RUSCONI, Camillo
– Nacque a Milano, nella parrocchia di S. Raffaele, il 14 luglio del 1658 da Carlo Ambrogio e da Laura Brambilla, originari di Tremona nel Canton Ticino (Olsen, 1992). Dopo aver perduto il padre precocemente, intraprese gli studi di grammatica e retorica presso il Collegio dei gesuiti ma, ben presto, rivelando la sua predilezione per l’arte, fu avviato alla disciplina del disegno «da certo Volpini pittore», da identificare in realtà con lo scultore Giovanni Battista Maestri detto Volpino (Pascoli, 1730-36, 1992). All’incirca all’età di 15 anni (Martin, 2019, p. 11) la sua formazione proseguì nella bottega dello scultore Giuseppe Rusnati, il quale era da poco tempo rientrato a Milano dopo aver trascorso circa due anni a Roma presso l’atelier di Ercole Ferrata, distinguendosi nella riproduzione in terracotta di molte opere del maestro. Fu proprio Rusnati a consigliare il suo giovane allievo a trasferirsi nell’Urbe e a frequentare il popoloso studio di Ferrata, presso il quale lo avrebbe raccomandato. La data dell’arrivo di Rusconi a Roma non è certa, anche se si può circoscrivere ai primi anni del nono decennio del XVII secolo sulla base delle indicazioni fornite dalle fonti: secondo Lione Pascoli la partenza da Milano sarebbe avvenuta all’età di ventisette anni, mentre Filippo della Valle e Francesco Saverio Baldinucci la spostano ai ventotto.
Per certo sappiamo che la prima attestazione documentaria dello scultore a Roma è fissata all’8 febbraio 1684, quando viene citato, in compagnia di Marcantonio Tibone, come aiutante di Ferrata nell’esecuzione del gruppo con S. Elisabetta d’Ungheria per la cappella del cardinale Federico d’Assia nella cattedrale di Breslavia (Bershad, 1976). Oltre a fargli eseguire numerosi modelli tratti da opere antiche e da sculture di Gian Lorenzo Bernini e di Alessandro Algardi, il maestro lo coinvolse direttamente in alcune sue realizzazioni, quali il S. Antonio Abate di Marino (basilica di S. Barnaba), il gruppo dell’Ercole con il serpente, firmato e destinato a Venezia (Sotheby’s, Londra, 10 dicembre 1987, n. 176), così come la Lotta di due putti, rimasta nello studio di Ferrata fino alla sua morte e oggi dispersa. Al 1685 risale la commissione da parte di padre Andrea Pozzo di eseguire in stucco le figure della Fortezza, Giustizia, Prudenza, Temperanza per la cappella Ludovisi in S. Ignazio su disegno di Antonio Raggi (Pascoli, 1730-36, 1992, p. 360; Enggass, 1974; Id., 1976); già descritte da Filippo Titi nell’edizione del 1686 della sua guida romana (p. 97), le sculture furono molto apprezzate da Ferrata, il quale morì in quello stesso anno lasciando Rusconi privo della sua protezione. Nel periodo immediatamente successivo, il giovane scultore incontrò numerose difficoltà nel procacciarsi commesse prestigiose e sufficientemente remunerative; tra il 1686 e il 1687 lo ritroviamo infatti impegnato in piccole imprese come due Putti per l’altar maggiore della chiesa dei Ss. Vito e Modesto (perduti; Pascoli, 1730-36, 1992, p. 360; Della Valle, 1732, 1822, p. 312), e, poco più tardi, in altri due Putti sopra l’arco dell’altar maggiore della Trinità dei Pellegrini, distrutti durante i lavori ottocenteschi di ampliamento dell’altare diretti dall’architetto Antonio Sarti (Pascoli, 1730-36, 1992, p. 360; Della Valle, 1732, 1822, p. 313). Più consistente fu il suo impegno nelle decorazioni in stucco di S. Silvestro in Capite tra il 1689 e il 1690: qui Rusconi realizzò quattro Angeli che sorreggono una ghirlanda al centro della volta dell’ala sud del transetto, due coppie di Putti che tengono rami di palma ai lati della finestra all’estremità del transetto sud, altri quattro Angeli sull’arco trasversale della navata, e sei teste di Putti, di cui due sulle pareti di ciascuna ala del transetto, e due ai punti di imposta dell’arco della tribuna (Lavin, 1957, p. 44). Due modelli in terracotta per i Putti che portano palme sono conservati al Fogg Museum di Cambridge (Mass.; Lavin, 1957, p. 46).
