PALLAVICINO, Camillo
PALLAVICINO (Pallavicini), Camillo. – Nacque a Genova nel 1599 da Giovanni Andrea di Tobia e da Dorotea Negrone di Bendinelli.
I Pallavicino o Pallavicini, che sono ritenuti di ceppo obertengo come gli omonimi di Parma e come i Malaspina e gli Este, erano presenti a Genova fin dal XIII secolo. Originariamente chiamati Gurachi, entrarono nel corso del XV secolo nell’albergo dei Gentile, ma ripresero il proprio cognome dopo la nomina a cardinale di un loro membro, Antoniotto, nel 1484. Con la riforma dello Stato del 1528 e la nascita della Repubblica di Genova furono messi a capo di uno dei 28 alberghi e durante i secoli successivi ricoprirono molte cariche pubbliche: tre furono dogi e numerosi furono senatori.
Il padre di Camillo fu ascritto alla nobiltà nel 1564. Dal matrimonio con Dorotea, celebrato nel 1594, nacquero otto figli. Tra questi, oltre a Camillo, sono degni di nota il fratello di un anno più giovane Alessandro, diventato dopo il matrimonio con Antonia Invrea, figlia del ricchissimo e potente banchiere di Madrid Lelio, uno dei principali finanzieri genovesi residenti nella capitale spagnola; e Bartolomeo Bendinelli, divenuto cavaliere di Malta il 5 giugno 1628.
Camillo, battezzato presso la chiesa gentilizia di famiglia di S. Pancrazio a Genova, fu ascritto al patriziato genovese, assieme al fratello Alessandro il 14 ottobre 1622, grazie alle testimonianze fornite dallo zio Giovanni Battista Negrone e da Giovanni Stefano Grimaldi. Le indicazioni che si riescono a ricavare sui suoi anni giovanili e sulla sua formazione culturale sono molto labili: ricevette la tradizionale educazione di un patrizio genovese, composta dallo studio delle discipline classiche e da un po’ di pratica nella contabilità e nella mercatura. Non risulta dalla documentazione un suo particolare interesse verso la carriera politica in seno alla Repubblica, mentre sicuramente, assieme al brillante Alessandro, si dedicò fin dai primi anni dell’età adulta ad amministrare i corposi beni di famiglia accumulati dallo scomparso padre con la finanza e i commerci e soprattutto dal nonno Tobia con le attività di gestione delle miniere di allume di Tolfa. Oltre all’eredità paterna, Camillo si arricchì ulteriormente dopo il matrimonio, celebrato il 31 maggio 1629, con Maria Geronima Di Negro di Giovanni Battista, che portò in dote un patrimonio di 45.000 scudi d’argento, pari a lire 257.500 moneta di Genova.
In quegli anni Camillo gestiva assieme al fratello Alessandro l’impresa del sale nello Stato di Milano, grazie al contatto con i più importanti membri della famiglia Balbi. Nel 1629, con i fratelli investì somme importanti anche nel settore dell’armamento marittimo, acquistando carati di alcune grandi navi, tra cui la S. Giacomo e la S. Antonio, destinate a lunghe navigazioni nel Mediterraneo orientale e in Sicilia, sia per commerciare sia per esercitare la corsa, sostenuta dai rapporti con i cavalieri di Malta creati grazie al fratello Bendinelli.
Quando nel 1635, dopo lo scoppio delle ostilità tra Spagna e Francia, la corona asburgica chiese nuovamente uno sforzo economico ai ricchi finanzieri genovesi, nonostante l’intenzione del conte-duca di Olivares di limitarne fortemente la presenza nel sistema imperiale spagnolo, Camillo Pallavicino decise di trasferirsi con la moglie a Palermo, in una data che non si conosce esattamente, ma che si può ipotizzare compresa tra il 1635 e il 1636. In quegli anni strinse una forte alleanza con il viceré Luis de Moncada, principe di Paternò, al quale prestò aiuto in termini sia finanziari sia militari. Nel giro di poco tempo divenne uno dei più importanti sostenitori della regia corte locale e uno dei massimi commercianti di frumento dell’intero bacino del Mediterraneo.
Dall’esame dello stato patrimoniale di Pallavicino, ricavabile dai registri contabili, risulta che avesse numerosi beni immobili sparsi tra Genova, Arenzano, Voltri e la Val Bisagno. A questi si aggiungevano le numerose rendite distribuite negli Stati spagnoli d’Italia, il cui valore superava le 340.000 lire moneta di conto di Genova. Qualche anno dopo, nel 1641, le sue fortune erano cresciute ulteriormente, tanto che il suo attivo era pari a 336.000 lire.
Il 23 ottobre 1637 provvide a erogare alla regia corte un primo asiento di 325.000 scudi al 10% di interesse annuo, al quale si aggiunsero altri prestiti effettuati sulle piazze di Milano e Napoli. Nel contratto d’asiento, come garanzia, fu inserita la cessione dei diritti sulle isole Egadi, comprese le ricche tonnare. A Pallavicino fu concesso, inoltre, il titolo baronale annesso, la giurisdizione civile e criminale e il diritto di concedere in enfiteusi lotti di terreno.
