CANDIDO
Presbitero della Chiesa romana, nel settembre del 595 venne nominato dal papa Gregorio I "rector patrimonii beati Petri per Gallias", succedendo ad un patricius Dinamio, morto - od esonerato dall'incarico - sin dall'aprile precedente. C. fu l'unico presbitero chiamato a ricoprire, tra la fine del VI e la prima metà del sec. VII, l'incarico di "rector patrimonii", ufficio per il quale si preferì sempre scegliere dei diaconi o dei suddiaconi.
Non possediamo alcuna notizia relativa a C. che sia anteriore al 595: ci sono ignote così la data esatta della sua nascita, come la sua estrazione sociale e le vicende della sua formazione spirituale. Doveva, tuttavia, appartenere a famiglia romana, e nel clero romano doveva avere percorso la sua precedente carriera. A differenza dei suoi predecessori, infatti, Gregorio I scelse i rectores tra gli ecclesiastici della Chiesa romana: tra i diaconi, per i patrimoni di maggior importanza; tra i notarii Apostolicae sedis o tra i defensores Ecclesiae Romanae per gli altri. Nella lettera Quamvis inter medias del 15 apr. 595, inoltre, il papa, raccomandando agli amministratori delle "massae" e degli altri fondi di proprietà della Chiesa romana nella Gallia meridionale di obbedire in tutto ad un Arechi, patricius e vir gloriosus, ricordava loro che quest'ultimo avrebbe tenuto provvisoriamente l'amministrazione di quei beni ecclesiastici, sino a quando, cioè, non fosse, giunto sul posto "a latere suo" il nuovo rettore, munito delle necessarie credenziali, "cum litteris commendaticiis ad excellentissimum regem". La nomina di C. dovette dunque rappresentare il tentativo di legare più strettamente alla Sede apostolica il patrimonio della Chiesa romana in Gallia - che sin'allora era stato amministrato sotto il controllo dei nuovi vescovi locali - e di vincolare il rettore direttamente al pontefice, in modo che il suo, da semplice incarico amministrativo, diventasse un vero e proprio incarico politico.
Partito da Roma con lettere credenziali del papa per la regina Brunechilde e per il re Childeperto II dei Franchi d'Austria, C. dovette giungere in Provenza sul finire dell'anno. Subito si dovette mettere in contatto con i sovrani, cui il pontefice l'aveva raccomandato ed il cui favore era pregiudiziale ad un soddisfacente svolgimento della sua missione: potenti e numerose erano infatti le personalità, nei confronti delle quali l'amministrazione dei beni della Chiesa romana vantava crediti, che urgeva venissero spenti. Del resto Gregorio I non mancò di seguire molto da vicino l'opera di C., impartendogli sempre delle direttive molto precise anche in materia economica. Mentre era ancora in viaggio verso la Francia, il papa gli aveva inviato una lettera, la Pergens auxiliante, in cui gli raccomandava di acquistare - quando fosse giunto in sede ed avesse raccolto il danaro necessario riscuotendo le somme dovute presso i debitori insolventi - abiti e generi alimentari da distribuire con larghezza aipoveri; il nuovo rettore, inoltre, avrebbe dovuto curare il riscatto di schiavi angli dell'età di 17 o 18 anni, che, "in monasteriis datis, Deo proficiant", potessero cioè venir impiegati come servi e coadiutori presso le comunità monastiche missionarie. Questo invito, oltre che da ragioni caritative e pastorali, era dettato anche da valide motivazioni economiche. Il papa riteneva infatti che fosse molto più proficuo impiegare direttamente sul posto i proventi delle rendite del patrimonio di S. Pietro in Provenza, anziché inviarli in Italia, dove le monete franche non venivano accettate che a malincuore e ad un cambio notevolmente sfavorevole. Con lettere circolari del 23 luglio 596, ai vescovi Pelagio di Tours, Sereno di Marsiglia, Eterio di Lione, Desiderio di Vienne, Siagrio di Autun, il papa si faceva premura di raccomandare il nuovo rettore del "patrimoniolum" della Chiesa romana in Francia ed il suo lavoro (Licet apud sacerdotes);mentre con due altre di poco successive, la Quamvis fraternitatem e la Quantus in vobis, ordinava al vescovo Vergilio di Arles metropolita delle Gallie di consegnare a C. i redditi del patrimonio, che erano stati raccolti dal suo predecessore, quand'egli ne curava l'amministrazione in qualità di vicario, nella diocesi di Arles. Allo stesso modo, nel maggio del 597, il papa scrisse a C. per pregarlo di informarsi sulle condizioni di vita di quattro fratelli, schiavi di alcuni ebrei di Narbonne; se ne avesse ravvisata la possibilità, egli avrebbe dovuto provvedere anche al loro riscatto, a spese della Chiesa romana (Dominicus praesentium).
