PANDONE, Camillo
PANDONE, Camillo. – Figlio di Carlo e di Lucrezia del Balzo, nacque forse nel 1451.
Appartenne a una famiglia inquadrata nei ranghi feudali sin dall’età angioina (Ammirato, 1651, pp. 63 s.) e che godette di grande prestigio presso la dinastia aragonese di Napoli, alla quale mantenne ben salda la sua fedeltà anche in occasione della cosiddetta congiura dei baroni. Il fratello di Camillo, Scipione conte di Venafro, fu infatti uno dei giudici nel processo contro il conte di Carinola.
Si formò alla corte del duca di Urbino, al quale nel 1467 Ferrante I d’Aragona lo raccomandò «per farlo esercitare», chiedendo «che se possa adoperare et farse valente homo» (Trinchera, 1866-70, n. 188).
Nel 1486, nella guerra contro i baroni, partecipò all’assedio di Venosa (Albino, 1769, p. 67) e all’assedio del castello di S. Severino, con Marino Brancaccio alla guida della cavalleria leggera.
Svolse soprattutto attività diplomatica. Nel 1475 seguì Federico d’Aragona in Borgogna con una compagnia di «multi signori del Regno, huomini valentissimi et experti in le armi» – tra i quali è indicativo che Notar Giacomo (1845, p. 128) evidenziasse soltanto il conte di Campobasso e appunto Pandone – ufficialmente per consegnare al duca Carlo II il Temerario l’insegna dell’Ordine dell’Ermellino, ma in effetti per concludere il matrimonio di Federico con Maria, figlia del duca: audace progetto politico, che puntava all’obiettivo di costruire un fronte antifrancese, ma che fallì (Pontieri, 1969).
Operò in Francia nel 1485, nel 1488 e nel 1493; a Ferrara nel 1487 (Trinchera, 1866-70, n. 70), a Roma nel 1492; gli si attribuiva particolare abilità nelle relazioni con la corte francese e con quella turca.
Gli oratori presso la corte napoletana menzionano di volta in volta gli incarichi affidatigli. L’ambasciatore fiorentino Pietro Vettori (Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, IV, 2011, n. 100; v. anche n. 222 del 19 giugno 1489) il 4 ottobre 1488 annotava la partenza della «galeaza franzese con messer Camillo Pandoni, il quale va imbasciadore alla maestà del re di Francia, et porta cavagli et mule a donare, come per altra ve scripsi». In questa occasione il compito era di convincere il re francese a non consegnare al papa Djem, fratello del sultano turco, il quale in compenso aveva promesso di «non fare guerra a’ cristiani» (ibid., V, 2010, n. 107). In una missiva del 14 agosto 1489 l’oratore fiorentino Paolo Antonio Soderini (ibid., n. 92) lo definiva «huomo di reputazione, et è quello l’anno passato sua maestà mandò al re in Francia».
Nell’ottobre 1489 scortò l’ambasciatore francese che faceva il suo ingresso a Napoli. Certo in considerazione della sua competenza in merito alle problematiche connesse con i rapporti con la Francia, il 19 settembre 1490 partecipò, presso la Duchesca, residenza del duca di Calabria, ai colloqui con l’ambasciatore di quel paese e al convito offerto in tale occasione (Effemeridi, 1883, pp. 252, 265, 370).
Nel maggio 1491 (Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, V, 2010, n. 179) partì per Enj in Dalmazia a sostegno della regina Beatrice, rimasta vedova di Mattia Corvino e in difficoltà per una rivolta dei baroni.
I comportamenti tenuti in varie occasioni dal re nei suoi confronti testimoniano la stima di cui godeva: per esempio, il 7 novembre 1491 Ferrante scriveva a Giovanni Battista Coppola di aver deciso d’inviare Pandone a trattare il progetto di nozze di Carlotta, figlia di Federico e Anna di Savoia, con il re di Scozia, ma che, essendosi quegli ammalato, prima di decidere di sostituirlo, avrebbe atteso l’esito della malattia (Trinchera, 1866-70, n. 29).
Nel 1492, morto Innocenzo VIII (25 luglio), Ferrante, che in previsione dell’evento aveva espresso (23 luglio) l’intenzione di mandare Pandone a Roma con il compito di favorire l’elezione di una personalità che fosse almeno non ostile al Regno e alla Lega (Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, VII, 2012, n. 69), poco dopo, il 26 (ibid., n. 70), sembrò orientare la scelta su Giovanni Pontano «come homo che ha più experientia di quella corte et conditioni de’ cardinali». L’intenzione di affidare a Pandone il delicato incarico doveva evidentemente suscitare perplessità e, forse, una qualche opposizione da parte di Pontano, che Ferrante consultò prima di prendere una decisione. In conclusione, però, Pandone risultò prescelto: il 1° agosto l’oratore fiorentino Piero Alamanni venne infatti informato dall’abate Benedetto Ruggi, in nome del re, della legazione di Pandone a Roma e si dichiarò compiaciuto di tale decisione (ibid., n. 72). Insieme con Pontano, Pandone espresse ad Alessandro VI le congratulazioni del re per la sua elevazione al soglio, ottenendone garanzie di buona disposizione verso il Regno e verso la Lega (ibid., n. 77).
