CANDELABRO (lat. candelabrum; fr. candélabre; sp. candelabro; ted. Kandelaber; ingl. candelabrum)
Arte antica. - Il bisogno di una illuminazione artificiale, specie per uso domestico, indusse per tempo l'uomo a ricercare non soltanto una materia illuminante di speciale intensità, legno resinoso, grasso o cera, ma anche il mezzo più conveniente per collocare la sorgente di luce al punto e all'altezza voluti. Fu questo mezzo dapprima un semplice sostegno fittile o metallico, in forma di breve cilindro; si ottiene tuttavia il vero e proprio candelabro, adattando a un sostegno artificiale il peduccio, cui è direttamente assicurata la sorgente di luce. Sontuosi sono gli aurei candelabri che nell'Odissea (VII, 100 segg.) ornano la reggia di Alcinoo. Ivi, nei χρύσειοι κοῦροι, sarebbe già stato tradotto in tipo statuario il motivo comune dello schiavo sorreggente la fiaccola.
La riunione di un certo numero di peducci, con o senza punta centrale per infilare la fiaccola, o la riunione di semplici punte diritte intorno ad un unico asse, conferisce al candelabro la sua forma complessa definitiva.
Le scarse testimonianze letterarie non permettono di stabilire con sicurezza qual forma tipica avessero in Grecia i candelabri a più luci. Il celebre lampadario d'oro eseguito da Callimaco per il tempio di Atena Poliade sull'acropoli ateniese (Paus., I, 26, 6) era forse ad una sola luce; e funzionando esso a mezzo di un lucignolo immerso nell'olio, suggerisce l'idea piuttosto di una lucerna che di un candelabro.
Un'ampia e particolareggiata documentazione sui candelabri metallici forniscono invece le suppellettili delle antiche necropoli etrusche. Si sa che gli Etruschi furono egregi foggiatori di candelabri, e che le loro produzioni erano assai stimate anche fuori della regione. I più antichi candelabri etruschi di bronzo sono ritornati alla luce dalla necropoli arcaica orientalizzante di Vetulonia (secoli VII-VI a. C.): essi sono composti di un asse verticale di lamina, retto da quattro piedi in croce, piegati ad angolo e lisci, e sormontato da un motivo figurato o floreale in bronzo; l'asse sostiene, a distanze uguali una dall'altra, tre o quattro coppie di braccia appuntite. Da questo modello primitivo si sviluppano gli artistici candelabri etruschi dei secoli V e IV a. C., quali si ammirano specialmente nel Museo etrusco del Vaticano, in quello di Villa Giulia a Roma e nel Museo civico di Bologna. Questi candelabri constano di uno stelo sfaccettato o scanalato; alto oltre i 75 cm., piantato sopra una base a zampe ferine (v. fig. accanto); lo stelo è sormontato da un alto e complesso capitello a parecchie gole, con figura o piccolo gruppo statuario ornamentale collocato al sommo a guisa di pomo, e regge non meno di quattro braccia a raggiera terminanti in punta.
Due candelabri del genere, un po' semplificati, si veggono in funzione in una pittura della tomba etrusca dei Velî ai Sette Camini (Orvieto), che è del sec. IV a. C. Poco più tardi, se non contemporaneamente, si sviluppa in Etruria un tipo di candelabro metallico più basso, da tavola, con lo stelo arricchito a volte di molti e varî motivi figurati, sia alla base, come talora s'incontra anche nei candelabri etruschi più antichi, sia lungo lo stelo. Al sommo del candelabro è un piattello concavo poco profondo, per collocarvi la lucerna. Lo stesso piattello concavo più o meno profondo poteva anche servire per bruciare incenso o profumi, nel qual caso l'oggetto ha da considerarsi, più che un candelabro, un incensiere.
Il mondo ellenistico-romano, come già il mondo greco, dovette largamente utilizzare la produzione etrusca in questo campo. Candelabri numerosi di bronzo, tutti dalle forme elegantissime, ma spesso anche strane e bizzarre, sono ritornati alla luce dagli scavi di Pompei e di Ercolano. Prevale però il tipo di candelabro in forma di stelo o di colonnina (alt. fino a m. 1,50), trasformato talora negli esemplari da tavola, in tronco d'albero, o sostituito da una figura umana. In questi casi il piattello centrale è fornito spesso di ramificazioni all'intorno, per sostenere le lucerne a mezzo di catenelle. Nella grande arte è assai nota la statua di efebo in bronzo, di Via dell'Abbondanza a Pompei, adattata a sorreggere un braccio di candelabro (cfr. Lucr., De rer. nat., II, 24).