Insieme con i compiti di carattere essenzialmente amministrativo connessi col suo ufficio di "rector patrimonii b. Petri per Gallias", C. svolse anche altre funzioni, ben più ampie e di maggiore responsabilità, ma difficilmente definibili con precisione in termini giuridici e giurisdizionali. Egli era, di fatto, il rappresentante ufficiale del papa in Gallia, il suo fiduciario sia presso i sovrani e la corte merovingia, sia presso i vescovi locali, nei confronti dei quali svolgeva funzioni di controllo e godeva di una certa autorità. Questi erano i motivi che avevano indotto Gregorio I a presentare e a raccomandare C. alla regina Brunechilde e al re Childeperto II prima ancora che fosse partito dall'Italia, sul finire dell'estate del 595; e la preghiera di vegliare sul nuovo rettore del patrimonio della Chiesa romana in Gallia venne rinnovata sia nel luglio del 596, dopo l'ascesa al trono dei due figli di Childeperto II, Teoderico II e Teodeberto II (ma il papa non mancò di rivolgersi in questa occasione anche alla regina madre e ad una delle principali autorità laiche, il "patricius Galliae" Arechi), sia nella primavera-estate del 601, quando pose addirittura sotto la protezione regia il patrimonio ed il suo rettore (lettera Prudentes viros, Jaffé-Ewald, Regesta..., n. 1893). Analoghe considerazioni avevano indotto il pontefice a fornire a C. credenziali e commendatizie non solo per i vescovi della provincia nella quale il patrimonio era situato - la Francia meridionale -, ma anche per quelli di altre diocesi del regno merovingio (come Pelagio di Tours o Siagrio di Autun). E nella veste di uomo di fiducia di Gregorio I vediamo agire C. sino all'inizio del sec. VII: come nell'autunno del 597, quando ebbe l'onore di consegnare al vescovo di Autun il pallio concesso dall'imperatore al presule franco; o quando fu il tramite fra s. Colombano e il papa, allorché si trattò la spinosa questione del computo pasquale. Nel giugno del 601, nel corso di un suo viaggio a Roma, C. fu interrogato da Gregorio I, che voleva avere più precise informazioni sul conto del vescovo di Vienne, Desiderio, e sull'entusiasino - pericoloso dal punto di vista dottrinale e ascetico - da questo dimostrato nei confronti dell'antica cultura umanistica e della letteratura pagana: "Non è ammissibile che dei vescovi cantino cose, che non sarebbero convenienti nemmeno per un laico religioso", scriveva allora il papa a Desiderio, "perché su una stessa bocca non possono accompagnarsi agli inni in onore di Giove le laudi sacre al Cristo". Sempre in quel mese C. ricevette dal papa l'incarico di consegnare, dopo il suo rientro in Gallia, alcune reliquie di s. Pietro - segno tangibile della benevolenza e della considerazione pontificia - a un importante uomo politico franco, il "patricius Galliarum" Asclepiodoto. Nella lettera, con cui accompagnava il suo dono, Gregorio I non mancava di raccomandare all'influenza e al prestigio del "patricius" e il rettore e il patrimonio ecclesiastico da questo amministrato. A C. il papa conseguava anche una lettera di presentazione per il vescovo Arechi di Gap: segno che l'autorità del rettore si era estesa anche al Delfinato. Ma una ulteriore riprova della fiducia che il pontefice aveva in lui è data dalla lettera Lator praesentium filius del luglio 599 (Jaffé-Ewald, Regesta..., n. 1750). Con questa lettera, infatti, il papa demandava a C. il compito e l'autorità di trovare, nelle diocesi franche sottoposte al suo controllo, un incarico adatto per un certo Aurelio - un sacerdote che da Roma indirizzava appunto a lui -, affidandogli o una cura d'anime presso un centro abitato, o la direzione di una comunità monastica.
Dopo il 601, per oltre un decennio il nome di C. non ricorre più nell'epistolario di Gregorio Magno, né in alcun altro documento a noi noto. Il sacerdote dovette tuttavia rimanere in Francia, conservandovi l'amministrazione del "patrimonium" della Chiesa romana e le funzioni di rappresentante del papa anche sotto gli immediati successori di Gregorio I: Sabiniano, Bonifacio III e Bonifacio IV. Appunto in Gallia, come diretto e fidato collaboratore di Bonifacio IV, compare infatti nell'ultimo documento a noi noto che ci parli di lui, la lettera Multum, frater carissime del 23 ag. 611, inviata dal papa al nuovo "metropolita Galliarum", il vescovo Floriano di Arles (Jaffé-Ewald, Regesta..., n. 2001).
