Vedi CAMIRO dell'anno: 1959 - 1994
CAMIRO (v. vol. Il, p. 285)
Sei colonne della grande stoà davanti al témenos di Atena Kameiràs - rialzate, con il loro architrave, e successivamente (1961) abbattute dal vento - e una stretta «cavea» con i ruderi del quartiere dell'acropoli è quanto di C. gli italiani si lasciavano alle spalle abbandonando il Dodecaneso nel 1945. Mentre la documentazione delle ricche necropoli di Fikellura, Calatomilo, Papatislures, Macrì Langoni fu resa pubblica dalla rivista Clara Rhodos, quella sugli scavi della città iniziati nel 1928, raccolta dallo Jacopi prima, dal Laurenzi poi, e portata avanti fino al 1943-44 da R. Bartoccini e da M. Paolini, bruciò nel phylàkion della stessa C. sul finire della guerra. Mentre i monumenti della scultura ammassati dagli archeologi italiani nei musei e nei magazzini di Rodi e Coo sono stati, dopo la guerra, ampiamente pubblicati da studiosi di ogni nazionalità, il difficile scavo di C., che pure resta il più significativo per estensione e organicità finora condotto nelle antiche città dell'isola, è rimasto un campo di mute rovine.
Nel 1972 G. Konstantinopoulos, responsabile delle antichità di Rodi, dava incarico al disegnatore Sandalos di trarre una planimetria delle rovine di C., dalla quale si è ripartiti nel 1985, una volta deciso che la Scuola Archeologica Italiana di Atene avrebbe ripreso lo studio di quegli scavi. Allo stesso tempo, grazie alla liberalità dei congiunti e delle istituzioni che li avevano ricevuti in deposito, la Scuola Archeologica Italiana di Atene ha potuto acquisire i dossiers Bartoccini e Paolini con preziose fotografie, planimetrie e appunti riguardanti, fra l'altro, i lavori portati avanti a C. specie fra il 1938 e il 1943-44·
Essendo risultata nell'insieme assai precisa, la planimetria Sandalos ha costituito la base su cui sono stati riportati dati perduti, e fino a oggi ignoti, tratti dai rilievi dell'ing. H. Balducci eseguiti a C. nel 1931; dai rilievi di scavo del Paolini eseguiti durante gli anni della direzione Bartoccini e specie nel 1940; dalla restituzione redatta nel 1945 dal Paolini dei monumenti di C., partendo da quelli da lui scavati ex novo o meglio indagati fra il 1938 e il 1943-44·
Due sono le novità che da questi rilievi e dalle vecchie foto di scavo emergono, ed esse riguardano entrambe l'area sacra inferiore:
nell'ultima fase di vita della città (età di Antonino Pio), una stretta massicciata di lastre sopraelevata sul suolo d'età ellenistica costituiva una sorta di breve via sacra fra l'ingresso monumentale al centro del muro del témenos, a Ν, e l'intercolunnio centrale dell'aula che aveva sostituito nella sacralità della funzione l'originaria fontana. Tale via era fiancheggiata da decine di ex voto, su alte basi, che avevano finito con l'occupare tutta l'area di quella che è stata dal Lauter considerata, e non senza qualche ragione (almeno per l'età ellenistica), una ιερά άγορά;
come pendant del tempio comunemente detto di Apollo, il quale costituiva il limite occidentale di questa supposta agorà, un altro e più piccolo tempio in antis, anch'esso aperto a S, era sorto a chiudere verso E l'area davanti alla ex fontana sacra. A S di questo una piccola esedra si apriva sulla bassa gradinata che, a E del grande altare, portava a essa e al tempio.
Purtroppo, sia la strada, d'età verosimilmente imperiale, sia gli avanzi del piccolo tempio e connessa esedra, sono stati l'una smantellata, gli altri seppelliti nel corso della sistemazione dei ruderi a uso turistico voluta dal Bartoccini, sistemazione che portò anche alla perdita dell'originaria posizione delle basi votive, da allora ordinatamente allineate lungo l'alto muro di contenimento dietro cui scomparvero tempio ed esedra, sacrificati alla realizzazione di una terrazza-belvedere. Alcuni blocchi del lato Ν del podio del tempio furono lasciati però in evidenza lungo la scala che porta alla via che separa le domus del pendio orientale dall'area sacra. Altro dato di grande interesse è costituito dalla restituzione elaborata dal Paolini della grandiosa stoà ad ali che si interpone - diaframma monumentale - fra l'area sacra del Tempio di Atena sul pianoro più alto e il resto dell'acropoli.
In realtà, attraverso un'attenta pulizia e qualche limitato approfondimento, si è potuta constatare la sostanziale esattezza della restituzione planimetrica del Paolini; ma un nuovo dettagliato rilievo del complesso è in cantiere e una lettura puntuale degli edifici scavati è preliminare a ogni pubblicazione. Si possono però proporre già alcune osservazioni pur tenendo conto che, senza il supporto cronologico di stratigrafie sicure e uno studio approfondito dei monumenti, esse non possono che essere generiche e avere carattere di provvisorietà.
