Vedi CAMMEO dell'anno: 1959 - 1994
CAMMEO
Con tale nome si indica, a partire dal sec. XIII in cui il termine ha inizio da oscura origine, ogni gemma lavorata in rilievo, indipendentemente dalla qualità della materia e della trattazione plastica prescelta: rilievo o tutto tondo. Si hanno così cammei di pietre varie: cristallo di rocca, ametista, granato e giacinto, lapislazzuli e turchesi, oppure di agata, specie onice e sardonica. Cammei sono da considerare anche, in conseguenza, le paste vitree (plasma) e i lavori su vetro che si servono della stessa tecnica nella rappresentazione dell'immagine riprodottavi. Esigenze tecniche hanno fatto preferire determinate pietre per particolari tipi di lavoro; così il primo gruppo di gemme, monocromo, è prescelto per le rappresentazioni in tutto tondo in cui la realizzazione formale è puramente plastica, mentre il secondo gruppo, ed in particolare la sardonica, è preferita per i rilievi, più o meno forti o tenui, in cui all'effetto plastico si lega la ricerca coloristica, fondata sui vari strati della gemma che possono essere anche otto o nove.
È a questo gruppo che più propriamente si applica il termine c. ed esso si presenta particolarmente interessante appunto per questo avvalersi nella rappresentazione formale di due valori differenti, quelli plastici realizzati dall'incisione e quelli del colore insiti nella pietra; unione che è felicissima quando l'incisore riesce a potenziare l'uno con l'altro in una organica visione, ma che dà risultati negativi quando gli effetti non si sommano ma si elidono, quando cioè la realizzazione plastica è distrutta dal gioco, non accortamente usato, delle venature della gemma.
Il numero dei cammei che l'antichità ci ha restituito è vastissimo, e grande è ancora la loro varietà; difficile pertanto ne è lo studio cui ha nociuto da un lato il numero e la finezza delle imitazioni, dall'altro il carattere delle opere stesse, facili da collezionare e di conseguenza soggette, nello studio, a criterî collezionistici. Ne è venuta a mancare, eccetto che per alcune opere di particolare interesse artistico o di speciale importanza antiquaria o di contenuto, un preciso esame formale, che valutasse i cammei per sé, studiandoli in rapporto ai monumenti della plastica e traesse, quindi, risultati di sintesi dal loro esame particolareggiato. Di conseguenza si è fatto ricorso per la cronologia a criterî estrinseci: associazioni di rinvenimenti, personaggi rappresentati, ecc. mentre tuttora non appaiono chiari gli elementi intrinseci da utilizzare.
In base a tali criterî si suole quindi far coincidere con l'ellenismo l'inizio della tecnica del c. vero e proprio, nonostante che precedenti se ne abbiano fin da età antichissima nei dorsi degli scarabei incisi e nei pendagli di varie pietre. Al periodo ellenistico ed all'influsso di un gusto orientale si suole attribuire, infatti, l'uso del c. come oggetto di ornamento personale o come elemento decorativo di mobili, cofanetti ecc., mentre proprio a questo periodo risalgono i primi rinvenimenti di cammei databili per associazione con monete. Il corredo di una tomba di Crimea associa, infatti, ai cammei monete di Lisimaco del 281 a. C.
Se è possibile che l'esame stilistico del materiale porti ad anticipare la data iniziale dei cammei, e già si hanno opinioni in questo senso, è invece sicuro che in periodo ellenistico tale tecnica ha avuto la sua piena affermazione. Alla tradizione tecnica e stilistica dell'ellenismo risalgono, anche se la esecuzione ne va abbassata alla prima età imperiale romana, alcuni tra i più compiuti esempi che di essa si conoscono: la Tazza Farnese, al Museo Naz. di Napoli (v. allegoria), la Tazza dei Tolomei al Cabinet des Médailles di Parigi, per citare ora solo questi maggiori casi. (Per le imitazioni in vetro della tecnica del c., v. portland, vaso di; vetro).