Nel confermare la sua elezione a vescovo di Arles, il papa ricordava a Floriano soprattutto gli oneri e i doveri connessi col ministero episcopale e con l'autorità primaziale, e lo esortava a mostrarsi degno di quel pallio che, "iuxta antiquam consuetudinem", i presuli di quella sede portavano nella loro qualità di "metropolitae Galliarum" e che egli ora gli inviava. Il pontefice si diceva tuttavia certo che Floriano sarebbe stato all'altezza del suo nuovo, altissimo compito affidatogli. Le lettere inviategli da Teodeberto II, re dei Franchi d'Austrasia, e da Teoderico II, re d'Orléans e di Borgogna, e dai vescovi franchi per notificargli l'avvenuta elezione avevano sottolineato la santità dei costumi, l'integrità morale, l'ansia apostolica del nuovo primate: e le parole dei sovrani e dei presuli franchi avevano trovato autorevole conferma nei rapporti "dilectissimi filii nostri Candidi presbyteri".
Nell'estate dell'anno 613, dunque, C. era ancora vivo ed attivo, e si trovava ancora in Gallia: a quale titolo e in quale veste, non possiamo dire con sicurezza, anche se è probabile che egli ricoprisse ancora la carica di "rector patrimonii". In proposito, infatti, Bonifacio IV - che nell'ultima parte della citata lettera a Floriano raccomandava, al nuovo metropolita il "patrimoniolum Ecclesiae nostrae in illis partibus constitutum" - non dice nulla di esplicito.
Il rector rispondeva direttamente al papa del patrimonio e della vita che vi si svolgeva, in tutti i suoi aspetti: disciplinari, sociali, economici, assistenziali, morali. Doveva mantenersi in stretto rapporto con le autorità laiche, con i vescovi, il clero, le chiese e le comunità monastiche della provincia; doveva inoltre riferire al pontefice di tutte le questioni che potevano insorgere nella provincia stessa - e non solo di quelle interne del patrimonium. Dal punto di vista strettamente amministrativo, la figura del rettore di un patrimonio ecclesiastico non differiva molto quella del sovrintendente del demanio imperiale. Doveva tenere un'accurata contabilità delle entrate - costituite ordinariamente dal versamento dei censi, in natura o in danaro, da parte dei fittavoli o dei coloni - e delle uscite (spese di gestione e per le opere assistenziali) del patrimonium; doveva consegnare alla Camera apostolica il ricavato netto delle entrate in danaro, e curare l'invio a Roma - nella misura e nei generi stabiliti dall'amministrazione centrale - delle entrate in natura. Grazie alla volenterosa collaborazione di C., accanto al quale vediamo agire in questi anni anche monaci missionari inviati da Gregorio Magno ad evangelizzare la lontana Britannia, l'azione pastorale del grande pontefice si fece sentire efficacemente anche entro i confini del regno dei Franchi. Non molto esteso territorialmente ed ubicato nella Francia mediterranea, nelle regioni di Marsiglia e di Arles, il patrimonium Galliarum acquistò, grazie alla sua posizione geografica, un'importanza notevole nel quadro della politica ecclesiastica avviata da Gregorio I. Era infatti l'unico patrimonio della Chiesa romana posto al di fuori dei confini dell'Impero, in territorio occupato da popolazioni germaniche. Si può comprendere dunque il valore della missione affidata a C., e l'importanza particolare che il pontefice le attribuiva. Attraverso il patrimonium Galliarum si poterono mantenere rapporti diretti con i vescovi franchi, e stabilire, tra lo scorcio del sec. VI e gli inizi del VII, le prime buone relazioni tra i grandi signori ed i re franchi, da un lato, ed i vescovi di Roma, tesi all'espansione missionaria e all'evangelizzazione dell'Occidente già romano.
Fonti e Bibl.:Gregorii papae I Registrum Epistolarium, in Mon. Germ. Hist., Epist., I-II, a cura di P. Ewald-L. M. Hartmann, Berolini 1887-1899, nn. V, 31; VI, 5, 6, 10, 49, 50, 50b, 51, 52, 53, 55, 57; VII, 21; VIII, 4; IX, 221; XI, 34, 43, 44; Epistolae aevi Merowingicicollectae, III, ibid., a cura di W. Gundlach, ibid. 1892, nn. 12 s., pp. 453, 456; Columbani abbatis Luxoviensis et Bobbiensis Epistolae, a cura di W. Gundlach, ibid., n. 1 pp. 156-160; P. Jaffé-P. Ewald, Regesta pontificum Romanorum..., I, Lipsiae 1885, nn. 1384-1386, 1432 s., 1435-1439, 1441, 1467, 1491, 1750, 1824, 1833, 1835, 2001; E. Spearing, The Patrimony of the Roman Church in the Time of Gregory the Great, Cambridge 1918, passim;O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Roma s.d. (ma 1941), pp. 263-268, 279 ss.