Campanadas a medianoche
(Spagna/Svizzera 1964-65, 1966, Falstaff, bianco e nero, 119m); regia: Orson Welles; produzione: Emiliano Piedra, Ángel Escolano per Internacionales Films Española/Alpine; soggetto: dai testi teatrali Richard II, Henry IV, Henry V, The Merry Wives of Windsor di William Shakespeare e da The Chronicles of England di Raphael Holinshed; sceneggiatura: Orson Welles; fotografia: Edmond Richard; montaggio: Fritz Mueller; scenografia: José Antonio de la Guerra, Mariano Erdoza; costumi: Orson Welles; musica: Angelo Francesco Lavagnino.
Enrico IV di Lancaster, usurpatore del trono, è preoccupato per la vita dissoluta del figlio ed erede Hal, che conta Sir John Falstaff tra i più intimi compagni di gozzoviglie. Dopo aver assalito dei pellegrini, i due amici partono a combattere contro i ribelli al trono, riu-scendo in questo modo a sfuggire al giudizio della legge. Sul campo, Hal ha modo di comportarsi eroicamente e di contribuire a pieno titolo alla vittoria. Alla morte del sovrano per malattia, Hal ottiene la corona con il nome di Enrico V. Falstaff, appresa la notizia mentre ozia in taverna, accorre a corte, ma viene respinto e umiliato dal nuovo re. Morirà in solitudine e tristezza.
Considerato quasi unanimemente il miglior adattamento cinematografico da Shakespeare, Campanadas a medianoche è una sorprendente composizione in un linguaggio di prestigiosa tradizione e allo stesso tempo una sperimentazione quasi isolata: difficile trovare un'opera capace di riproporre la voce autentica del Bardo di Stratford con la stessa nitidezza, ancor più trovarne una che ne faccia uso per esprimere il fondo di una soggettività altra e inconfondibile, le cui tematiche, modulate con toccante ossessività, si fondono senza apparenti scarti con la drammaturgia di un classico per antonomasia. Maturazione della confidenza di Orson Welles con i testi, irrobustita tanto dalle precedenti riduzioni da Shakespeare (Othello ‒ Otello, 1952; Macbeth, 1948), quanto dalle molteplici messe in scena della sua carriera sul palcoscenico, il film è tratto da più opere (Richard II, Henry IV parte prima e seconda, Henry V e The Merry Wives of Windsor ), secondo un'idea analoga a quella di uno spettacolo teatrale del 1939 dello stesso Welles (Five Kings) che riuniva alcuni dei più importanti drammi shakespeariani sulla storia dell'Inghilterra. Nel film, tuttavia, è protagonista Falstaff, figura ricorrente in parte di quei testi, insieme al principe Hal e al padre Enrico IV. Sullo sfondo dei cruenti conflitti che diedero vita alla moderna monarchia inglese, Welles scontorna, grazie alla poesia originaria spesso riproposta alla lettera, il triangolo di un giovane di sangue regale diviso tra un padre freddo e spietato e un altro dolce e giocoso. La ribellione all'autorità paterna e la sua perpetuazione, l'intimità dell'amicizia e la disillusione della sua negazione, hanno il movimento profondo e inesorabile che porta dalla gaiezza della commedia alla desolazione tragica. Un movimento alimentato dalla più ampia estensione delle risorse espressive del grande schermo: gli stacchi repentini e l'uso mai neutro dei contrasti di luce e degli scorci scenografici, i volumi del grandangolo e la concentrazione dei primi piani, l'impeccabile lezione shakespeariana di John Gielgud e la ricchezza timbrica e filologica della musica di Lavagnino. Realizzato tra le consuete ristrettezze (la mediocre sonorizzazione compromise l'accoglienza della stampa di lingua inglese), girato in una Spagna scabra e nebbiosa, è un affresco fatto di sete di vita, crudeltà e ingratitudine nel quale Welles isola la trama consueta del proprio mondo, da Citizen Kane a The Magnificent Ambersons (L'orgoglio degli Amberson, 1942) a Touch of Evil: l'acuto senso di rimpianto, quasi ipnotico, per un'età scomparsa ("un mattino del mondo fresco di rugiada"), l'analisi del desiderio di dominio su esseri e cose che esercita il suo primato su ogni realtà.
Nei panni di un bonario e voluminoso gaglioffo, la cui marginalità sociale oppone innocenza e malizia infantili a un mondo dominato dalla malvagità e dal sopruso, Welles, un rubizzo Babbo Natale rubensiano, è il maestro di spensieratezza di un futuro principe consapevole fin dall'inizio che la propria adolescenza è solo un preludio al godimento machiavellico del potere. L'inquadratura passa dalla teatralità scenica delle taverne alla incisiva ricerca paesaggistica, dall'idillio autunnale di fronte al camino a regge gotiche e spettrali. Il tempo del film, che alterna la fluidità a tratti precipitosa di azione e dialoghi alla contemplazione, deflagra nella complessità ritmica della scena della battaglia, girata interamente in un parco di Madrid, che è anche uno dei saggi più impressionanti dell'abilità del regista alla moviola (dieci minuti che richiesero sei settimane di montaggio). Opposte opzioni estetiche, fondamentali nella evoluzione del linguaggio cinematografico, vi trovano una ibridazione forse insuperata. L'azione si espande divorando a macchia d'olio lo spazio fisico immaginario dello spettatore, come nei film di John Ford, ma, allo stesso tempo, la figurazione interna delle inquadrature fa entrare ogni immagine in conflitto con l'altra e la loro sintesi visiva, come nelle teorie di Sergej M. Ejzenštejn, produce un'incessante significazione astratta di forme. Il risultato è un possente vortice di violenza sanguinaria e geometrie visive, brutalità fisica ed esplosione grafica che sembra poter durare all'infinito.
Interpreti e personaggi: Orson Welles (Sir John Falstaff), Keith Baxter (principe Hal, poi Enrico V), John Gielgud (Enrico IV), Jeanne Moreau (Doll Tearsheet), Margaret Rutherford (Mrs. Quickly), Norman Rodway (Henry Percy, Hotspur), Marina Vlady (Kate Percy, Lady Hotspur), Alan Webb (mastro Shallow), Tony Beckley (Poins), Walter Chiari (Silenzio), Fernando Rey (Worcester), Michael Aldridge (Pistol), Andrew Faulds (Westmoreland), José Nieto (Northumberland), Jeremy Rowe (Lancaster), Beatrice Welles (paggio di Falstaff), Paddy Bedford (Bardolph), Ralph Richardson (voce del narratore).
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