La prima, già di Lorenzo il Magnifico, poi di Paolo III e quindi, attraverso i Farnese, giunta a Napoli, misura 20 cm di diametro, ed è intagliata da un'onice a due strati, chiaro e bruno, con abbondanti venature; essa presenta la particolarità di esser decorata sulle due facce con due rappresentazioni differenti; l'allegoria della fertilità del Nilo nel lato concavo, la testa di Medusa sull'altro e i due soggetti, pur così diversi, ugualmente attestano la maestria di esecuzione. Nella scena del Nilo, l'incisore ha affrontato la difficoltà di una composizione a più figure (il dio fluviale, una giovane donna ai suoi piedi, le due Horai e in alto i venti Etesî) mirabilmente adattandola al campo tondo della coppa, e col rilievo ha ottenuto sapienti effetti di modellato nei nudi tondeggianti e pieni, nel morbido drappeggiarsi delle vesti; si è valso inoltre delle naturali venature della pietra, che solcano irregolarmente la cornice bruna della coppa, per suggerire quasi, col loro movimento ondoso, l'elemento acquatico cui si ispira il tema. La maestria dell'incisore è forse anche più evidente nel rovescio della tazza, interamente preso dalla maschera gorgonica. Sul fondo squamoso dell'egida la Gorgone è fissata nel tormento della sua chioma aggrovigliata: lunghe, fluttuanti, morbide fiamme serpentine, dal modellato delicatissimo e sicuro, fra cui si attorcono, altrettanto vibranti e sinuosi, i serpentelli. Rare volte l'arte decorativa ha saputo riprodurre ugualmente la natura ambigua di Medusa, potenziando l'effetto della chioma mostruosa con le naturali coloriture della pietra, che ne accentuano il movimento ed il groviglio. L'opera è certamente da attribuirsi a un artefice alessandrino, ma certa secchezza e freddezza lo fanno datare all'età augustea piuttosto che al pieno ellenismo (fig. 429; per la veduta anteriore v. Tav. a colori s. v. allegoria).
Diversa è la coppa del Cabinet des Médailles a Parigi, nella forma, a calice, e nell'ornato. Essa presenta infatti sulle due facce esterne della tazza, con schema differente, l'apparato occorrente alla celebrazione di una pompa dionisiaca; in pittoresco disordine intorno ad una mensa, audacemente vista da uno spigolo, giacciono alla rinfusa i vari oggetti e al contrasto dei diversi elementi, trattati con sbalzi ora lievi, ora forti, in diversità di piani, si aggiunge il contrasto degli strati, bruni e luminosi, della pietra. La scena ne risulta lumeggiata a tratti, con improvvisi chiarori che si accendono tra le zone d'ombra. La datazione di questa tazza appare, dai più recenti studi, da collocarsi all'età di Nerone, anche se l'ispirazione ne è ellenistica, per analogia di gusto col cosiddetto quarto stile pompeiano.
Accanto a queste maggiori opere isolate, è il numeroso gruppo dei piccoli cammei per lo più a soggetto mitologico, in cui, trattato con maggiore o minore maestria, ampiamente si spiega il ricco repertorio dell'ellenismo; ma qualunque sia il contenuto della rappresentazione, i cammei di questa età si distinguono per la freschezza delle composizioni cui non pone ostacolo la difficoltà della tecnica; gli incisori ne sono padroni e lavorano la pietra dura liberamente modellandola, ammorbidendo i contorni delle figure, dando plasticità ai corpi, naturali sottigliezze, o trasparenze ai veli. Conosciamo tre nomi di incisori di questa età: Athenion, che il soggetto - Zeus in lotta coi giganti - e lo stile di un suo c., ora al museo di Napoli, legano all'ambiente pergameno; Boethos, di cui non possiamo accertare l'identità con lo scultore, che ci dà un c. in cui riproduce Filottete ferito; Protarchos che, con un c. del Museo Arch. di Firenze con Eros che suona la lyra, a cavallo di un leone, ed un secondo in collezione privata inglese, da Bagdad, con Afrodite ed Eros, ci rappresenta l'indirizzo cosiddetto "rococò" amato dalla scuola alessandrina.
Mirabili risultati dà anche l'applicazione della tecnica del c. al ritratto, in quanto sul fondo bruno della sardonica è facile delineare i profili nello strato chiaro ed avvivarli con particolari colorati - i capelli, gli elementi dell'acconciatura, ecc. - risparmiati dagli strati più scuri della superficie. L'esempio più felice di tali tipi di c. è costituito dalle due gemme ellenistiche dette "dei Tolomei" di cui una è a Leningrado e l'altra a Vienna; quest'ultima, una sardonica a 9 strati, presenta due busti abbinati: una donna velata sul fondo, ed un guerriero sul davanti, ottenuti con la distribuzione dei varî piani dell'immagine negli strati sempre più profondi della pietra.
