta del sistema endocannabinoide ha permesso di sviluppare sostanze agoniste ed antagoniste selettive. Gli agonisti CB1 (come il THC) possono essere usati in clinica come antiemetici e stimolatori dell’appetito, in partic., nei pazienti affetti da AIDS, e per diminuire la nausea che deriva dai trattamenti chemioterapici e dalle irradiazioni nei pazienti affetti da cancro. Altri possibili usi includono la soppressione della spasticità muscolare dovuta alla sclerosi multipla o alle lesioni del midollo spinale, il sollievo dal dolore cronico e neuropatico, la terapia del glaucoma e dell’asma bronchiale. Tuttavia non è ancora chiaro se i benefici siano superiori ai rischi, se la cannabis ha complessivamente vantaggi terapeutici rispetto ai singoli cannabinoidi, se sarà possibile sviluppare farmaci con attività psicotropa ridotta, ma che mantengano gli effetti terapeutici mediati dai recettori CB1. Gli antagonisti CB1 hanno applicazioni cliniche, quali la soppressione dell’appetito e la terapia della schizofrenia e dei disturbi cognitivi e mnesici. Il cannabidiolo ha invece effetti antinfiammatori e immunomodulatori.