Si deve far risalire al 1690 l’inizio del rapporto professionale con il marchese Niccolò Maria Pallavicini, la cui conoscenza fu probabilmente favorita da Carlo Maratti, divenuto nel frattempo buon amico dello scultore. Per il nobiluomo scolpì in marmo le figure di putti alludenti alle Quattro stagioni, poi vendute alla morte di Pallavicini a dei viaggiatori inglesi e quindi a re Giorgio I d’Inghilterra e oggi conservate nella King’s Gallery di Kensington Palace a Londra (Martin, 2000, pp. 58-62). Di queste figure esistono due modelli in terracotta di analoghe dimensioni dell’Inverno, uno presso il Museo nazionale del Palazzo di Venezia a Roma (inv. 13264) e l’altro all’Ermitage di San Pietroburgo (inv. 599); e ancora uno dell’Estate e uno dell’Inverno, di dimensioni maggiori (h. 49,4 e 49 cm) già presso la Heim Galley di Londra (1970) e ora nella collezione Sackler a New York. Sempre per Pallavicini, Rusconi eseguì alcuni modelli poi gettati in argento e citati dalle fonti settecentesche ma oggi non rintracciabili. Si tratta della terracotta per un S. Sebastiano poi fuso in argento da Giovanni Giardini e identificato nella statuetta conservata presso la chiesa parrocchiale di Fumone (Frosinone) (Tamborra, 1988, p. 27); un Crocifisso, che Frank Martin (2019, pp. 78 s., n. 22) data al 1700 circa, e da cui fu tratta una seconda versione sempre in argento per Francesco Lelmi (Pascoli, 1730-36, 1992, p. 360). Della Valle (1732, p. 316) e Baldinucci (1735 circa, 1980, p. 105) precisano che il Crocifisso Pallavicini passò in collezione Ansaldi a Firenze per via ereditaria. Le fonti riferiscono concordemente a una commissione del marchese anche un gruppo, sempre in terracotta, raffigurante un Ratto di Proserpina (perduto), da cui furono tratte due versioni in argento da destinare alla decorazione di altrettanti alari; una versione fu donata da Rusconi all’Accademia di S. Luca nel 1707, quando divenne membro della prestigiosa istituzione. Infine Niccolò Pio (1724, 1977) e Orazio Fracassati (in Martin, 1998) ricordano che Rusconi realizzò un busto ritratto del nobiluomo (non rintracciato), segnalato anche nell’inventario dei beni di Pallavicini presenti nel suo palazzo di via dell’Orso datato al 1714 (Rudolph, 1995, p. 224).
Al 1692 dovrebbe anche risalire la decorazione in stucco (quattro putti reggicornice e due figure allegoriche della Fede e della Speranza) di un altare nel transetto della chiesa di S. Chiara a Montefalco, eretto per volontà testamentaria di Onofrio de Cupis (Nessi, 1978). Nonostante l’iscrizione ne riporti nome e data (CAMILLUS RUSCOA MIDIOLANEM CPIFI), il dettato stilistico un poco debole suggerisce cautela nell’attribuzione (Bacchi, 1996, p. 842). In questi stessi anni, e comunque prima del 1684, Rusconi eseguì due Angeli con cartiglio in stucco nella prima cappella a destra (della Pietà) in S. Salvatore in Lauro e, nell’oratorio della stessa chiesa, modellò altri due Angeli oggi perduti (Martin, 2019, pp. 106 s., n. 77).
