CAMPORESE, Pietro, il Giovane
Figlio di Giulio, nacque a Roma il 22 maggio 1792. Studiò architettura con il padre e con lo zio Giuseppe, ma frequentò anche l'Accademia di S. Luca della quale in seguito divenne membro. Svolse la sua prima attività, assieme a P. Bosio, come aiuto di P. Belli nei primi lavori di restauro della basilica di S. Paolo fuori le mura dopo l'incendio del 1823. In questo periodo, tuttavia, vennero fatti piuttosto progetti che non veri e propri lavori edili; certo è che il C. non era più presente quando, nel 1833 ebbe l'incarico della ricostruzione L. Poletti. In quell'anno, in quanto membro dell'Accademia dei Virtuosi al Pantheon, prese parte all'apertura, della tomba di Raffaello e in quell'occasione progettò un provvisorio all'artista che fu molto elogiato da F. Gasparoni (Progetto di mausoleo temporaneo... nel Pantheon... di Raffaele Sanzio, Roma 1833).
Nel 1834 il C. restaurò la chiesa dei SS. Vito e Modesto. Si conserva un suo progetto per la ricostruzione della Stamperia Camerale (presso Fontana di Trevi), che fu poi invece realizzata su progetto di Giuseppe Valadier. Attorno al 1837 egli trasformò il teatro Argentina: nella composizione della facciata è evidente la dipendenza da modelli resi familiari a Roma dal Valadier (S. Pantaleo e piazza del Popolo).
Il C. riuscì perfino a scavalcare il vecchio Valadier per la trasformazione dell'edificio delle Poste pontificie (palazzo Wedekind in piazza Colonna). Al semplice edificio antepose una nuova facciata e un portico su colonne antiche provenienti dagli scavi di Veio: questo lavoro è già chiaramente indicativo del cambio di generazione rispetto all'epoca di Valadier; ha infatti un carattere fortemente cinquecentesco, esplicitamente differenziandosi così, per l'uso di robusti motivi rinascimentali, dal freddo classicismo della generazione precedente. Attorno al 1840 il C. costruì il tetro e severo ospedale degli Orfanelli presso S. Maria in Aquiro; dal 1831 al '46 l'ospedale di S. Giacomo degli Incurabili, un vasto complesso che da via del Corso si estende fino a via Ripetta.
Nel 1843 portò a termine le due basse facciate sul Corso, le quali, assieme alla facciata barocca della chiesa di S. Giacomo, costituiscono un importante prospetto: in armonia con le forme barocche, egli riuscì così a creare un insieme assai suggestivo dal punto di vista urbanistico.Risale a un suo progetto anche l'Istituto di Belle Arti in via Ripetta, costituito da due corpi di fabbrica collegati fra loro da un piccolo cortile a forma di emiciclo che si apre verso il Tevere, nei pressi del porto di Ripetta, con un vestibolo colonnato. Il Ceschi attribuisce al C. anche la facciata (1844) della chiesetta di S. Benedetto in Piscinula.
La sua vasta attività durante il pontificato di Gregorio XVI suscitò contro di lui malcontento (con accuse di interessi privati) nella popolazione romana, travagliata dall'aumento delle spese governative e delle conseguenti tasse. Ne resta traccia in alcune pasquinate: "...Gl'è quei che, distruggendo il suo paese, muri che durano un mese, ci sgrassa con la man d'un cardinale" (Roncalli, Cronaca..., p. 62).Dovettero essere conseguenza di questa ostilità e delle accuse il suo allontanamento da ogni incarico governativo nel primo periodo del pontificato di Pio IX (v. Bilancia, 7 genn. 1848)e la diminuzione della sua operosità nel periodo seguente.
Nel 1848 il C. progettò, per incarico dei redentoristi, la cappella di S. Alfonso de' Liguori in S. Maria in Monterone. Un anno dopo fece progetti per un ospedale presso S. Caterina del Funari. Gli si devono anche alcune costruzioni civili minori: un portico nel cortile dietro il coro di S. Giacomo degli Spagnoli, una casa per F. Cagiati in via Frattina, la casa di F. Borgognone e un edificio presso S. Chiara.
Nel corso del sesto decennio il C. entrò nel partito di opposizione liberale e nazionale (nel 1859 era uno dei maggiori rappresentanti del Comitato nazionale romano) e nel 1861 prese la difficile via dell'esilio.