Dal suolo di Roma in genere e da Villa Adriana in ispecie provengono candelabri di marmo più o meno grandiosi, consistenti in grossi steli a fogliami di acanto o ad altri motivi floreali svariatissimi, riposanti per lo più su basi a tronco di piramide con le facce ornate da figure a rilievo. È probabile ch'essi fossero posti nei templi. Una copiosa documentazione di candelabri adoperati nel mondo romano ci è conservata in un rilievo figurato del Museo lateranense, dove si rappresenta una lamentazione funebre intorno al cadavere di una donna. I candelabri in uso nel mondo cristiano sono informati al tipo più semplice.
Bibl.: E. Saglio, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des ant. gr. et rom., I, ii, p. 869; A. Mau, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v.; R. Cagnat e Chapot, Manuel d'archéol. rom., II, Parigi 1920, p. 467 segg.; L. A. Milani, Il R. Museo Archeologico di Firenze, Firenze 1912, p. 212 segg. (per la bibliografia vetuloniese); P. Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1927, p. 127 e passim; A. Della Seta, Museo di Villa Giulia, Roma 1918, p. 61 e passim; A. Mau, Pompeji in Leben u. Kunst, 2ª ed., Lipsia 1908, p. 393 segg.; E. Pernice, Gefässe u. Geräte aus Bronze (vol. IV dell'op. Die hellenist. Kunst in Pompeji), Berlino-Lipsia 1925, p. 43 segg.; G. B. Piranesi, Raccolta di vasi antichi, candelabri, tripodi, ecc., Milano 1825, tav. XXV e passim; P. Gusman, L'art décor. de Rome, Parigi 1908, tav. XX e passim; id., La villa imp. de Tibur, Parigi 1904, p. 253 segg.
Medioevo ed età moderna. - L'uso dei candelabri, posti ai lati delle immagini sacre o dei defunti, è attestato dal principio del sec. IV; il Liber pontificalis ricorda candelabri d'oro e d'argento offerti da Costantino alle chiese di Roma. Candelabri si mettevano anche sulle croci stazionali, come ci attestano le illustrazioni dei manoscritti, e anche sui ciborî che ricoprivano gli altari, come appare in una medaglia cristiana. La forma di questi candelabri era di solito quella a lungo stelo poggiante su tre piedi e sostenente una coppa svasata; accanto a questa compare però quasi subito la forma più complessa a balaustro, con globi che interrompono la linea diritta del fusto, e poggiante di solito su tre piedi o zampe di leone. Non mancano raffigurazioni dei candelabri nei monumenti (e basti ricordare i candelabri mistici nei mosaici degli archi trionfali delle basiliche di Roma); ma pochi sono invece gli originali giunti fino a noi, come quelli di bronzo, con lucerne infisse, del Museo di Trieste, o altri di provenienza copta (Museo del Cairo), più piccoli e talora a lucerna, che si fanno risalire fino al secolo III-V. Per i secoli VIII e IX si ha notizia di numerosi candelabri d'oro e d'argento (uno d'argento di 335 libbre era dinnanzi all'abside di San Pietro e aveva il fusto a spirale decorato di corone e di croci), ma non ne resta alcun esemplare; e dalle rappresentazioni in sculture, in miniature, nei mosaici, bene si scorge che ne furono mantenute le forme tradizionali. Il rinnovamento fu invece profondo nell'età romanica, sia nei candelabri monumentali sia in quelli minori e nei semplici candelieri. A candelabri monumentali diedero occasione le cerimonie per il cero pasquale, della settimana santa, che vediamo illustrate nelle miniature degli Exultet dell'Italia meridionale. E gli scultori ispirandosi anche in qualche parte all'antico li composero con grande varietà di struttura e di decorazione: di marmo come quelli della basilica romana di S. Paolo, del duomo di Gaeta - tutto istoriato - del duomo di Salerno e della cappella palatina di Palermo; di bronzo come quello del vescovo Bernardo a Hildesheim, che ricorda le colonne coclidi romane.