All’ultimo decennio del XVII secolo si possono datare anche tre importanti monumenti funebri ricordati dai biografi settecenteschi. Entro il 1692 lo scultore realizzò il medaglione con il ritratto di Giuseppe Eusanio per il suo monumento in S. Agostino, segnalato da Pascoli (1730-36, 1992, p. 360) e Della Valle (1732, 1822, p. 314); la datazione si ricava dall’epitaffio, in cui si legge che Eusanio fece innalzare la sua memoria (originariamente collocata nella cappella di S. Rita) quando era ancora in vita. Intorno al 1695 si può datare quello a Giuseppe Paravicini († novembre 1695) in S. Francesco a Ripa, fatto erigere dal fratello Giovanni Antonio (Pascoli, 1730-36, 1992, p. 360; Della Valle, 1732, 1822, p. 314; Baldinucci, 1735 circa, 1980, pp. 103 s.). Infine si ricorda quello per Raffaello Fabretti, morto nel 1700 e commissionato dal nipote del defunto, Gasparo: Pascoli (p. 360) non specifica l’entità dell’intervento; Baldinucci (p. 103) gli assegna il ritratto e i due putti che lo sostengono, ma dichiara che il disegno è «fatto da altro architetto»; mentre Della Valle (1732, 1822, p. 314) assegna a Rusconi soltanto il busto, precisando che «i due putti che posano sopra un architrave sono d’un altro artefice». A differenza di quanto affermano Baldinucci e Della Valle, Fracassati gli attribuisce l’ideazione dell’intero deposito e la redazione di tutte e tre le sculture (in Martin, 1998, p. 513).
Tra il 1696 e il 1699 Rusconi eseguì una coppia di Angeli in marmo per la porta laterale sinistra dell’altare di S. Ignazio al Gesù (Pecchiai, 1952; Enggass, 1976, p. 97); presentò il disegno il 15 luglio del 1696, e il 20 novembre del 1699, a opera finita, ricevette 100 scudi in premio oltre ai 650 pattuiti (p. 97). Il 31 dicembre 1697 venne pagato 30 scudi per aver fornito il progetto per il rifacimento del timpano dell’altar maggiore (Angeli di Francesco Maratti), le mostre degli organi, i coretti e le incorniciature dei dipinti lungo la navata della chiesa di S. Maria in Vallicella (Dunn, 1982, pp. 613 s.); le decorazioni vennero poi realizzate da Pietro Balestra, Bernardino Cametti, Michel Maille, Jacopo Antonio Lavaggi, Francesco Maratti e Giuseppe Raffaelli. Al 1700 circa Martin (2019, p. 79, n. 24) data il busto della Madonna conservato a Houghton Hall, ricordato da Horace Walpole nelle sue Aedes Walpolianae (1747), mentre verso il 1703 Rusconi lavorò nell’oratorio di S. Maria dell’Orto decorando la volta della navata con due rilievi in stucco con Putti che reggono gigli e nastri e Putti che reggono gigli e una ghirlanda di rose (Della Valle, 1732, 1822, p. 313; Baldinucci, 1735 circa, 1980, p. 103; De Cavi, 1999, p. 108).