In Italia la tecnica del c. è stata introdotta dal mondo greco; il passaggio dall'ellenismo all'età romana non è sensibile, però, nei cammei, altro che per un lento, graduale irrigidirsi delle rappresentazioni, non più così libere e spontanee come in età precedente, ma più nette e fredde nonostante l'ugualmente raffinata compiutezza tecnica. In età augustea questi caratteri si fanno più evidenti, concordemente alle tendenze accademiche dell'arte ufficiale dell'epoca, e si accentuano per la preferenza data ad un nuovo tipo di pietra: non più la sardonica indiana, dai caldi toni d'ambra, che vanno dal bianco avorio al bruno rossiccio, ma la sardonica arabica con strati grigio-azzurrini e neri.
Punti fermi per la cronologia dei cammei di questa età sono i cammei coi ritratti degli imperatori o dei loro familiari, e quelli databili perché firmati da un autore noto: ad esempio Dioskourides per l'età di Augusto, i suoi tre figli Eutyches, Hyllos ed Herophilos, per il periodo successivo. A Dioskourides, l'incisore aulico di gemme in età augustea, è attribuita, con altre minori opere firmate, la "Gemma Augustea" del museo di Vienna.
Nella grande onice a due strati (mm 187 × 223) l'artista ha inciso, in due facce sovrapposte, figure e simboli, illustranti la glorificazione dell'imperatore che, fiancheggiato dalla dea Roma e incoronato dalla "Oikoumene", assiste al trionfo di un principe imperiale, forse Tiberio, che nel 7 d. C. trionfò sui Germani. Nella fascia inferiore l'artista ha rappresentato vincitori e vinti, scene di trionfo alternate ad altre di vittoria. Più che per valori d'arte, la bravura dell'autore si palesa nella tecnica sapiente, che gli permette e di affrontare felicemente gli scorci, scaglionando le figure su diversi piani, e di rendere con uguale bravura le nudità e i panneggi, anche se nell'uno e negli altri affiora una insuperabile convenzionalità.
Posteriore, è il "Gran Cammeo di Francia" (mm 310 × 255), attribuibile all'età di Tiberio o, secondo recenti osservazioni, di Adriano.
Nella sardonica a cinque strati l'artista ha rappresentato un generale che un imperatore, dai più identificato con Tiberio, riceve stando seduto. Incorniciano il gruppo principale, ai lati e sopra, le figure della famiglia imperiale, di vivi o di defunti, rappresentate, queste ultime, nella gloria dell'apoteosi; nella parte inferiore sono le meste figure dei prigionieri, impicciolite e curve nella loro compassionevole miseria. Il trapasso fra i due temi, la gloria dell'impero con la pienezza del trionfo, e la triste condizione dei vinti, trova la sua espressione nella figura femminile, mestamente seduta ed in cui è da riconoscere la personificazione dell'Armenia o della Parthia, raccolta in un chiuso schema che ne esprime il triste isolamento. I varî personaggi hanno dato luogo alle più diverse identificazioni e il soggetto è stato variamente interpretato, arrivando a conclusioni e a datazioni molto contrastanti (v. oltre).
Di particolare interesse è il confronto fra questo c. ed il precedente, in quanto essi vengono a segnarci un momento interessante nello svolgersi di questo tipo d'incisione; mentre la Gemma Augustea è ancora nella tradizione ellenistica, il Gran Cammeo di Francia se ne allontana introducendo toni nuovi, che troveranno nei cammei più tardi la loro piena applicazione. Se infatti l'incisione appare in esso più dura e più secco e impoverito il modellato, l'artista dimostra d'altro canto di saper utilizzare con diversa vivezza la coloritura della pietra. L'equilibrio compositivo della Gemma Augustea, divisa in due scene sovrapposte, ben si adattava alla freddezza del contrasto netto fra chiaro e scuro; l'affollarsi delle figure nel Cammeo di Francia in un unica composizione più serrata, l'ampiezza, solenne o drammatica, dei gesti, nei personaggi principali, contrapposta all'atteggiameuto pietoso e schivo degli sconfitti, traggono gran risalto dai diversi toni del colore, dalle differenti luci che ne risultano nel contrasto dei chiari e degli scuri.