Di candelabri di minori dimensioni si hanno esempî insigni in quelli argentei del duomo di Hildesheim (sec. XI), nel candelabro bronzeo cesellato e dorato dell'abbazia di Gloucester (sec. XII), ora al Victoria and Albert Museum di Londra, con gli attributi evangelistici nel nodo e un fantastico intreccio di figure mostruose e umane. Nella Germania del Nord, nei secoli XI e XII, si produssero anche molti candelieri di bronzo d'uso domestico, che eccellono per eleganza di forme e fineza di fusione, per lo più a foggia di pianta sostenuta da un drago (Firenze, Museo Nazionale), o altrimenti arricchiti di figure di mostri.
L'influsso nordico procurò anche in Italia l'imitazione di quei modelli; ma gli esempi maggiori che da noi si hanno dei secoli XII-XIII sono pur sempre di fattura non nostra, come il magnifico, altissimo candelabro del duomo di Milano, attribuito a Nicola di Verdun (col piede coperto di un viluppo di mostri, di figure, di fogliami, di rappresentazioni sacre), o i due candelabri musulmani di San Giorgio Maggiore a Venezia. La forma del candelabro non subisce variazioni notevoli nel sec. XIII: tende se mai, nei candelieri di uso più comune, a semplificarsi e a snellirsi e nello stesso tempo a rendersi più varia nelle decorazioni in cui soccorrono gli smalti e il bulino; e in quelli di marmo, a colonnina attorcigliata (Roma, S. Maria in Cosmedin), bene si risente lo stile gotico, come in quelli metallici con viticci e a traforo. Divenne più frequente l'uso del cristallo, prima introdotto soltanto in sfere d'ornamento nei candelieri di bronzo: e si fecero, tutti di elementi di cristallo, grandi candelieri su piede metallico come quello di S. Nicola di Bari e della collezione Morgan. Si ritornava sempre più a quella forma del candeliere a bocciolo che riprende i motivi più semplici dei primi candelabri cristiani e che divenne tipica nel candelabro da altare. Di questi se ne producevano a Limoges di smaltati sino dalla fine del sec. XIV: e in questo periodo accanto alla Germania che continua la tradizione ormai assai solida della fusione in bronzo (candelabro a sette braccia di Francoforte sull'Oder) anche i Paesi Bassi ne producono di svariati, e molti si trovano fra la cosiddetta dinanderie la cui produzione si estese anche a tutto il sec. XV.
Nel Rinascimento italiano anche i candelabri, come tutti gli arredi sacri di carattere monumentale, si fecero a preferenza di marmo o di bronzo, ma si ebbero anche con particolare frequenza candelabri di legno intagliato e dorato (Bologna, Monteoliveto, candelabro pasquale di Agostino de Marchis; Verona, S. Maria in Organo, candelabro di fra Giovanni da Verona), d'argento dorato e cesellato come quelli con statuette donati a S. Marco dal doge Cristoforo Moro (1462-71). Dei candelieri di bronzo molti di quelli d'uso profano erano costituiti da figure di satiri e di ninfe che reggono il sostegno della candela, o da figure di animali; i più semplici avevano una base circolare fortemente profilata e un breve bocciolo. Codesta forma fu derivata, per certo a Venezia, dall'arte musulmana. La quale, così nei candelieri come nei monumentali candelabri da moschea, mantenne lungamente un medesimo tipo variandolo con la decorazione, ora lavorata a sbalzo, ora all'agemina come nei preziosi bronzi di Mossul (secoli XI-XIII) coperti d'ornati e di figure.