Nel febbraio 1638, Pallavicino cedette i suoi diritti sulle Egadi al savonese Giacomo Brignone che le teneva in affitto e che successivamente acquistò la proprietà pagando alla regia corte il diritto di riscatto di 30.000 onze moneta di Palermo. Brignone, però, negli anni a seguire, si indebitò fortemente con i Pallavicino, tanto che nel 1647 fu costretto a cedere le Egadi a due di loro, i fratelli Paolo Gerolamo e Angelo. Le Egadi rimasero in mano alla famiglia genovese fino al 1874, anno in cui lo sfruttamento delle tonnare passò ai Florio.
Nel 1638 Pallavicino firmò un secondo asiento di circa 354.000 scudi, in questo caso con la clausola accessoria dell’assegnazione dell’Ufficio del Portulano di Messina, più altri arrendamenti e donativi che solitamente le città siciliane davano al re e in questo caso sarebbero finiti nelle tasche dell’asentista. Altri prestiti furono concessi nel 1640 in cambio di migliaia di tratte e licenze, per estrarre il frumento dai caricatoi del grano.
L’intreccio delle attività finanziarie con il commercio del grano fu sempre molto stretto. Pallavicino noleggiava le navi e comprava i carichi di frumento nei caricatoi di Agrigento e Sciacca, per poi venderli a diversi operatori a Genova, Livorno, Barcellona e Valencia. In molti casi cedeva il grano al Magistrato dell’Abbondanza della Repubblica di Genova, grazie al fido mediatore Giacomo Arquata.
Nel 1638 il viceré Luis de Moncada che – essendosi notevolmente ridotta a seguito di alcuni rovesci patiti in mare la squadra delle galee di Sicilia – ricercava degli asentisti disponibili ad armare nuove unità, trovò la disponibilità di Pallavicino, secondo una tradizione genovese ormai saldamente consolidata, ad armare quattro nuove galee a proprie spese «per servir con esse Sua Maestà in questa squadra di Sicilia» (Arch. di Stato di Genova, Fondo Famiglie, lettera P, 63). Camillo avrebbe provveduto all’acquisto e all’armamento per una somma stimata di 120.000 scudi e le avrebbe asentate alla regia corte per 14.000 scudi annui per cinque anni.
Il problema più grande per Pallavicino fu il reperimento delle ciurme. Secondo i suoi calcoli sarebbero serviti «mille huomini di catena», di cui la metà sarebbero stati i condannati forniti dal viceré di Sicilia, mentre «trecento buonavoglia devo far io e di questi ne ho già fatti li partiti per lo Regno e già ne tengo alla cadena più di cento venti e questi non solo non saran meno, ma supereranno per compire il numero de’ schiavi quale io pensavo fusse de duecento». Oltre ai rematori bisognava reclutare il resto degli equipaggi tra Genova e Livorno, dove era possibile trovare «un buon piloto e tre comiti e tre sottocomiti, dodeci timonieri e venticinque in trenta marinai di galera» (ibid.). Nella capitale ligure, inoltre, Camillo si servì di Paolo Gerolamo Pallavicino per reperire gli scafi e le attrezzature, mentre a Livorno ebbe l’appoggio di don Pietro de’ Medici, grazie alla mediazione del cavaliere Bendinelli suo fratello. Alla fine riuscì ad armare due galee grazie alla collaborazione anche di altri cavalieri di Malta, che si resero disponibili a vendergli numerosi schiavi comprati nel locale mercato.
Le attività commerciali e finanziarie di Pallavicino a Palermo prosperarono ulteriormente sia con l’arrivo del viceré don Francisco de Melo, molto legato alla famiglia Pallavicino dagli anni dell’ambasceria a Genova, sia con il successore, don Juan Alfonso Enríquez de Cabrera, conte di Modica e almirante di Castiglia, giunto a Palermo nel 1641 con la fama di grande condottiero militare, grazie alla vittoria ottenuta contro i francesi a Fontarabia nel 1638. Il legame che Pallavicino instaurò con il nuovo viceré fu molto forte, tanto che nel maggio 1644 lo accompagnò a Napoli, dove la situazione economica e politica era drammatica.
Durante il viceregno del genero del conte-duca di Olivares, il duca di Medina de Las Torres, i limiti di indebitamento dello Stato di Napoli erano stati superati, essendo diventata la spesa effettiva il doppio delle entrate. Nonostante il sistema della vendita delle cariche e delle terre demaniali fosse al collasso, Filippo IV aveva chiesto nel 1636 di vendere tutto ciò che era possibile per finanziare lo sforzo bellico della monarchia. In tale situazione di crisi, caduto Olivares, da Madrid era stato deciso di sostituire anche il duca di Medina de Las Torres, con appunto il conte di Modica.