Queste due maggiori gemme, che derivano probabilmente da più estese composizioni pittoriche, stanno anche a segnarci la voga che il c. ebbe nel mondo romano e la nuova destinazione che esso venne via via assumendo. L'ellenismo aveva preferito pei cammei soggetti tolti al suo ricco ed erudito corredo mitologico, più scarsamente scegliendo scene di genere o animali; con lo sviluppo delle corti dei Diadochi si era servito della stessa tecnica per riprodurre, con nitida evidenza, le fisionomie dei varî principi. Il mondo romano accoglie l'uno e l'altro criterio nella scelta dei soggetti, ma, mentre lascia lentamente impoverire il primo gruppo in più o meno compiute rappresentazioni di maniera, dà nuova vita al secondo, largamente adottando il c. per i ritratti dei principi imperiali o addirittura servendosene, come si è già visto, per complesse allegorie.
Attraverso questa nuova funzione, quindi, di gioiello a carattere ufficiale, lo studio dei cammei si arricchisce di interessi nuovi, sia rispetto al contenuto e al loro nuovo valore di documento storico o di testimonianza iconografica, sia rispetto ai problemi formali, in quanto vi si rispecchiano le varie tendenze artistiche, attive nel rilievo romano e nei ritratti. Considerati da questi punti di vista noi possiamo distinguere, pertanto, in una larga produzione, cammei di particolare interesse documentario, come il c. del museo di Vienna, allusivo alla battaglia d'Azio, in cui l'imperatore togato e incoronato è trasportato sulle acque in un carro trainato da due tritoni e circondato di figure e di elementi accessorî chiaramente esplicativi; come anche ci è possibile isolare i ritratti di particolare valore artistico, come il c. con Augusto e Ottavia della Bibliothèque Nat. di Parigi; oppure, infine, ci si pongono ardui problemi iconografici nel tentativo di individuare i principi rappresentati.
Categoria di monumenti definita da una particolarità tecnica - l'immagine risparmiata in rilievo sul fondo artificialmente ribassato - i cammei vanno studiati soprattutto nello sviluppo delle loro particolarità e quindi, oltre che nel tipo e qualità dell'intaglio, poichè elemento fondamentale ne è il rapporto tra la ricerca plastica e quella coloristica, nella maniera e, in un certo senso, nella proporzione, in cui tale rapporto è concepito e si risolve. Solo attraverso questa nuova via, attualmente intuita piuttosto che non chiaramente posta, sarà possibile tentare una nuova classificazione di quel materiale che tuttora sfugge, infatti, ad un inquadramento stilistico sicuro, anche se lo si è costretto fra I e II sec. d. C. sotto il peso della prevalente opinione del Furtwängler, per cui la tecnica del c., isterilita e decaduta, si esaurirebbe alla fine del II sec.
A questa cronologia tradizionale, alla quale molti studiosi hanno aderito, e che si fonda sull'osservazione di un reale scadimento tecnico per cui il rilievo va sempre più irrigidendosi e schematizzandosi e sulla particolarità antiquaria che sempre più rare nei cammei di questo gruppo si fanno le firme degli artisti, si oppongono infatti tentativi isolati di studiosi, antichi e recentissimi, di identificare, nei maggiori cammei recuperati, imperatori del III e IV sec., o allegorie allusive ad avvenimenti storici di tali periodi. Ma la mancanza di criteri stilistici intrinseci e sicuri ha dato luogo in taluni casi alle più varie identificazioni iconografiche; nel grande Cammeo Marlborough del British Museum (Cat. n. 3619), con rappresentazione di una coppia imperiale, sono stati così riconosciuti, volta a volta, Giuliano l'Apostata con Elena (Bernoulli), Commodo e Crispina (Kings), M. Aurelio e Faustina II (Maskelyne), Claudio e Messalina (Furtwängler); né tale caso significativo può dirsi isolato.