Nei grandi candelabri da chiesa si complicò il disegno in fantastica riunione di balaustri e di vasi che sorreggono i piattelli, con un contrasto talvolta fra la poca chiarezza costruttiva e la delicatezza di particolari, sebbene raramente manchi l'armonia della massa plastica delle singole parti con il profilo dell'insieme rastremato verso l'alto. Gli esemplari più ricchi sono avvivati da piccole figure ornamentali, da rilievi, da festoni di frutta, da teste di putti che aiutano soprattutto la distinzione delle parti. Fra i più semplici e primitivi è un candelabro fiorentino del 1468 nel Museo d'arte industriale a Berlino. Tra i più originali, e quasi d'ispirazione donatelliana, il candelabro ad anfora del duomo di Pistoia; l'esempio più insigne è senza dubbio quello di Andrea Riccio nel Santo di Padova (dei primi del secolo XVI), capolavoro della scultura padovana in bronzo. Da Padova e da Venezia provengono anche molti candelieri minori, di uso sia ecclesiastico sia domestico. Al sec. XVI risalgono molti candelieri di arte spagnola: sono opera dei de Arfe, tra i più celebri orafi del tempo; e anche Benvenuto Cellini ne fece per il vescovo di Salamanca. In Italia, dal sec. XVII in poi, si mantenne la tradizionale ricchezza di decorazione, modificando il disegno totale e quello dei particolari col variare dello stile (candelabri del Gentili nel Tesoro della basilica vaticana; quello di V. Cioli nel Museo Nazionale di Firenze; candelabro con arme Strozzi nel Museo d'arte industriale di Berlino). Fuori prevalse la forma a balaustra, di metallo, liscia e ricca di sagome. Con l'epoca di Luigi XIV nella ricca produzione di bronzi ornamentali si annoverano anche molti candelabri da chiesa e profani; e vi attesero allora e per tutto il sec. XVIII anche i più celebri artisti, riprendendo motivi classici e creando nuove forme. La fantasia degli artisti si sbizzarrì soprattutto nei numerosi candelabri a muro in cui dal corpo mediano (una figura umana desinente in foglie, un motivo architettonico, una faretra, un vaso) sorgono le braccia del candelabro. Le figure mitologiche sono frequenti nei candelabri da tavolo, in cui da quelle si sviluppano le volute d'acanto con i boccioli floreali; così i vasi sottili ovoidali da cui talvolta sorge il mazzo di fiori, mentre le gemme o i fiori servono da boccioli. Gli stessi motivi furono usati per i candelabri di metallo prezioso, generalmente più piccoli che nei secoli precedenti. I modelli francesi, più semplici e più sobrî, furono adottati anche in Germania e in Austria, dove se ne fecero anche di legno intagliato e bronzo; e una maggiore semplicità si nota anche nei candelabri inglesi per lo più d'oro o d'argento.
Gli stili Luigi XV e XVI, se trasformavano un poco il repertorio dei motivi decorativi, non mutavano sostanzialmente le forme e i tipi dei candelabri, che costituirono allora un ornamento indispensabile degli ambienti. Il bronzo dorato rimase la materia più usata; l'ornamentazione plastica è ancora frequente e accoppia con grazia i motivi araldici, mitologici e di genere: l'invenzione è spesso desunta dallo stile o addirittura dai modelli dei migliori artisti. L'influsso francese, così vasto e forte in tutta l'Europa nel sec. XVIII, continuò anche sotto l'impero che predilesse i motivi schiettamente classici: ma né allora né nel corso del sec. XIX è possibile segnalare esemplari degni di essere avvicinati per eccellenza d'arte agli antecedenti (V. tavole CLXVII-CLXXII).
Bibl.: J. Labarte, Histoire des arts industriels au moyen-âge et à l'époque de la Renaissance, Parigi 1872-1875; Didron ainé, Manuel des øuvres de bronze et d'orfèvrerie du moyen-âge, Parigi 1869; F. Cabrol, Dict. d'archéologie et de liturgie chrétienne, II, ii e III, i, Parigi 1924 e 13 (alle voci Candélabre e Chandelier); G. Lehnert, Illustrierte Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino s. a.; F. Schottmüller, Bronzestatuetten und Geräte, Berlino 1918; W. Bode, Die italienischen Bronze statuetten der Renaissance, Berlino 1922; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, pp. 67, 1109-1110.