Nello stesso anno fece parte, con il principe di Piombino e V. Tittoni, di una delegazione che tentò di consegnare a Napoleone III (non fu mai ricevuta) un indirizzo del popolo romano. La sua posizione si mantenne in seguito equidistante fra i moderati, che controllavano il Comitato nazionale, e i democratici; egli fu sempre fautore di una iniziativa di forza per la soluzione del problema romano, da affrontare anche all'interno della città (nel 1862, appoggiando il tentativo di Garibaldi, ammoniva i vecchi amici: "Non dico che vi associate, ma non vi isolate"; Roma, Museo centr. del Risorg., b. 243-7, 10).
Nel 1863 il C. era membro della commissione giudicatrice dei progetti per la facciata del duomo di Firenze. Nel 1869, riuscito a rientrare a Roma nel nuovo clima conciliante instaurato da Pio IX iniziò la costruzione della chiesa di S. Tommaso di Canterbury in via Monserrato, che fu terminata, dopo la sua morte, da Luigi Poletti e da Virgilio Vespignani. Subito dopo la liberazione di Roma, nel 1870, fu eletto consigliere comunale, su designazione del Circolo romano di tendenze democratiche. Ormai vecchio e malato, non svolse però una grande attività. Il suo ultimo importante incarico fu quello di presidente di una commissione, nominata dalla Giunta comunale per lo studio di un piano di sviluppo della città, il primo dei molti che in seguito tenteranno vanamente di mettere ordine nella sua caotica e disorganica crescita.
La commissione, formata tutta da romani, divisa da interne controversie, suggeriva di indirizzare le nuove costruzioni verso la zona alta di Roma (dal Viminale e parte dell'Esquilino fino al Macao, da qui a piazza S. Lorenzo, porta Maggiore e piazza S. Giovanni, fino a raggiungere la via Merulana): per quanto riguardava lo sviluppo verso la stazione era il proseguimento dei progetti di mons. de Mérode, ex ministro di Pio IX, proprietario di granparte dei terreni interessati. Si prevedevano anche grandi arterie e un quartiere industriale a Testaccio (la relazione del C. in Atti del Consiglio comunale di Roma, vol. 1870-71, pp. 384 ss., seduta 3 giugno 1871).
Morì a Roma il 23 febbr. 1873.
Il C. appartenne a quella generazione di architetti - eredi dei massimi neoclassici, Valadier e Giuseppe Camporese - i quali diedero all'architettura romana un'impronta cinquecentesca in senso storicistico. Egli può oggi apparire purista e accademico; comunque questo rivolgersi nuovamente alle opere del Rinascimento ha caratterizzato l'attività architettonica in Roma sino alle profonde trasformazioni dell'epoca moderna.
Uno scritto polernico del C., Il Goticismo, non firmato, si legge in L'Album, 2 genn. 1836, p. 339.
Fonti e Bibl.: Memorie romane di antichità e di belle arti, I, Roma 1824, p. 36; P. Odescalchi, De' nuovi lavori eseguiti nella diaconia dei SS. Vito e Modesto, Roma 1837, p. 4 e passim; F. Gasparoni, Sul ritrovamento delle obliate reliquie di Raffaele Sanzio e sul progetto di un funebre catafalco ideato in quella occasione dal cav. P. C., Roma 1837; Id., L'architetto girovago, Roma 1842, pp. 65, 164 s., 210, 212; P. E. Visconti, Città e famiglie..., Roma 1847, II, p. 676; N. Roncalli, Cronaca di Roma..., I, 1844-1848, a cura di M. L. Trebiliani, Roma 1972, ad Indicem; F. Gasparoni, Le fabbriche de' nostri tempi, Roma, 27 genn. 1851, p. 134; S. Imperi, Della chiesa di S. Maria in Aquiro, Roma 1865, p. 92; A. Muñoz, Roma cent'anni fa, Roma 1939, p. 15, tav. 20; A. Caracciolo, Roma capitale..., Roma 1956, ad Indicem; E. Brües, Raffaele Stern..., Dissertazione, Università di Bonn, 1958, pp. 29, 94 s.; I. Insolera, Roma moderna…, Torino 1962, ad Indicem; A. Muñoz, Roma nel primo Ottocento, Roma 1961, pp. 219 s.; Via del Corso, Roma 1961, pp. 90, 128-140, 197 s.; C. Ceschi, Le chiese di Roma dagli inizi del Neoclassico al 1961, Roma 1963, p. 83, fig. 90; P. Marconi, Valadier, Roma 1964, pp. 188, 254 s.; C. L. V. Meeks, Italian architecture 1750-1914, New Haven-London 1966, pp. 129, 314; F. Bartoccini, La "Roma dei Romani", Roma 1971, ad Indicem; Roma capitale. Documenti 1870, II, a cura di C. Tupputi Lodolini, Roma 1972, pp. 32, 260; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-ecclesiastica, ad Indicem; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 478.