CAMPOVECCHIO
Ancora è tutta da studiare la vita e l'opera dei due fratelli, Giovanni e Luigi, originari di Mantova, attivi negli ultimi decenni del XVIII sec. Per quel poco di notizie che ne abbiamo, la loro attività non è ancora ben divisa ma sulla fede del Coddè possiamo considerare il primo pittore e il secondo architetto.
Luigi studiò all'Accademia di Mantova sotto Giovanni Bottani che era succeduto a Giuseppe nel 1784. Paolo Pozzo, che dal 1772 insegnava all'Accademia di Mantova, lo enumera, nel 1791, tra i suoi migliori discepoli (in D'Arco, II, pp. 221 s.).
Un documento del gennaio 1791 (ibid., p. 221) lo caratterizza come "molto diligente" nel disegno: "sà rilevare le fabbriche con tutta aggiustatezza avendo meritato la sorte di essere in concorso stato eletto uno degli allievi che ora godono in Roma delle gratuite pensioni". Da questa notizia si ha un cenno sulla sua prima attività romana come rilevatore di architetture, della quale si trovano informazioni più esatte in una lettera di Luigi scritta da Roma il 2 dic. 1789 ed indirizzata al Pozzo (ibid.): in essa l'artista comunica di aver finito di rilevare il palazzo Cicciaporci di Giulio Romano ed esprime il proposito di voler continuare a copiare le architetture dell'architetto mantovano. Altri documenti si riferiscono a questa impresa; e nel 1791 il Pozzo richiede una sovvenzione all'intendente di Mantova per fare terminare a Luigi tale lavoro evidentemente legato all'Accademia di Mantova, che aveva certo un interesse speciale nel documentare la vita e l'opera del massimo esponente dell'arte mantovana.
L'unica testimonianza diretta di una attività architettonica di Luigi ci è data in un progetto di un "Pubblico Ridotto" premiato l'anno 1792 dalla R. Accademia di Parma e più tardi dedicato "Agli amici che formano l'Accademia della Pace, delle cui fatiche, e saggie riflessioni riconosce in parte i suoi progressi...", illustrato nelle tre incisioni che formano il "soggetto nono" della Raccolta di IX. Progetti Architettorici inventati e Disegnati da alcuni membri della Accademia detta della Pace (Roma s.d., tavv. 1-3: si puòconsultare presso la Biblioteca dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte e presso la Bibl. Sarti dell'Accademia Nazionale di S. Luca a Roma).
Giovanni, secondo il Coddè, studiò in patria, dove probabilmente frequentò l'Accademia degli Encausti fondata nel 1784 dal marchese Giuseppe Bianchi. Nell'agosto del 1785 sembra essere a Roma: infatti nelle Memorie per le Belle Arti (p. 124), presentando i Saggi dell'antica arte de' greci e de' romani… dell'abate V. Requeno, si asserisce che "il Signor abate Conti mantovano valoroso pittore istorico ed il Sig. Gio. Campovecchio mantovano, anch'egli diligente e vago paesista, hanno ambedue dipinto con le cere seguendo i precetti del Requeno", e Giovanni avrebbe bruciato "varie eleganti fatiche". Lo stesso autore (p. 116) in un paesaggio di Giovanni apprezza "la perfezione con cui il colore imita a meraviglia gli accidenti della luce fra le nuvole, fra le piante e sopra tutti gli oggetti acquistando le tinte un certo diafano che le rende distinguibili ancora nei maggiori oscuri". Nel 1788 nello stesso periodico (p. 152) si dice che Giovanni "ha la gloria di essere il primo paesista che in Roma abbia tentata questa carriera" e che sono di lui i paesaggi nei quadri "con storie dell'antico" di G. B. Dalera, F. Giani e A. Misertaure che adornavano lo studio tutto ad encausto che Caterina di Russia aveva commissionato a C. Unterberger. A Roma era anche nel 1790 quando dipingeva decorazioni per il Giani in palazzo Altieri (A. Schiavo, Palazzo Altieri, Roma s.d., pp. 118, 151). Sempre il Coddè riferisce che Giovanni si distingueva a Roma come pittore di paesi e che era "emulo" di Claude Lorrain. Sembra che con questa attività abbia trovato in breve tempo una vasta e buona clientela. Secondo la breve vita scritta da Pietro Asti a Napoli nel 1804 (D'Arco, II, pp. 237 s.), i suoi clienti, oltre che in Italia, erano in Inghilterra, Russia, Germania, Danimarca. Giovanni sarebbe stato infine inviato a Napoli per dirigere quella Accademia e a Napoli sarebbe morto nel 1804 (Gazzetta di Mantova). La sua firma è riprodotta da D'arco, II, tavola 2, n. 13.
Il Faldi menziona Giovanni come collaboratore del Giani per i paesaggi destinati all'Ermitage di Pietroburgo; e per analogia con i personaggi della sala degli stucchi di palazzo Altieri gli attribuisce degli ovali nella sala XIII della villa Borghese. Come opere sicure di Giovanni - che caratterizza come finissimo paesaggista - cita cinque grandi pannelli con vedute di monumenti romani già nella saletta dei paesaggi del palazzo Chigi all'Ariccia, distrutti in parte ma documentati da fotografie (Gab. fot. naz. C. 6876-80). Sei tempere su carta applicata su tela nella Galleria Pallavicini sono firmate "Campovecchio" e datate 1802 (F. Zeri, La Galleria Pallavicini in Roma, Roma 1959, pp. 66 s.) due di esse sono state esposte alla mostra Il Settecento a Roma (catal., Roma 1959, p. 73), mentre firmato "Giovanni Campovecchio" è un Arco di Tito della Galleria nazionale di Roma. Uno studio di Tivoli è infine conservato nel Museo di Montpellier.
Fonti e Bibl.: P. Coddè, Memorie biografiche..., Mantova 1837, p. 43; C. D'Arco, Delle arti e degli artefici di Mantova, Mantova 1857, I, p. 111; II, pp. 221, 222 n. 3, 237 s.; I. Faldi, Opere romane di F. Giani, in Boll. d'Arte, XXVII (1952), pp. 243 n. 9, 245 n. 23 (per Giovanni); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 480 (sub voce Campovecchio Luigi, dove però si riportano lenotizie relative a Giovanni).