Nelle tante incertezze, però, accanto agli studi isolati di cui si è fatto cenno, un punto fermo cronologico, sulla base delle recenti ricerche della Bruns è attualmente dato dal c. dell'Aia, in cui l'imperatore (Claudio, secondo il Furtwängler), con tre membri della sua famiglia, è rappresentato coronato dalla Vittoria, su un carro tirato da centauri. Il confronto stilistico della Vittoria del c. con quello di una delle sculture costantiniane dell'arco di questo imperatore, assicura infatti la cronologia del c. all'età di Costantino, indipendentemente dalla interpretazione della scena, che porterebbe a precisarne la data al 324-25.
Un secondo punto fermo per l'identificazione dei cammei di questa età è dato ancora da un confronto fra il c. di Belgrado e un frammento di calcare colorato del museo di Berlino, datato, su elementi antiquari, al periodo della tetrarchia. Indipendentemente dalle scene rappresentate: avanzi di una rappresentazione di trionfo nella pietra, l'imperatore trascorrente al galoppo le spoglie dei nemici vinti nel c., avvicina l'uno all'altro monumento la qualità del rilievo per cui le figure risultano tagliate sul fondo con spigoli vivi e netti, sagome precise, prive di ogni naturale morbidezza. Confronto interessante quest'ultimo, perché permette di datare, con questo, altri cammei, affini non tanto nell'intaglio, quanto nella concezione coloristica.
Mentre, infatti, il c. dell'Aia non introduce rispetto al colore elementi nuovi, in quanto tradizionalmente le figure sono risparmiate nel fondo chiaro sullo strato scuro, nel c. di Belgrado, e più spiccatamente in altri (Cammeo Marlborough già citato; c. dell'Antiquarium di Berlino, 17-18; Cammeo Orghidan di Bucarest, ecc.) gli incisori si valgono degli strati della pietra per trarre nuovi e talora impensati effetti coloristici. Gli artisti, infatti, non si servono più dei vari strati per dare naturale vivacità alle loro immagini, elevandone le fisionomie e le vesti con particolari colorati, come già nell'ellenismo (cfr. il c. dei Tolomei) ma sfruttano il colore, spesso indipendentemente dalle immagini, giungendo fino a distruggere la realizzazione plastica, attraverso le forti chiazze contrastanti del colore.
Il c. più notevole della tarda antichità è quello Rothschild, forse proveniente da Costantinopoli, nel quale è rappresentata una giovane coppia imperiale cristiana, erroneamente identificata nel Medioevo come i SS. Sergio e Bacco.
Si tratta probabilmente di un dono distribuito in occasione di un matrimonio; secondo l'identificazione tradizionale quello di Onorio e Maria (398 d. C.).
Recentemente è stato proposto di riconoscere nei due personaggi Costanzo II e la sua sposa (335 d. C.).
L'ipotesi non ha avuto sino ad ora una conferma, ma l'intaglio più che alla dura e ferma corrente del classicismo costantiniano sembra appartenere all'arte elegante e raffinata della corte teodosiana.
Bibl.: Oltre ai cataloghi delle varie collezioni, fra cui più recenti: Walters Cat. of the Engraved Gems and Cammeos in the British Mus., Londra 1926 e G. M. A. Richter, Catalogue of Engraved Gems Greek-Etruscan and Roman, Roma 1956, si vedano per un primo orientamento le voci relat. in Dict. Ant. (E. Babelon); in Enc. Ital. (D. Levi), e l'opera fondamentale di A. Furtwängler, Antiken Gemmen, Lipsia 1900, pp. 151 ss.; 274, 306-307, 312 s., 314 ss., 447 ss., 453 ss. Per la tazza Farnese: J. Charbonneaux, Observations sur la signification et la date de la tasse Farnese, in Compt. Rend. Ac. Inscr., 1956, p. 162 ss. Per i cammei più tardi il lavoro recente di G. Bruns, Staatskameen des IV Jahrhunderts n. Chr., 104 Winckelmannsprogramm, Berlino 1948; sul Cammeo Rotschild vedi: E. Coche de la Ferté, Le Camée Rothschild, un chef d'oeuvre du IVe s. ap. J. C., Parigi 1957; id., L'Antiquité Chrétienne du Musée du Louvre, Parigi 1958, p. 112, n. 59, (con bibl. prec.) e la voce onorio.