PACETTI, Camillo
PACETTI, Camillo. – Terzo di cinque figli, nacque a Roma il 2 maggio 1758 da Andrea, incisore di gemme, e dalla romana Lucrezia Saiocchi.
Si formò accanto al fratello maggiore Vincenzo e frequentando l’Accademia di S. Luca, dove nel 1775 vinse un premio nella classe di scultura con il bassorilievo Giuditta mostra al popolo la testa di Oloferne e dove è conservata una terracotta a lui attribuita raffigurante Creusa, con il figlio Iulo, prega Enea datata al 1792, due prove che testimoniano della sua adesione giovanile alla tradizione del tardo Seicento romano.
Nel 1786-87 su progetto del fratello Vincenzo eseguì quattro statue per la facciata della chiesa della Ss. Trinità a Viterbo. Negli stessi anni fornì modelli per i bronzisti della famiglia Righetti e per le porcellane Wedgwood sotto la supervisione di John Flaxman. Gli sono inoltre attribuiti, a Roma, La morte di S. Anna nella chiesa di S. Andrea delle Fratte e alcuni stucchi a S. Lorenzo in Lucina e S. Niccolò da Tolentino (Honour, 1963, p. 371). Secondo Fumagalli (1841, p. 9) si esercitò anche nel dipingere tanto che «Gli venne ordinata l’esecuzione di due grandi quadri, per quanto si sa, da una città delle Spagne».
Fu ammesso tra i Virtuosi al Pantheon (Statuto..., 1839, p. 44) e nel 1794 tra i membri di merito dell’Accademia di S. Luca. Tra il 1792 e il 1794 lavorò, con un folto gruppo di scultori, come restauratore per la famiglia Borghese sotto la direzione di Ennio Quirino Visconti. Suo il restauro di un Amor vincitore del Gallo, di una statua di Marte e di una testa di Nerone destinati al Museo Gabino (Campitelli, 2003, p. 240 e n. 43). Questa attività e la vicinanza con Antonio Canova contribuirono senza dubbio al suo progressivo avvicinamento alle emergenti tendenze classiciste.
Nel 1796 entrò nel corpo di milizia civica per la difesa dello Stato pontificio sotto il comando del principe Abbondio Rezzonico (Diario di Roma, 18 novembre 1796, n. 2284, p. 19). Nel 1804 aveva lo studio in via della Purificazione e ottemperò al dovere imposto dall’editto Doria Pamphili, consegnando una «assegna» della propria collezione (Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Antichità e belle arti, b. 7), che poco dopo riuscì in gran parte a vendere a Pio VII in vista dell’allestimento del Museo Chiaramonti.
Nel maggio 1805 lasciò definitivamente Roma, chiamato da Giuseppe Bossi alla cattedra di scultura all’Accademia di Brera in sostituzione di Giuseppe Franchi. In sintonia con Bossi, importò a Milano la tradizione degli insegnamenti dell’Accademia di S. Luca, impegnando gli allievi nella copia dell’antico sui gessi e coinvolgendoli nei lavori dei grandi cantieri milanesi dell’epoca. Partecipò all’aggiornamento al gusto per il classico della scultura lombarda e contribuì notevolmente a rilanciare l’Accademia, grazie all’istituzione di concorsi periodici e mostre annuali modulati su quelli clementini.
A Milano portò il bozzetto in terracotta (Milano, Galleria d’arte moderna) e il modello colossale in gesso del gruppo di Minerva che infonde lo spirito a Prometeo, opera dagli espliciti richiami all’arte antica nella figura di Minerva, variazione della Palladedi Velletri (oggi al Louvre) scoperta nel 1797 e restaurata dal fratello Vincenzo (Susinno, 1999, pp. 40 s.). Manifesto colto degli orientamenti a difesa della superiorità della scultura come arte filosofica, l’opera, tradotta in marmo (Milano, Galleria d’arte moderna) ed esposta alla Mostra dei maestri del 1806, fu collocata da Bossi su una base rotonda ruotante, al centro della sala delle sculture moderne dell’Accademia, assumendo un valore politico in riferimento a Napoleone I. A Napoleone Pacetti dedicò esplicitamente un’elaborata composizione allegorica, il gruppo marmoreo Napoleone risveglia l’Italia (Musée national du Château de Fontainebleau), scolpito nel 1807 su incarico dal ministro dell’Interno Ludovico Arborio di Breme ed esposto nel salone delle grandi udienze a palazzo Reale durante il breve soggiorno di Bonaparte a Milano; la nudità eroica e la fattura della testa sono un evidente omaggio all’opera di Canova. Ancora per celebrare Napoleone realizzò una terracotta con l’Imperatore coronato dalle Virtù (Milano, Galleria d’arte moderna) e il gruppo allegorico di Imene, dedicato al matrimonio con Maria Luigia d’Austria, noto solo attraverso l’inventario delle sculture del Louvre redatto all’epoca di Luigi XVIII (Hubert, 1964, p. 256 n.1).