Candelabro votivo. - Il candeliere votivo, destinato a reggere il cero in onore del santo al quale il voto è stato fatto, ha forme e proporzioni variabili; onde, spesso, prende il nome dell'oggetto che rappresenta o raffigura. Così a Nola, son detti Gigli gli otto candelieri, che ogni anno si portano in giro nel giorno della festa di S. Paolino, per commemorare il ritorno del santo (confuso con Paolino III, vescovo all'inizio del sec. VI) dalla schiavitù, quando i Nolani gli andarono incontro, secondo la tradizione, con fiori e specialmente gigli inalberati su grossi bastoni. Col volgere del tempo, i bastoni gigliati crescendo fino a tre o quattro metri, avrebbero dato origine alle guglie votive che le otto corporazioni locali preparavano e portavano in giro nella ricorrenza del 22 giugno. Ogni candeliere, rivestito di cartonaggi rappresentanti nelle pitture i misteri del taumaturgo e diviso in scompartimenti in cui prendono posto i devoti e l'orchestra, raggiunge l'altezza di 20 o 25 metri. Così in Sardegna si chiamano Palme (Nulvi, Sassari) dalle forme o dalle decorazioni a motivi palmari e floreali, i sette candelieri che i gremi (corporazioni) costruiscono per il ferragosto, a guisa di colonne, dell'altezza di qualche metro, col capitello guernito di banderuole. Non di rado i candelieri vanno anche sotto il nome di ceri, a ricordo della prima offerta votiva, da cui si vennero svolgendo le costruzioni che si ammirano nelle festività. Le tre colossali antenne di legno che col nome di ceri il 15 maggio si portano a processione in Gubbio, non sono che le forme ingigantite dei tre ceri o torticci, che sin dal sec. XIV dovevano offrire, ciascuna al suo patrono, le tre corporazioni locali. Più preciso è il nome di "macchine del cero" come sono dette tali costruzioni in un documento siciliano del 1576.
A tal genere di opere appartiene la macchina di Santa Rosa, che sessantadue uomini in divisa bianca con fascia rossa, disposti in cinque linee parallele, portano in giro per le vie di Viterbo il 3 settembre. L'origine della festa pare rimonti a quasi tre secoli addietro, quando i Viterbesi, decimati dalla peste, invocarono la protezione della santa, alla quale poi offrirono, per ringraziamento, il colossale carro che è una guglia di stile gotico, dell'altezza di diciannove metri, con in cima una guglietta finale, che porta nel vertice un fiore cruciforme. Tre tempietti sovrapposti compongono la facciata e nell'ultimo di essi è collocata, in una nicchia, S. Rosa col grembo fiorito di rose.
Bibl.: R. Corso, I carri sacri in Italia, in Boll. d'arte del Min. P. I., 1922, febbraio; G. Amalfi, Tradizioni ed usi della penisola sorrentina, Palermo 1890, n. 40; Catalogo della mostra d'etnogr. ital. in Roma, Bergamo 1911, p. 113; P. Cenci, I ceri di Gubbio e la loro storia, Città di Castello 1908; F. Polese, Le feste pop. cristiane in Italia, in Atti del primo congresso di etnogr. ital., Perugia 1912, pp. 21-114; G. Pitrè, Spettacoli e feste popolari siciliane, Palermo 1881, pp. 346, 347, 353.
Frutticoltura. - È una forma di allevamento e potatura delle piante da frutto, detta pure "a U". I candelabri sono formati da un breve fusto verticale alto da terra da 35 a 40 cm., che a sua volta porta delle branche pure verticali (candele) distanti fra loro da 40 a 50 cm. Si possono avere candelabri a due branche (o a U semplice); a quattro branche (a doppio U), o anche a branche multiple. Per allevare una pianta a candelabro a due branche la pianta viene potata a 40 cm. da terra, allevando 2 germogli laterali e opposti. Alla potatura dell'anno seguente i due rami si piegano per un breve tratto orizzontalmente, poi verticalmente, badando che nella parte verticale risultino distanti fra loro da 40 a 50 cm., indi si raccorciano a circa un quarto della loro lunghezza. Per ottenere un candelabro a 4 branche, dopo la prima potatura sopra descritta, si lasciano su ciascuno dei due rami altri due rami laterali, che si dispongono come quelli dell'U semplice.
La forma ad U semplice è razionale e abbastanza facile ad allevare; quella a doppio U è più elegante, ma più difficile.