CAMPORESE, Pietro, il Vecchio
Nato a Roma il 20 ott. 1726, padre di Giulio e di Giuseppe, è il primo membro noto di una famiglia di architetti, attiva in Roma nei secc. XVIII e XIX, le cui origini non sono state ancora oggetto di ricerca.
Nulla sappiamo della sua formazione e del suo maestro. La prima data sicura riisale al 1754, quando il C. vinse un secondo premio al concorso Clementino dell'Accademia di S. Luca nella prima classe di architettura. Tema d'obbligo era il progetto, per la capitale di uno Stato monarchico, di un "magnifico tempio o cattedrale" con cupola, campanile e edifici adiacenti. Il lavoro premiato del C. non si stacca molto dai modi tardobarocchi che in quel tempo dominavano a Roma, tuttavia V. Fasolo vi rintraccia già l'imminente influsso di forme classicistiche (Classicismo romano nel Settecento, in Quaderni dell'Ist. di storia dell'architettura, 1953, 3, p. 14). Dal 1775 il C. fu membro dell'Accademia di S. Luca nella quale fu in seguito insegnante. Dei suoi anni giovanili non è giunta a noi nessuna costruzione accertata da documenti. Purtuttavia è noto che, già sotto Clemente XIV e poi sotto Pio IV, lavorò con M. Simonetti alle nuove sale del Museo Vaticano.
Dal 1776 costruì, insieme con P. Belli, il grandioso edificio del Collegio Germanico Ungarico presso S. Agostino.
Il possente blocco costruttivo, nelle sue sobrie forme tardobarocche, fa un effetto tetro benché somigli esternamente al vicino convento di S. Agostino del Vanvitelli, senza peraltro raggiungerne l'eleganza. Ma nell'interno costituiscono una sorpresa gli inconsueti incroci delle scalinate.
Per Flavio Chigi il C. trasformò una villa acquistata nel 1763 fuorì porta Salaria: nel 1776 vennero terminati il casino, al quale in precedenza aveva lavorato T. Bianchi, e il giardino. In qualità di "architetto pontificio", il C. fece progetti per l'erezione di una colonna, trovata nel 1777 in Campomarzio, che Pio VI avrebbe voluto far collocare nella piazza antistante il palazzo Montecitorio, con una statua della Giustizia in cima. Ma il progetto andò a monte e la colonna fu collocata, solo molto più tardi, in piazza di Spagna da L. Poletti.
Con il Belli il C. fu attivo anche nel convento di Subiaco, abbellito e arricchito con molti nuovi edifici da Pio VI, che ne era stato abate commendatario. I due architetti innalzarono l'arco trionfale per il papa, in forme anticheggianti. Fu iniziata dal C. anche la grandiosa chiesa di S. Andrea in Subiaco, terminata però dai figli Giulio e Giuseppe. Fra le sue opere principali è certamente il completamento (1774) della facciata di S. Maria in Aquiro a Roma.
Il progetto originario del sec. XVII, documentato da un disegno di F. Breccioli, era stato attuato solo nella metà inferiore della facciata. Poiché un lascito dell'eredità di mons. S. Tosquez ne consentiva il completamento, il C. innalzò, a fronteggiare solo la navata centrale, un piano superiore assai più stretto, con una loggia fiancheggiata da due basse torri. In questo modo alla facciata venne dato un aspetto del tutto nuovo, e tuttavia non unitario.
Gli scrittori contemporanei attribuiscono al C. anche un altare in S. Nicola da Tolentino, la cui decorazione plastica deve essere opera di V. Pacetti; inoltre gli viene attribuita la chiesa delle orsoline (1779). Il C. fu occupato anche in costruzioni provvisorie, come la "macchina" davanti alla Confraternita di S. Marcello per il venerdì santo del 1775. Nello stesso anno organizzò una festa per Pio VI in piazza Colonna. Disegnò i ritrovamenti archeologici venuti alla luce in occasione dei lavori per l'ospedale di S. Giovanni e pubblicò nel 1778 una riproduzione a colori di un antico mosaico pavimentale ritrovato sulla via Prenestina. Dal 1772 al 1776 eseguì, con il pittore G. Savorelli, i disegni per le incisioni dei due volumi Le loggie di Raffaello nel Vaticano (Roma 1772-76).
Il C. morì a Roma nel 1781.
L'architettura del C. è ancora volta ai modelli del tardo barocco romano, sia pur mescolati con forme che soprattutto il Vanvitelli adottava nelle sue opere romane: essa è esemplare della tendenza eclettica degli architetti romani della fine del sec. XVIII, prima dell'affermarsi del severo gusto neoclassico.
Fonti e Bibl.:Roma, Arch. dell'Accademia di S. Luca, Concorso Clementino, vol. X; Ibid., Bibl. dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte, Coll. Lanciani, Roma XI, 58/I; Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Chirografi, 1787; M. Malliò, Annali di Roma, I (1790), p. 127; A. Ademollo, Corilla Olimpica, Firenze 1807, p. 198; M. Prunetti, L'Osservatore delle Belle Arti in Roma..., II, Roma 1811, p. 24; A. Manazzale, Itinerario di Roma, Roma 1817, p. 252; M. Missirini, Mem. per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, p. 464; F. Gasparoni, Giuseppe Camporese, in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, IV, Venezia 1837, p. 291; S. Imperi, Della chiesa di S. Maria in Aquiro, Roma 1865, p. 43; D. Angeli, IBonaparte a Roma, Milano 1938, p. 19; C. Pietrangeli, Scavi e scoperte di antichità sotto il pontificato di Pio VI, Roma 1943, pp. 25, 65, 72, 94; E. Brües, Raffaele Stern. Ein Beitrag zur Architekturgeschichte in Rom zwischen 1790 und 1830, Dissertazione, Univ. di Bonn, 1958, passim;G. Incisa della Rocchetta, Villa Chigi, in Capitolium, XXXVI (1961), p. 3; G. Moroni, Dizionario di erudiz. stor-eccles., XII, p. 94; LXIV, p. 21; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 478.