cangiare
Il verbo, di chiara discendenza francese (changier), è di uso quasi esclusivamente poetico, come ‛ cambiare ' (v.), con cui si alterna - con 18 occorrenze contro 13, escluse quelle del Fiore, in cui c. manca - senza che sia possibile determinare un preciso criterio di scelta. Significa " mutare "; prevale l'uso transitivo.
Con riferimento all'aspetto fisico, in Vn XII 12 22, nel discorso che la ballata, accompagnandosi ad Amore, dovrebbe rivolgere a madonna: Amore è qui, che per vostra bieltate / lo face [D.], come vol, vista cangiare, " mutare aspetto " (cfr. non mutò 'l core, al v. 24; per analoghi accostamenti dei due verbi, v. CAMBIARE); del pari dovuto all'opera di Amore è l'altro mutamento cui D. allude, ancora nella Vita Nuova (XIV 12 12, con costrutto pronominale): [Amore] fere tra' miei spiriti paurosi, / e quale ancide, e qual pinge di fore / ... ond'io mi cangio in figura d'altrui, " assumo l'aspetto di un'altra persona " (Pazzaglia), concetto che riprende i vv. 2-4 non pensate, donna, onde si mova / ch'io vi rassembri sì figura nova / quando riguardo la vostra beltate. Ancora all'aspetto fisico si riferisce la cangiata labbia (Pg XXIII 47), la faccia di Forese, che la lunga pena ha trasformato sì da renderlo irriconoscibile, e il c. colore' (If III 101) delle anime ammassate sulla riva dell'Acheronte, ratto che 'nteser le parole crude con cui Caronte le aveva apostrofate (con lo stesso complemento oggetto c. ricorre in O IV XXIX 11, detto d'una massa bianca di grano cui si potrebbe sostituire a grano a grano lo formento con meliga rossa, e tutta la massa ... cangerebbe colore).
La metamorfosi di Tiresia, che mutò sembiante / quando di maschio femmina divenne (If XX 41), è vista attraverso un trasformarsi di membra: cangiandosi le membra tutte quante (v. 42; si noti ancora l'accostamento ‛ mutare ' - c. e il costrutto del tipo di ablativo assoluto). In Pg XXXII 81 si allude alla trasfigurazione di Cristo che, dopo esser diventato splendente " sicut sol " (Matt. 17, 2), riprende il suo aspetto normale: Pietro e Giovanni e Iacopo... / videro... / al maestro suo cangiata stola, dove c. stola ' assomma in sé il fatto del " cambiare abito " e quello del " cambiare aspetto ". Cfr. infatti Scartazzini-Vandelli: " Con stola si dice non tanto la veste, che realmente si cangiò a Cristo nella trasfigurazione ma non si cangiò sola, quanto tutta la apparente figura di lui " (Casini-Barbi, Torraca e Porena intendono invece stola solo come " abito "; Chimenz e Mattalia considerano possibili entrambe le interpretazioni).
È detto anche di oggetti inanimati, come il mondo che il villanello vede aver cangiata faccia (If XXIV 13), " aver mutato aspetto ", una volta discioltasi la brina di cui la campagna biancheggiava; oppure - in un contesto figurato - la luna, delle cui macchie Beatrice dà un'ampia spiegazione, osservando che se raro [cioè, minore densità di materia] fosse di quel bruno / cagion... sì come comparte / lo grasso e 'l magro un corpo,così questo / nel suo volume cangerebbe carte (Pd II 78), " idest mutaret figuram, nel suo volume, idest esset rarum quantum ad partem sui, et densum quantum ad aliam partem " (Benvenuto). E " translatione dal libro, dove una faccia è bianca et l'altra nera ", dice il Landino; traslato che il Tommaseo trova " qui non assai opportuno ". Il Vellutello accenna all'opinione di altri che " hanno inteso ‛ il suo volume ' per ‛ il suo moto ', e ‛ che cangerebbe carte ' perché in tal modo ‛ cangerebbe aspetto ' "; il Porena vede nell'espressione " una metafora suggerita da volume detto del corpo della Luna, ma poi volto a senso di libro ".
Due volte il verbo si riferisce a un cambiamento di luogo: a proposito del ramarro che, cangiando sepe, / folgore par se la via attraversa (If XXV 80), e, in senso astratto, della figlia di Taumante [l'arcobaleno], / che di là cangia sovente contrade (Pg XXI 51), si sposta nelle diverse regioni del cielo.
Con vari complementi: D. si paragona a quei che disvuol ciò che volle / e per novi pensier cangia proposta, " proponimento " (If II 38); Rime dubbie X 11 [il cuore] cangiò stato [" disposizione, atteggiamento sentimentale "] quando 'l prese Amore / per quella donna; in espressione figurata è detto del disio che non cangia il verde [" la sua freschezza ", Contini; cioè " rimane sempre vivo "], / si è barbato ne la dura petra / che parla e sente come fosse donna (Rime CL 4). Più complesso il passo di Pd IX 47, inserito nel discorso di Cunizza, tutto contesto di allusioni e predizioni: ma tosto fia che Padova al palude / cangerà l'acqua che Vincenza bagna. L'opinione più accreditata fra i commentatori antichi e moderni è che D. alluda qui alla sconfitta subita dai Padovani nel 1314, ad opera di Cangrande della Scala (cfr. G.Villani IX 63), per cui Padova " juxta paludem vicinam, cangerà l'acqua, idest permutabit faciendo ipsam rubeam sanguine suo, che Vicenza bagna; nam Bachilionus labitur per Vicentiam " (Benvenuto: interpretazione che sembra senz'altro preferibile " perché a questo punto calza meglio la predizione dei mali che sovrastano così a Padova come alle altre città vicine; e a Dante dovè certo piacere poter registrare una vittoria di Cangrande, ottenuta come vicario dell'impero, sopra una città che era stata ribelle ad Arrigo VII " (Casini-Barbi; il Torraca ricorda 'l grande scempio / che fece l'Arbia colorata in rosso, di If X 85-86). Per altre interpretazioni deviazioni di acque operate dai Padovani per inondare Vicenza (Mercuri) o per provvedersi dell'acqua necessaria, onde poter continuare la guerra (Gloria) - cfr. il commento lipsiense dello Scartazzini; cfr. anche G.A. Venturi, in " Bull. " XVIII (1911) 60.
Il complemento oggetto è sottinteso nel passo di Pd VI 9, dove Giustiniano rievoca il lungo volo dell'aquila imperiale: l'uccel di Dio / ... governò 'l mondo... di mano in mano, / e, sì cangiando [" cioè cambiando e mutando l'uno imperadore dopo l'altro ", Buti], in su la mia pervenne.
Il costrutto assoluto è documentato in Cv IV XXIX 11, nel secondo termine del paragone iniziatosi con l'esempio della massa bianca di grano, già ricordato: come... tutta la massa... cangerebbe colore; così de la nobile progenie potrebbero li buoni morire a uno a uno e nascere in quella li malvagi, tanto che cangerebbe lo nome, e non nobile ma vile da dire sarebbe.
Il valore di " cambiare " Si amplia infine in quello di " ricambiare " nelle parole che D. rivolge al conte Ugolino (If XXXII 138): 0 tu che mostri... / odio sovra colui che tu ti mangi, / dimmi 'l perché... per tal convegno, / che se tu a ragion di lui ti piangi, / sappiendo chi voi siete e la sua pecca, / nel mondo suso ancora io te ne cangi, " remunerem te " (Benvenuto; cfr. anche Chiaro Quanto ch'è 3 " di voi mi tegno amico, / credendomi esser di voi ben cangiato ").