Pur in mancanza di tracce documentarie al riguardo, è altamente probabile che Pallavicino viaggiasse verso la capitale partenopea con lo stesso viceré, giacché il 5 giugno 1644 il console genovese a Napoli, Cornelio Spinola, desideroso di essere sostituito nella carica dopo molti anni, suggerì ai Collegi della Repubblica proprio il nome Camillo Pallavicino come «quello che più a minuto potesse parlare al Viceré sopra li ordini di Vostra Signoria Serenissima» (Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, Lettere Consoli Napoli, 2640). La risposta dei governanti genovesi fu positiva, ma alla fine di giugno Pallavicino non aveva ancora accettato la carica, probabilmente perché nelle intenzioni non avrebbe voluto rimanere a Napoli. Lo stato di crisi però consigliò all’almirante di Castiglia di tenersi stretto un valido finanziere come Camillo.
A metà luglio 1644 Pallavicino firmò la sua prima lettera da console, ma già in agosto fu colpito da un male incurabile che lo portò alla morte nel novembre successivo.
La vedova, che era senza figli, dopo aver gestito l’imponente eredità del defunto tra il 1645 e il 1646, si risposò nel 1647 con Giovanni Battista Centurione.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, Nobilitatis, 2833; Archivio segreto, Litterarum, 1904, 1905; Archivio segreto, Lettere Consoli Napoli, 2640, 2647; Senato Senarega, Collegii Diversorum, 64; Fondo Famiglie, Lettera P, 63; Manoscritti, 488; Notai Antichi, notaio Filippo Camere, 5756, 5764, 5765, 5767, 5768, 5769,5775; Notai Antichi, notaio Gio. Giacomo Cavallo, 6399; Simancas, Archivio General, Estado, 3594, n. 19; Estado, 3840, n. 39; Estado, 3842, n. 10; Genova, Archivio Durazzo Giustiniani, Archivio Pallavicini I, 422, 423, 424, 425, 426, 428, 429, 430, 431, 433, 434, 436, 446; Ibid., Archivio Doria di Montaldeo, Archivio Doria, 232 (28), 233 (28), 246 (30), 247 (30), 248 (30), 250 (30), 251 (31), 252 (32), 253 (32), 254 (33); Contratti di compra transazione fatta in Spagna con Sua Maestà Cattolica, determinazioni ed ordini del Tribunale del Real Patrimonio, per l’acquisto e franchezze dell’Isole, e tonnare di Favignana, Formiche, Levanzo, Maretimo, San Vittore, Mare delli Porci, Raisgerbì ed altri possessi dalli Signori Conte Gio Luca, Marchese Paolo Girolamo quondam Giuseppe, e Marchese Paolo Girolamo, e Monsignor Lazaro quondam Gio Francesco della Nobilissima famiglia Pallavicini della città di Genova, Palermo 1731; Documenti di provenienza delle proprietà del condominio Pallavicini e Rusconi in Sicilia cioè le isole Egadi, Napoli 1843, pp. 3-8; R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del Viceregno napoletano (1656-1734), Roma 1961, p. 12; C. Trasselli, Genovesi in Sicilia, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., IX (1969), 2, pp. 153-178; R. Giuffrida, I Pallavicino e le isole Egadi, in La Fardelliana, I (1982), 1, pp. 45-58; M. Marangon, Un genovese in Sicilia nella prima metà del secolo XVII: Camillo Pallavicino, tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, a.a 1986-87; Gli Archivi Pallavicini di Genova. I Archivi propri, a cura di M. Bologna, in Atti della Società ligure di storia patria, XXXIV (1994), 1, pp. 169-175; V. Consolo, Di qua del faro, Milano 1999, p. 54; E. Russo, Breve storia della Sicilia nell’età barocca, Palermo 2000, p. 74; F. Maurici, Per la storia delle isole minori della Sicilia. Le isole Egadi e le isole dello Stagnone nel Medioevo, in Acta Historica et Archeologica Medievalia, Homenatge al Dr. M. Riu i Riu, Barcelona 2002, p. 210; L. Lo Basso, Uomini da remo. Galee e galeotti del Mediterraneo in età moderna, Milano 2003, pp. 333 s.; L’Archivio dei Doria di Montaldeo. Registri contabili, manoscritti genealogici e pergamene, a cura di Liana Saginati, Genova 2004, pp. 51-56; S. Costanza, Tra Sicilia e Africa. Trapani: una storia di una città mediterranea, Trapani 2005, p. 404; N. Calleri, Un’impresa mediterranea di pesca. I Pallavicini e le tonnare delle Egadi nei secoli XVII-XIX, Genova 2006, pp. 13-21; V. Consolo, Reading and writing the Mediterranean. Essays, a cura di N. Bouchard - M. Lollini, Toronto 2006, p. 173; O. Cancila, I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Milano 2008, pp. 214-216; L. Piccinno, Un’impresa fra terra e mare. Giacomo Filippo Durazzo e soci a Tabarca (1719-1729), Milano 2008, p. 79; S. Candela, I Florio, Palermo 2008, p. 203; A. Lercari, Ceto dirigente e Ordine di S. Giovanni a Genova. Ruolo generale dei cavalieri di Malta liguri, in Cavalieri di Giovanni in Liguria e nell’Italia Settentrionale. Quadri regionali, uomini e documenti, a cura di J. Costa Restagno, Genova-Albenga 2009, pp. 115-273.