Durante il soggiorno a Roma si ammalò gravemente. Avrebbe voluto ritornare a Napoli, ma il re, pur dichiarandosi dispiaciuto, gli scrisse di resistere (Trinchera, 1866-70, n. 182) e gli spedì lettere di credito per 100 ducati per le cure, ma anche l’espressione del suo apprezzamento (21 e 23 agosto 1492, ibid., nn. 177, 179) per le modalità seguite nel trattare la questione beneventana, soprattutto con il cardinale Ascanio Sforza, vicecancelliere pontificio. In effetti Pandone riuscì a ottenere risultati soddisfacenti (Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, VII, 2012, n. 78). Infine, poiché insisteva nella richiesta di lasciare Roma, il re ne autorizzò il ritorno a Napoli, dando incarico a Pontano di seguire la situazione romana.
Il 7 novembre 1493 il re decise di inviarlo come ambasciatore in Francia per informarsi sui piani di Carlo VIII (Trinchera, 1866-70, n. 630), ma poiché Pandone si ammalò ancora una volta (ibid., n. 631) solo il giorno 30 poté annunziare a Luigi de Paladinis l’avvenuta partenza dell’ambasciatore, che si sarebbe fermato per colloqui diplomatici prima a Firenze e poi a Milano (ibid., nn. 640, 653, 682, 700, 703, 747). Il compito affidato a Pandone era arduo: era incaricato infatti di svolgere azione di dissuasione dal progetto di conquista del Regno di Napoli che Carlo VIII stava ormai per attuare.
Come fu messo in evidenza da Guicciardini (Storia, l. I, cap.5) il re scelse Pandone «statovi altre volte per lui: affine che, tentando privatamente i principali con premi e offerte grandi, e proponendo al re, quando altrimenti non si potesse mitigarlo, condizione di censo e altre sommissioni, si sforzasse di ottenere da lui la pace». Evidentemente per guadagnarsi il favore dell’ambiente di corte francese e influire sulle decisioni del sovrano, il re accludeva alle sue istruzioni «lettere di cambio per quillo numero de dinari li quali haveranno da servire al effecto che a bocca ve dixemo et sopratucto adeverterete bene et usarete prudentia et diligentia che tali cambii non se habiano da pigliare si non per fare bon fructo» (Trinchera, 1866-70, n. 727).
Paolo Giovio (1566, I, c. 8rv) fornisce una descrizione vivacissima della violenta reazione di Pandone di fronte alla chiusura totale a ogni trattativa da parte del re francese: malgrado le sue insistenze, infatti, non riuscì neanche a essere ricevuto e anzi fu costretto a lasciare la Francia tra energiche proteste.
Di ritorno dalla Francia, fu inviato presso la corte ottomana nel tentativo di ottenere aiuto contro la minaccia francese; la trattativa sembrava promettente, Pandone fu accolto con particolare rispetto «hebbi una audientia disforme dall’altre consuete, et che fu molto grata et onorevole» (Francesco Cappello a Paolo Dovizi, il 12 luglio 1494, in Meli, 2011, p. 348) e il 20 ottobre 1494 l’ambasciatore fiorentino riferì a Piero dei Medici che il re «con piacere assai» gli comunicava le informazioni ricevute da Pandone (ibid., p. 349). Nel novembre Pandone ritornò a Napoli con l’ambasciatore ottomano e partecipò al corteo che lo accompagnò nell’ingresso solenne in città (Cronaca…, 1958, pp.108, 110); nel dicembre fu di nuovo inviato presso Bajazet per trattare le condizioni di un’alleanza, che era apparsa troppo onerosa e pericolosa per Napoli (i turchi chiedevano Taranto, Brindisi e Otranto).
Il 27 gennaio 1495 re Ferrantino scrisse a Pandone (in Vivenzio, 1811, p. 344, la registrazione cancelleresca della lettera) di recarsi al più presto presso gli ottomani per chiedere aiuto contro il re di Francia, illustrando le conseguenze anche per il loro paese di una conquista francese del Regno. Di ritorno, insediatosi ormai Carlo VIII a Napoli, Pandone raggiunse Ferrantino in Puglia, del cui controllo fu incaricato, cercando di organizzare la resistenza prima da Otranto e poi da Brindisi, dove accolse con onore la profuga Isabella del Balzo, moglie di Federico (Croce, 1948, p. 195, dove però si menziona il nome di Francesco, e non di Camillo).
Morì durante una sortita verso Mesagne il 30 aprile 1495, secondo Giovio «a vilissimo aratore vir nobilissimus interfectus» (Volpicella, 1916, p. 395; Coniger, 1782, p. 32).