La posizione di Pacetti in Accademia gli valse il coinvolgimento nelle imprese decorative più importanti dell’epoca napoleonica: il completamento della facciata del duomo e la decorazione dell’arco del Sempione, progettato da Luigi Cagnola e posto all’inizio della nuova strada verso il passo aperta da Napoleone. Per la cattedrale realizzò alcune sculture colossali della facciata (S. Giacomo Maggiore, Mosè, La Legge nuova) e assunse la responsabilità di supervisionare il lavoro degli altri scultori coinvolti, fornendo alcuni bozzetti per opere realizzate dai suoi allievi quali il S. Giovanni Evangelista e S. Giacomo Minore di Giuseppe Buzzi. Per l’arco del Sempione realizzò due bassorilievi rappresentanti Marte e Minerva posti a decorazione degli stilobati e quello della Resa di Dresda con chiari accenti classici ispirati ai rilievi della colonna Traiana; fornì inoltre i modelli per due Vittorie collocate nei pennacchi.
Dimostrò una certa vivacità anche come ritrattista, in particolare nelle opere dedicate gli amici, come il busto di Andrea Appiani (conservato nella sala XII della Pinacoteca di Brera) o quello di Giuseppe Bossi, collocato nel lato nord del portico superiore dell’Accademia braidense, particolarmente pregevole per la sensibile resa del volto. Mosso e carico di energia è anche il busto di papa Pio VII, dall’espressione intensa con gli occhi profondi e la bocca leggermente aperta (oggi Nantes, Musée des beaux-arts). Tra i ritratti, si ricordano inoltre tre versioni di Francesco I d’Austria (un busto colossale per la corte di Vienna oggi al Kunsthistorisches Museum, un altro conservato nella Pinacoteca di Brera e il terzo per il r. liceo di Como) e un busto di Vincenzo Monti menzionato da Ticozzi (1832).
Nel 1813 scolpì la statua di S. Marcellina per la cappella delle Dame nella basilica di S. Ambrogio a Milano, austera figura di santa in un’attitudine misurata e raccolta. Coinvolto nella sistemazione della villa Carlotta a Tremezzo (Como) voluta da Gian Battista Sommariva tra il primo e il secondo decennio dell’Ottocento, realizzò sei sovrapporte in stucco con Scherzi di putti e faunetti, un modello in gesso di Marte e uno di Minerva, un busto di Fauno e uno di Faunessa, testimonianze del suo attaccamento ai modelli antichi e citazioni esplicite del Fauno con la macchia, allora conservato a Roma in villa Albani (oggi alla Glyptothek di Monaco) e del gruppo con Satiro e ninfa dei Musei Vaticani (Noe, 1998). Nell’anticamera della sagrestia dell’oratorio Sommariva, cappella funebre della famiglia nelle vicinanze della villa, si conservano inoltre i modelli in gesso delle statue raffiguranti La Legge nuova e S. Giovanni Evangelista scolpite da Pacetti per il duomo di Milano e probabilmente appartenuti alla collezione di Gian Battista (Mazzocca, 1983).
La ricchezza della produzione di Pacetti è infine testimoniata dalla quarantina di bozzetti conservati alla Galleria d’arte moderna di Milano, dove si alternano soggetti religiosi, compresi due progetti di monumenti funebri di chiara ispirazione canoviana, e bassorilievi con citazioni dall’antico, eredità della formazione romana mai abbandonata.