Finalmente, nel 1705 giunse per Rusconi un’occasione di grande rivalsa: a lui fu affidata l’esecuzione del S. Andrea per la serie degli Apostoli di S. Giovanni in Laterano, l’impresa scultorea più importante del tempo, promossa da papa Clemente XI Albani e inizialmente dominata dagli scultori francesi Jean-Baptiste Théodon e Pierre Le Gros. A offrire suggerimenti compositivi agli artefici fu chiamato Carlo Maratti, il cui intervento creò qualche dissapore soprattutto tra quelli che aspiravano a una totale indipendenza creativa; ma questo non fu il caso di Rusconi, che con Maratti aveva un ottimo rapporto amicale e professionale, condividendo con lui la fede nel linguaggio classicista. I pagamenti per l’esecuzione del modello in grande del S. Andrea iniziarono il 26 settembre del 1705, il 6 ottobre del 1709 il papa fu a vedere la scultura terminata presso lo studio del maestro (Pascoli, 1730-36, 1992, p. 360), e il 27 marzo del 1712 Rusconi riceveva l’ultimo pagamento a saldo (Conforti, 1977, p. 390). Di quest’opera esiste una versione in bronzo di piccolo formato (72 cm), ritenuta autografa e conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna (Schlosser, 1910, tav. 45; Martin, 2019, p. 82, n. 27). Tra il 1706 e il 1712 Rusconi portò a termine il S. Giovanni, in precedenza commissionato a Théodon, e finanziato dal cardinale Benedetto Pamphilj e dal principe vescovo di Paderborn, Franz Arnold von Wolff-Metternich zur Gracht. Il 27 maggio del 1712 Rusconi ricevette l’ultimo pagamento a saldo per questa figura (Conforti, 1977, p. 419), di cui esiste anche un modello in terracotta all’Ermitage (inv. 675), attribuito dubitativamente da Martin a Rusconi (2019, pp. 112 s., n. 94), mentre Sergej Androsov lo ritiene autografo (2017). L’impresa degli Apostoli continuò con l’affidamento del S. Matteo (1707-15), originariamente assegnato a Pietro Balestra, che ne aveva già fatto il modello. Nel 1709 la commissione passò a Rusconi e l’opera fu pagata dal cardinale Luis Manuel Fernández Portocarrero. Mentre lavorava al S. Matteo, lo scultore eseguì il medaglione con il ritratto della moglie di Carlo Maratti, Francesca Gommi Maratti (1711-12), per il memoriale nella chiesa di S. Faustina a Camerano (Pascoli, 1730-36, 1992, p. 360; Baldinucci, 1735 circa, 1980, p. 94; Rudolph, 1979); viceversa, il medaglione con il ritratto del pittore, sempre nella stessa cappella, a lungo ritenuto opera di Rusconi, deve essere espunto dal suo catalogo perché non citato in nessuna biografia antica e commissionato non da Maratti bensì dalla comunità locale (Martin, 2019, pp. 121 s., n. 125).
Le fonti settecentesche riferiscono che nel 1715 lo scultore decise di tornare a rivedere la sua città natale e, nel raggiugere Milano, si sarebbe fermato qualche mese a Firenze; durante tale soggiorno fu raggiunto dalla notizia che il neoeletto cardinale Giacomo Boncompagni e papa Clemente XI volevano affidargli l’esecuzione del Monumento funebre di papa Gregorio XIII per la basilica di S. Pietro (1715-23), di cui Rusconi scolpì, oltre all’effigie benedicente del pontefice, le statue della Religione e della Magnificenza, mentre il rilievo in cui è rappresentata l’istituzione del calendario gregoriano fu eseguito da Carlo Francesco Mellone su modelli di Cametti (Schlegel, 1963). Al Museo di Roma è conservato il modello della statua di Gregorio XIII (inv. MR 1230), e all’Ermitage quello dell’intera composizione (inv. 606). Sempre nel 1715 Rusconi concluse la serie degli Apostoli con il S. Giacomo Maggiore, originariamente assegnato ad Anton Francesco Andreozzi, protetto del cardinale Francesco Maria de’ Medici; messa in opera nella nicchia di S. Giovanni in Laterano nel 1718, la statua fu molto apprezzata da Clemente XI, che volle insignire Rusconi, il 30 settembre di quell’anno, con la prestigiosa croce di cavaliere di Cristo.