Essendo cadetto e non godendo quindi di diritti di successione ereditaria, Pandone aveva costruito le sue fortune, acquisendo anche vasti possedimenti territoriali, con i proventi di attività militari, ma soprattutto delle ambascerie. In occasione di quella in Francia del 1475-76 ricevette a compenso 100 ducati al mese in aggiunta ai 300 annui di stipendio (Volpicella, 1916, p. 395, sulla base di fonti archivistiche oggi distrutte). Acquistò i castelli di Campo di Giove e Canzano, nonché le terre che erano state feudali dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno, con l’impegno di versare un censo annuo (S. Vincenzo, Scapoli, Castiglione, Pizzone, Castelnuovo, Rocchetta, Colli, Cerro, S. Paolo, Jannino, Valleporcina, (ibid.; Morra, 1985, p. 47); successivamente (1486) acquistò il castello di Montanaro e l’anno dopo quello di Montemaestro (Morra li ritiene beni confiscati ai ribelli suoi zii Galeazzo e Pandolfo). Carlo VIII confiscò i suoi possedimenti; la moglie, Lucrezia di Capua, figlia del conte di Palena e di Raimondella del Balzo, fece ricorso per ottenere la reintegrazione nei suoi beni, che le furono poi restituiti con la restaurazione aragonese.
Fonti e Bibl.: Pauli Iovii episcopi Nucerini Historiarum sui temporis, I, Venetiis, Mattheus Bosellus, 1566; (Del) Compendio dell’Istoria del Regno di Napoli prima parte di Pandolfo Collenuccio da Pesaro e di Mambrino Roseo da Fabriano, con la giunta per tutto l’anno 1586 di Tommaso Costo, Venetia, appresso Barezzo Barezzi, 1591; F. Ammirato, Della famiglia de’ Pandoni, in Delle famiglie nobili napoletane, parte seconda, Firenze 1651, pp. 63-68; Johannis Albini Lucani De bello intestino Alphonsi II Aragonei ducis Calabriae, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’Istoria generale del Regno di Napoli, V, Napoli 1769; A. Coniger, Cronache, in Raccolta di varie croniche ecc., V, Napoli 1782; G. Della Morte (Notar Giacomo), Cronica di Napoli, Napoli 1845; Codice aragonese, o sia lettere regie, ordinamenti e altri atti governativi de’ sovrani aragonesi di Napoli, a cura di F. Trinchera, Napoli 1866-70, II, 1, nn. 29, 177, 179, 182, 188; II, 2, nn. 630, 631, 640, 649, 653, 682, 700, 703, 727, 747; Effemeridi delle cose fatte per il duca di Calabria (1484-1491), di Joampiero Leostello da Volterra, in Documenti per la storia le arti e le industrie delle Provincie napoletane raccolti e pubblicati per cura di Gaetano Filangieri, I, Napoli 1883 (ristampa anastatica con introd. di N. Bardella, Napoli 2002); Regis Ferdinandi primi instructionum liber (10 maggio 1486-10 maggio 1488), corredato di Note storiche e biografiche per cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 125, 288, 341; (Una) cronaca napoletana figurata del Quattrocento, edita con commento da R. Filangieri, Napoli 1956; Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, V, Paolo Antonio Soderini (luglio 1489-ottobre 1490), a cura di F. Trapani, Battipaglia 2010; IV, Francesco Valori-Piero Vettori (agosto 1487-giugno 1488) - (giugno 1488-giugno 1489), a cura di P. Meli, Battipaglia 2011; VII, Piero Alamanni (12 maggio 1492- 21 febbraio 1493) e Bartolomeo Ugolini (12 febbraio-18 aprile 1493), a cura di B. Figliuolo, Battipaglia 2012. Si vedano inoltre: N. Vivenzio, Delle antiche Provincie del Regno di Napoli e loro governo, Napoli 1811; L. Volpicella, C. P., in Regis Fer-dinandi primi instructionum liber, cit., 1916, pp. 395 s., 417; B. Croce, Isabella del Balzo, regina di Napoli, in Storie e leggende napoletane, Bari 1948, pp.183-212; E. Pontieri, Sulle mancate nozze tra Federico d’Aragona e Maria di Borgogna (1474-1476), in Id., Per la storia del regno di Ferrante d’Aragona re di Napoli. Studi e ricerche, Napoli 1969, pp. 161-208; G. Morra Una dinastia feudale. I Pandone di Venafro, Campobasso 1985; B. Figliuolo, Angelo Catone beneventano, filosofo e medico (1430 ca. -1496), in Id., La cultura a Napoli nel secondo Quattrocento, Udine 1997, pp. 320 s.; P. Meli, Il mondo musulmano e gli ebrei nelle corrispondenze fiorentine da Napoli, in Poteri, relazioni, guerra nel Regno di Ferrante d’Aragona. Studi sulle corrispondenze diplomatiche, a cura di F. Senatore - F. Storti, Napoli 2011, pp. 291- 361.