Pellegrino, Camillo
Letterato (Capua 1527 - ivi 1603). Ecclesiastico, condusse vita dedita agli studi, in relazione con molti letterati meridionali; membro dell'Accademia Capuana e di quella dei Sereni di Napoli.
In gioventù scrisse liriche di gusto petrarchista, un " poemetto boschereccio " in nove capitoli, ternari encomiastici. Via via che si estendevano le sue letture di poeti contemporanei, come Angelo di Costanzo, il P. venne distaccandosi dal Petrarca, per il quale conservò sempre grande ammirazione, e si allontanò dal gruppo napoletano che imitava il Bembo e il Della Casa, divenendo un caposcuola, seguito da più di un giovane, fra cui G.B. Marino, in un genere di poesia inquieta fra tristezza e festosità. La poetica del P. è legata alle sue teorie linguistiche: egli rifugge dal popolare, dalla lingua dei parlanti fiorentini; identifica lingua toscana con lingua letteraria, fondata sull'esperienza dei migliori scrittori, non senza un certo eclettismo, che lo porta nella prospettiva della teoria dantesca.
Di D. il P. ha discorso partecipando alla più famosa polemica del Cinquecento, fra sostenitori del Tasso e dell'Ariosto. Amico del primo, che però ancora non conosceva personalmente, scrisse un dialogo intitolato il Carrafa o vero dell'Epica poesia (Firenze 1585), che si diffuse manoscritto a Napoli e altrove e fu pubblicato per volontà di Scipione Ammirato nel 1585 dal Sermartelli di Firenze. Vi si sosteneva che l'Orlando Furioso era poema solo in parte epico, inosservante dell'unità di azione, mentre è esaltato il poema del Tasso per la perfetta unità, lingua e stile eletti, costume morale.
Poco dopo intervenne sull'argomento Leonardo Salviati, letterato assai colto, con una Stacciata stampata a nome dell'Accademia della Crusca, che antepose alla Liberata non solo il Furioso, ma pure l'Innamorato e il Morgante. La polemica continuò con interventi vari, tra i quali l'Apologia del Tasso. E all'inizio del 1586 uscì la Replica di C.P. alla Risposta degli Accademici della Crusca (Vico Equense 1586), redatta con tale dottrina, ragioni e garbo che gli accademici, prendendo tempo a rispondere (risponderanno nel 1588 con Lo 'Nfarinato Secondo), nominarono intanto il P. membro del loro privato Collegio.
Quanto abbiamo detto del P. è premessa per intendere i suoi giudizi limitativi su D., che vennero a poco a poco accentuandosi nel corso della polemica, anche forse al di là della vera opinione dell'autore. Ma D. non è per lui se non un tema incidentale, una pietra di paragone per poeti più interessanti. Soprattutto nella Replica, discutendosi della poesia epica in Italia, e se la lingua toscana " attissima ad esprimere i concetti d'amore " sia " capace dell'eroica grandezza ", il P. afferma che D. va posto fra i poeti " divini ", ossia religiosi, non tra gli epici; e che " posto eziandio Dante fra gli epici, non accetterebbe egli questa loda [di superiorità su Virgilio], che gli vien data da' suoi concittadini, per quanto mostra di avere in riverenza Vergilio "; però è da considerare " primo nel suo genere insino ad oggi ". Più avanti il P. ritorna sul paragone: " se Dante fosse epico si contenterebbe d'andar dietro (ed ora aggiungo, di gran spazio lontano) a Vergilio, e si dirà appresso, che la nostra lingua non ha, né potrebbe avere poeti epici simili ad Omero, ed a Vergilio ".
Bibl. - P.A. Serassi, Vita del Tasso, III, Roma 1785; G. Rosini, Controversie sulla Gerusalemme Liberata, I, Pisa 1827; C. Guasti, introduzione a T. Tasso, Le prose diverse, I, Firenze 1875; A. Solerti, Vita di T. Tasso, I, Torino 1895; V. Vivaldi, La più grande polemica del Cinquecento, Catanzaro 1895; A. Borzelli, I capitoli ed un poemetto di C.P. il Vecchio, Napoli 1900; M. Sansone, Le polemiche antitassesche della Crusca, in T. Tasso, Milano 1957, 527-574; G. Baiardi, Il dialogo " Del concetto poetico " di C.P., in " Rass. Lett. Ital. " LXII (1958) 370-374.