cammino
Il sostantivo è usato spessissimo da D., soprattutto nella Commedia (37 volte) e nel Convivio (25 volte), ma compare anche nelle altre sue opere in volgare, dalle Rime alla Vita Nuova; numerose poi sono le occorrenze del termine nel Fiore, mentre nel Detto esso compare due sole volte.
Relativamente poche sono le occorrenze che ci presentano c. nel senso originario di " atto del camminare, di muoversi da un luogo a un altro, di procedere, avanzare verso una meta ". Fra di esse, assai interessanti quelle dei primi due canti dell'Inferno. In 135 [la lonza] 'mpediva tanto il mio cammino, non vorrà dire " ingombrava la via ", " ostruiva il passaggio ", ma piuttosto " impediva che io proseguissi ", e quindi " impediva il mio camminare ". Lo stesso varrà per II 63 è impedito / sì nel cammin, che vòlt' è per paura, e II 5 la guerra / sì del cammino e sì de la pietate, in cui il c. non è, oggettivamente, " la strada ", " il percorso ", bensì " il viaggio ", o meglio " il viaggiare " di D., soggettivamente; il che trova conferma nel valore di pietate, che equivale all'" angoscia... derivante dalla contemplazione di tanti dolori " (Sapegno).
In Pg XI 109 Provenzan Salvani del cammin sì poco piglia / dinanzi a Oderisi, ossia " cammina, per la fatica, a passi brevi e lenti "; così la maggior parte dei commentatori antichi e moderni. Benvenuto chiosa " quia ibat totus contractus per cornicem "; ma non si vede perché, contratto nel corpo, dovesse prendere poco spazio nella via; Vn XIII 6 colui che non sa per qual via pigli lo suo cammino, significa " colui che non sa per quale strada debba intraprendere a viaggiare ". Infine il luogo di Pd VIII 133 Natura generata il suo cammino / simil farebbe sempre a' generanti, / se non vincesse il proveder divino, si interpreta: " la natura dei figli camminerebbe in una direzione prestabilita e inderogabile, cioè quella dei padri ", se non intervenisse la Provvidenza divina.
Il sostantivo mantiene il senso attivo di " atto del camminare, di procedere ", in alcune locuzioni, e particolarmente in unione col verbo ‛ tenere ' e col verbo‛ entrare '. Così, ‛ tenere il c. ' significa " dirigersi ", " muovere in una direzione " (Cv IV XXII 6 e Fiore CXXXI 3); ‛ entrare in c. ' (o ne lo cammino) ha il valore di " mettersi in moto ", " intraprendere un viaggio ", " partire " (Cv IV XII 14 e XIII 12; Fiore CCXVII 8). All'opposto, ‛ uscire di c. ' varrà " cessare di essere in viaggio ", " arrivare " (Cv IV XXVIII 7).
Nei casi in cui il sostantivo vale " viaggio ", esso si trova a metà fra il significato attivo di " atto del viaggiare " e quello passivo di " itinerario percorso da chi viaggia ". Esempio tipico può essere considerato il caso di Pg XIX 22 Io volsi Ulisse del suo cammin vago, specialmente se, come pare al Del Lungo e alla maggioranza dei commentatori, l'aggettivo vago sia da riferirsi a cammino anziché a Ulisse: la sirena afferma di essere riuscita a " distrarre Ulisse dal suo vario, avventuroso viaggio ". Pure così ambivalente è il senso di c. in Pg III 56, XIV 129, XXII 136, XXIII 17 (per cammin può significare " durante il viaggio " o " lungo la strada ", o meglio le due cose insieme), e in Pg II 11 come gente che pensa a suo cammino, è astratta nel pensiero del viaggio che deve compiere, e del percorso da fare. Altri esempi: Cv IV XIII 12, XXVIII 5, Rime LXII 9, If XX 69 (sulla questione, v. F. Maggini, in Due letture dant. inedite, Firenze 1965, 75-79).
Da notare anche la locuzione ‛ andare per un c. ', che significa " andare di pari passo ", e metaforicamente " procedere di comune accordo " (If XXV 28, Pd XXX 144).
Talvolta vale " rotta ", " viaggio per mare ", e anche qui si può notare un'alternanza fra il senso attivo di " navigazione " e quello passivo di " tragitto in mare "; esempi in Cv II I 1, IV V 8, XXVIII 2, If xxvl 122, Pd XIII 137, in prevalenza in senso figurato, o nell'ambito di metafore ‛ marine ', come in Rime CXIV 3 si conviene omai altro cammino / a la mia nave più lungi dal lito.
In alcune occorrenze della Commedia vale non tanto genericamente " percorso " o " viaggio ", quanto il viaggio di D., il suo pellegrinare per i regni dell'oltretomba, con l'esperienza che gliene deriva; in tal senso, c. può non avere aggettivo qualificativo, ed è " il cammino " per antonomasia (If IX 21, Pd XXXI 95), o può essere specificato: nell'Inferno è alto e silvestro (Il 142), o semplicemente silvestro (XXI 84), o malvagio (XXXIV 95); nel Purgatorio è novo (XIII 17) o addirittura santo (XX 142), in quanto conduce alla conoscenza della verità, e quindi alla salvezza.