Negli ultimi anni della vita fu ancora impiegato per la realizzazione di due Vittorie in pietra arenaria per l’arco di porta Nuova a Milano e per una scultura di Ganimede per il palazzo della famiglia Bolzesi di Cremona (Calvi, 1836).
Morì a Milano nel luglio 1826 e venne seppellito nel cimitero di porta Comasina vicino a Franchi (Ticozzi, 1832, p. 82).
Lasciò incompiuti una statua del Redentore per l’altare maggiore della chiesa di S. Maria presso S. Celso a Milano e un Apollo pastore dormiente commissionato da Maria Cristina di Savoia (ibid., p.124). Entrambe le opere furono ultimate dall’allievo Benedetto Cacciatori, che sposò la figlia di Camillo e divenne uno degli scultori e restauratori favoriti di casa Savoia. L’Apollo, esposto a Brera nel 1828, fu acquistato per il castello di Agliè, dove tuttora si trova.
Una statua postuma di Pacetti di dimensioni eroiche commissionata da Cacciatori a Giuseppe Bayer per il loggiato dell’Accademia di Brera è ancora presente in loco.
Nel 1833 l’incisore Scipione Lodigiani pubblicò una serie di incisioni al semplice contorno rilegate e distribuite con il titolo Opere di scultura del celebre defunto signor Camillo Pacetti, vendute presso lo studio Lodigiani e Panighi di Milano.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Antichità e belle arti, b. 7; S. Ticozzi, Dizionario degli architetti, pittori, scultori, III, Milano 1832, pp. 81 s.; G. Calvi, in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri nelle scienze, lettere e arti, III, Venezia 1836, pp. 123-125; Statuto della insigne artistica congregazione de’ Virtuosi al Pantheon, Roma 1839; I. Fumagalli, Elogio del già professore di scultura C. P., in Atti dell’I. R. Accademia di belle arti in Milano, Milano 1841, pp. 5-21; G. Nicodemi - G. Bezzola, La galleria d’arte moderna. Le sculture, Milano 1938, pp. 177-187; H. Honour, The Rome of V. P. Leaves from a sculptor’s diary, in Apollo, n.s., LXXVIII (1963), pp. 368-376; G. Hubert, La sculpture dans l’Italie napoléonienne, Paris 1964, pp. 59 s., 237-239, 243-245, 253-259; Mostra dei maestri di Brera (1776-1859) (catal.), Milano 1975, pp. 80-84; F. Mazzocca, Villa Carlotta, Milano 1983, pp. 41, 63-77.; R. Emmerson, Wax models by P. and Angelini in the Lady Lever Art Gallery, in Ars Ceramica, 1995, n. 12, pp. 22-33; A. Musiari, La lunga stagione classica. Giuseppe Franchi, C. P., Pompeo Marchesi, in La città di Brera. Due secoli di scultura (catal.), Milano 1995,pp. 11 s.; R. Reilly, Wedgwood. The new illustrated dictionary, Woodbridge 1995, p. 303; E. Noe,C. P. e il “Fauno colla macchia”, in Itinerari d’arte in Lombardia dal XIII al XX secolo, a cura di M. Ceriana - F. Mazzocca, Milano 1998, pp. 283-293; S. Susinno, ‘Minerva che anima la statua di Prometeo’: traccia iconografica moderna, inPallade di Velletri. Il mito, la fortuna. Atti della giornata internazionale di studi, Velletri… 1997, Roma 1999, pp. 35-47; G. Scherf, Napoleone che ridà vita all’Italia, in Il Settecento a Roma (catal., Roma), a cura di A. Lo Bianco - A. Negro, Cinisello Balsamo 2005, pp. 167 s., fig. 52; S. Grandesso, La scultura tra neoclassicismo e romanticismo, in La Galleria d’arte moderna e la villa Reale di Milano, a cura di F. Mazzocca, Cinisello Balsamo 2007, pp. 49-73; Id., Bertel Thorvaldsen (1770-1844), Cinisello Balsamo 2010, pp. 80, 93-95; U. Thieme - F. Becker Künstlerlexikon, XXVI, p. 117.