Tra il 1718 e il 1720 il maestro scolpì il Busto di Giulia Albani degli Abati Olivieri, zia di Clemente XI, scomparsa il 28 marzo 1718. L’opera era un tempo in S. Domenico a Pesaro e dal 1940 è conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna; qui pervenne con un’attribuzione ad Andrea Bolgi, e fu Jennifer Montagu (1975) ad assegnarla per prima al maestro. Sempre legato alla committenza di papa Albani è il medaglione di marmo con il Ritratto di don Orazio Albani (1720 circa), fratello di Clemente XI, che Della Valle ricordava «nella galleria di casa Albani» (1732, 1822, p. 319) e al momento non è stato ancora rintracciato. Nel 1721 il re di Spagna, Filippo V, commissionò a Rusconi, tramite il generale dei gesuiti Michelangelo Tamburini, il grande rilievo marmoreo con il Beato Francesco de Regis per la chiesa delle Descalzas Reales di Madrid. Il contratto fu firmato il 17 aprile 1721 e, a quella data, lo scultore aveva già realizzato il modello in piccolo (Baldinucci, 1735 circa, 1980, p. 217; Enggass, 1976, pp. 91 s.), e avrebbe poi anche eseguito quello in grande che sarebbe rimasto ai gesuiti (entrambi non rintracciati).
Nel 1727 Rusconi venne eletto principe dell’Accademia di S. Luca e, nello stesso anno, iniziò a lavorare al Memoriale di Alessandro Sobieski in S. Maria della Concezione a Roma, celebrato in un sonetto da Domenico Rolli e ricordato da John Durant Breval per la sua eleganza (ibid., pp. 103 s.). Nel 1728 firmò il Fauno che intendeva donare «ad un suo caro amico» (Pascoli, 1730-36, 1992, p. 362), entrato nei musei di Berlino nel 1986 (Skulpturensammlung; Martin, 1996). Ancora nel 1728 cominciò a lavorare ai modelli per la statua di S. Ignazio per la serie dei Santi Fondatori della basilica di S. Pietro e realizzò alcuni schizzi e un modello in cera per gli stucchi del pennacchio dedicato a S. Matteo nella cupola della chiesa dei Ss. Luca e Martina. Tuttavia la morte, giunta il 9 dicembre del 1728, interruppe entrambi questi progetti, che furono portati a termine dal suo più fedele allievo, Giuseppe Rusconi. Insieme a Giuseppe, nella bottega del maestro si formarono alcuni degli scultori più importanti della generazione successiva, quali Giovanni Battista Maini, Pietro Bracci e Filippo della Valle.
Tra le altre opere di Rusconi citate dalle fonti si ricordano il rilievo in terracotta raffigurante la Madonna col Bambino e s. Giovannino eseguito per padre Sebastiano Resta verso il 1700 (Roma, chiesa di S. Maria in Vallicella, stanze di s. Filippo) così come indicato nella biografia di Orazio Fracassati (Giometti, 2008, p. 176); e le copie in terracotta dell’Ercole Farnese, del Torso di Belvedere e dell’Apollo di Belvedere già nella collezione dell’abate Filippo Farsetti e oggi alla Ca’ d’Oro di Venezia (Nepi Scirè, 1991, pp. 134 s.). Di queste opere dovevano esistere più versioni: Pascoli ricorda che dell’Ercole Rusconi ne eseguì una per un inglese e una per Niccolò Maria Pallavicini e che per quest’ultimo realizzò anche una copia dell’Apollo (Pascoli, 1730-36, 1992, p. 361). Si ricordano infine quattro busti con la Roma, la Minerva Giustiniani, l’Antinoo di Belvedere e l’Apollo di Belvedere conservati a Houghton Hall e ricordati da Horace Walpole nelle sue Aedes Walpolianae (1747, p. 75; Honour, 1958, p. 224) e il restauro di una statua antica di Artemide a Holkham Hall (Norfolk; Martin, 2019, p. 110), di cui Rusconi avrebbe eseguito ex novo la testa.
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