Intanto va premesso che questo quartiere dell'acropoli, per essere stato scavato in buona parte, rappresenta un significativo frammento della città ellenistico-romana.
Dalla lettura poi delle nuove planimetrie e specie da quella relativa alla zonizzazione della città (aree sacre, isolati di domus, quartiere artigiano, le terme) appare evidente che due furono i nuclei attorno ai quali si costituì la C. arcaica, visse la C. ellenistica e morì la C. romana: l'area sacra sul pianoro alto, possesso della divinità poliade, e l'area sacra della spianata bassa, racchiusa fra una fontana posta sul limite meridionale (e che, almeno dal III sec. a.C., ebbe la fronte monumentale a pilastri con semicolonne che ci è pervenuta) e il recinto dello hierothytèion presso il margine settentrionale della spianata stessa.
Che la sorgente della spianata bassa e la relativa fontana, detenessero ab antiquo un significato sacrale, non pare dubbio, giacché lo ebbe certamente l'edificio che riutilizzò area e facciata della fontana in età ellenistica, e questa sacralità appare sottolineata ancora dalla strada basolata romana. Evidentemente, l'area cui questa portava costituì sino alla fine uno dei punti d'incontro sacrale-politico-sociale più significativi della città e le liste dei magistrati eponimi incise sui pilastri della sua fronte lo confermano. La costruzione del Tempio di Apollo aggiunge un ulteriore elemento di sacralità a quello costituito dalla fontana e dallo spiazzo antistante ove sorse un grande altare. Così si spiega il ruolo sia del secondo piccolo tempio a E, sia dell'alto muro che unì i due edifici verso N, vero e proprio muro di témenos con il prospetto scandito da semicolonne inquadrate da brevi ali leggermente avanzate. L'uno e l'altro testimoniano una monumentalizzazione delle due aree sacre: da un lato, racchiudendo mediante un'architettura di facciata l'area sacra davanti alla fontana, in basso; dall'altro, costruendo una grandiosa e funzionale stoà quale quinta e accesso monumentale all'area sacra della vetta.
Il piccolo tempio di E contribuì a fare della fontana/area sacra il punto focale della nuova articolata composizione architettonica, che un'imponente facciata - punto di arrivo, come ha ben visto H. Lauter, di quel Flügelrisalitschema di cui i propilei di Mnesicle avrebbero costituito il lontano punto di partenza - venne a separare dal resto della terrazza. A questa stessa funzione adempie la grandiosa stoà ad ali al limite superiore della cavea naturale: al suo centro infatti una scala immetteva al Santuario di Atena Kameiràs. Pertanto questa stoà rappresenta non solo la nuova fronte del vecchio santuario, ma anche l'introduzione a esso e, soprattutto, la conclusione monumentale della conca dell'acropoli nonché, date le sue proporzioni (più di 200 m di lunghezza), la conclusione monumentale dell'intera città. Un filo sottile ma significativo lega questa stoà in alto alla fontana in basso, come si evidenzia bene dai nuovi rilievi: l'asse della scala che portava alla terrazza superiore di Atena cade proprio nel mezzo dell'intercolunnio centrale del prospetto dell'antica fontana, e ciò mentre il punto ideale per avere, dal basso, una visione d'insieme della stoà era proprio la grande apertura mediana (le due più piccole da un lato e dall'altro di essa, proposte dal Lauter, sono da accertare) del muro del témenos dell'area sacra inferiore.
La stoà abbraccia abitazioni più modeste di artigiani e domus le quali, nella redazione forse ancora ellenistica in cui ci sono pervenute, non spiccano certo per lusso, e, pur ordinate in isolati tagliati alla maniera «ippodamea», si allineano lungo l'asse naturale che portava dalla terrazza inferiore a quella più alta.
Una sistemazione nell'insieme scenografico-monumentale che mostra come, pur nell'appartata e tradizionale C., fossero arrivati fra il III e il II sec. a.C. (grazie forse anche alle ricostruzioni imposte dai terremoti) architetti-urbanisti in linea con la concettualità progettuale allora di moda in quell'area culturale micro-asiatica insulare di cui l'isola di Rodi fu in ogni tempo rappresentante di rilievo. ,
Bibl.: A. Di Vita, Camiro. Un esempio di urbanistica scenografica d'età ellenistica, in Akten des 13. Internationalen Kongress für klassische Archäologie, Berlin 1988, Magonza 1990, p. 482 s., tav. lxxiv. - Per la fontana: H. Lauter, Struktur statt Typus. Zu einem hellenistischen Architekturmotiv, in AA, 1982, pp. 703-724.