Di gran lunga più numerose sono le occorrenze in cui il sostantivo vale, come generalmente nell'italiano moderno, " strada ", " via, in quanto percorsa ", ossia " luogo percorso da chi cammina "; cosa in Vn IX 4, 9 1, XIX 1, Cv IV Le dolci rime 39, VII 5, 7 e 12, XXVIII 12, If IX 30 (ben so 'l cammin, " conosco la strada "), XV 48, XXXIV 133, Pg XXVI 28, Pd XXIII 63, Rime C 56 e Fiore LXIII 14, CC 2 ('l cammin ebbe tosto passeggiato, " in breve percorse il tratto "). Sfumatura leggermente diversa ha c. in Pd IX 89 [la Magra] per cammin corto / parte lo Genovese dal Toscano, " per breve tratto ", " per poche miglia ": la locuzione è resa possibile anche dal fatto che c. vale pure " corso di fiume ": (v. oltre); e in Fiore XII 5 lo Schifo... / andava riturando ogne cammino, " ogni accesso ", " ogni passaggio "; cfr. inoltre Rime L 66, XCI 20. In due passi della Vita Nuova (X 1 e XII 6) l'espressione cammino de li sospiri vale " strada che percorsi pensoso e preoccupato ", " cammino in cui tanto sospirai ", e si riferisce al concetto espresso nel sonetto Cavalcando l'altr'ier per un cammino / pensoso de l'andar che mi sgradia (IX 9).
Si passa poi gradualmente all'uso metaforico di c., col significato di " via " in molti, diversi traslati. Sfumature semantiche differenti dipendono anche, spesso, dagli aggettivi con cui si accompagna il vocabolo, o dal contesto, o dall'intonazione dei passi in cui si trova. Il diritto cammino è, in generale, " la giusta via ", " il percorso diretto " per giungere alla meta, come in Cv IV VII 7 e in Fiore CCXXVIII 4; ma, in metafora, vale anche " il metodo più adatto, più sbrigativo ", come in Fiore LXIX 14 e CXCIX 12. In altre occorrenze del Fiore appare il cammin c'ha nome Troppo-Dare (CCXXXII 3), e si tratta del metodo per conquistare le donne, che consiste nella generosità anche eccessiva, nello sperpero dei propri beni, ed è metodo fondato per Folle-Larghezza (LXXI 1, e poi LXXI 9, LXXV 3, CXXXII 8). In Cv IV XVI 10, invece, il cammino diritto è la " dimostrazione ", il procedimento logico più esatto, ‛ diretto ' (e cfr. XVII 12).
Non molto lontano da questi usi è quello traslato per cui c. viene a significare " procedimento ", " condotta ", " comportamento "; in questi casi il sostantivo è quasi sempre accompagnato da aggettivi come ‛ buon ', ‛ dritto ', ‛ verace ', o al contrario ‛ fallace ', e assume l'accezione di " metodo ", " comportamento " seguito per giungere a un fine, che può essere onesto o disonesto come onesto o disonesto può essere il procedimento (per esempio in Detto 277 e 458): Cv IV 19, XII 18, XVII 9, XXIV 12. In senso morale, il buon cammino (o il malo cammino) può essere " la retta via " (o " la via della disonestà "): in Pd XXIII 75 il buon cammino è " la retta via " che il popolo cristiano segue, sotto la guida degli apostoli e dei loro vicari, così come in Pg VIII 132 'l mal cammin è la via del peccato; in Pd X 95 il cammino / u' ben s'impingua se non si vaneggia è infine non tanto " la retta via ", in astratto, bensì, più concretamente, " la via che i frati devono percorrere " per potersi arricchire spiritualmente, senza ‛ vaneggiare ', deviare: via per la quale sono guidati da s. Domenico.
In Cv I X 3 il nuovo cammino nel quale l'uomo deve entrare con somma cautela indica, in generale, " le novità ", soprattutto di ordine intellettuale, che possono essere pericolose se si va verso di esse senza la moderatrice guida della Ragione, come afferma Aristotele; l'intera frase è un po' un dantesco " chi lascia la via vecchia per la nuova... ", ed è sintomatico che nel detto popolare compaia il termine ‛ via ' parallelo a c., che è all'origine dell'immagine metaforica.
Altri importanti usi metaforici della parola sono: c. nel senso di " corso della vita ", che è alla sua metà verso i trentacinque anni (If I 1), e che non può che essere definito, in confronto alla durata eterna della vita ultraterrena, lo cammin corto / di quella vita ch'al termine vola (Pg XX 38); cfr. anche Cv III XV 18 nel cammino di questa brevissima vita, e IV XII 15. Oppure c. ha il senso di " corso di fiume " (If XVI 94); in Pg IV 66 il cammin vecchio del sole è l'eclittica, la linea immaginaria che rappresenta la sua ideale orbita attorno alla terra; invece in XII 74 il cammin del sole è " il passare del tempo ", misurato appunto dagli uomini in base al moto apparente del sole attorno al nostro pianeta.
Il termine compare infine come integrazione proposta dagli editori del '21 in Cv IV VII 9 così quelli che dal padre o d'alcuno suo maggiore [è stato scorto e errato ha 'l cammino] non solamente è vile, ma vilissimo. L'integrazione è diversa nelle edizioni Busnelli-Vandelli e Simonelli: quelli che dal padre o d'alcuno suo maggiore [buono è disceso ed è malvagio], non solamente è vile, ma vilissimo. In nota, un'esauriente spiegazione della congettura, che appare senza dubbio la migliore, e di altre integrazioni proposte.