OLIVETTI, Camillo
OLIVETTI, Camillo (Samuel David Camillo). – Nacque a Ivrea il 13 agosto 1868 da Salvador Benedetto, commerciante di stoffe, e da Elvira Sacerdoti, di patriottica famiglia ebraica di Modena.
Registrato al Municipio di Ivrea con il nome di Samuel David Camillo, volle esser chiamato con il terzo nome, scelto dal padre in onore di Camillo Cavour, ammirato per la sua grandezza di statista liberale. Tra i testimoni in Comune vi fu anche il rabbi della comunità israelitica di Ivrea, cui gli Olivetti appartenevano da almeno tre secoli.
Rimasto orfano di padre a un anno, bambino solitario dal carattere capace di improvvisi scatti che non lo abbandonarono mai, fu cresciuto dalla madre, che gli fece seguire il liceo classico presso il convitto Calchi Taeggi di Milano. Ne riportò ottimi voti ma anche insofferenza per gli ambienti chiusi. Iscrittosi al Regio Museo industriale (dal 1906, Regio Politecnico) di Torino, si laureò il 24 dicembre 1891 in ingegneria elettrotecnica con Galileo Ferraris, con la votazione di 90/100. Sapendolo sicuro nella conoscenza dell’inglese, approfondita in due anni di lavoro in un’industria di meccanica fine a Londra subito dopo la laurea, Ferraris gli chiese di accompagnarlo al congresso internazionale sull’elettricità tenuto nell’ambito dell’Esposizione universale colombiana di Chicago (1893). Negli Stati Uniti Olivetti si fermò un anno, conoscendo Thomas Alva Edison, visitando laboratori e insegnando per un semestre electrical engineering all’Università di Palo Alto in California.
Rientrato a Ivrea nell’aprile 1894, mise a frutto gli spunti che l’arricchita competenza e lo spirito di osservazione gli avevano suggerito e al tempo stesso portò a maturazione le sue idee sulla situazione politica nazionale e locale.
La ‘questione sociale’, così viva all’epoca, lo portò a scegliere il Partito socialista, sorto a Genova nel 1892, con il cui fondatore, Filippo Turati, ebbe rapporti personali. Per lui il socialismo fu sempre etico, pratico-gradualistico, non sistematico né materialistico, venato anzi di religiosità cristiana. Nel suo sviluppo fu costante un intreccio profondo tra spirito imprenditoriale e idealità politiche, tra consapevolezza del ruolo industriale e coscienza civile.
Nell’ottobre di quello stesso 1894 si fece eleggere nel consiglio comunale di Ivrea per la lista socialista. Nella primavera del 1896 fondò a Ivrea la Ditta Olivetti per la produzione di materiali elettrici. Fatta costruire la ‘fabbrica dei mattoni rossi’ (tuttora esistente), in via Castellamonte (ora via Jervis), lì e nell’abitazione di Montenavale organizzò un corso elementare di elettricità per i giovani del posto, tra i quali emerse per crescita professionale Domenico Burzio. Entrò nel consiglio comunale di Torino nel 1899, ma si dimise dopo pochi mesi; rientrò poi nel consiglio comunale di Ivrea, rimanendovi sino al 1911.
Nel 1899 si sposò con Luisa (Luigia Maria) Revel, figlia del pastore valdese di Ivrea Daniele dei Revel di Torre Pelice (Torino). Dal matrimonio nacquero sei figli: Elena (1900-1978), Adriano (1901-1960), Massimo (1902-1949); Silvia (1904-1990); Laura, detta Lalla (1907-1934); Dino (1912-1976), che ebbero tutti un’educazione all’aria aperta, con molti giochi; alla prima istruzione provvide la madre.
Nel maggio 1903 trasferì la Ditta Olivetti a Milano, trasformandola il 16 giugno 1905 in società anonima per strumenti elettrici denominata C.G.S. (iniziali di Centimetro Grammo Secondo). Non portato per natura e per scelta alla crescita incontrollata e all’indebitamento con le banche, fece ritorno nel 1907 a Ivrea. Nell’inquietudine che lo portò a chiudere con la C.G.S. agirono i germi di un’idea da inventore e imprenditore insieme. Prese a tradurre in schizzi e calcoli l’embrionale progetto di realizzare una macchina che aveva visto in America e che in Italia non esisteva se non in pochi esemplari importati: la macchina per scrivere. Nella fase di personale sperimentazione al banco, cercò soluzioni originali per gli organi che erano protetti dai brevetti dei massimi produttori americani, Remington e Underwood (che fabbricava 70.000 macchine all’anno). Disegnò una particolare soluzione del ‘cinematico’ (la parte più impegnativa, essendo l’insieme di leve e di rimandi di collegamento fra la tastiera e la leva portacaratteri o martelletto sino al foglio di carta). Anche se il risultato finale comportò un numero di componenti della macchina piuttosto alto e quindi non economico, Olivetti si convinse della bontà dei preliminari e tornò nel novembre 1907 negli Stati Uniti, al fine di visitare le più importanti fabbriche del settore. Nel febbraio 1908 rientrò ed eseguì tutti i disegni tecnici del prototipo, depositando due brevetti. Il 12 agosto poté scrivere alla moglie una lettera battuta sulla sua prima macchina. Il 29 ottobre 1908 fu fondata a Ivrea la Società in accomandita semplice Ing. C. Olivetti & C., di cui gli appartenevano 44 carature (o quote) su 70. Gli operai in forza erano 20.
Olivetti puntò subito a crescere nella produzione in serie, obiettivo per cui giunse a far realizzare apposite macchine utensili. L’idea che lo guidava era espressa nella scritta che volle campeggiasse sul frontone del riaperto edificio dei mattoni rossi: «Ing. C. Olivetti & C. Prima fabbrica nazionale macchine per scrivere».
Il primo esemplare, chiamato M.1, fu presentato all’Esposizione universale di Torino per il cinquantenario dell’Unità d’Italia, nel 1911. Commesse della Regia Marina militare e del Ministero delle Poste sopraggiunsero abbastanza presto e nel 1912 fu aperta la prima filiale. La scelta cadde su piazza della Scala a Milano, a significare la spinta fuori dal Canavese e l’importanza assegnata da Olivetti all’articolazione commerciale.
Nella crisi europea e italiana del 1914-15 Olivetti giudicò proprio dovere di cittadino dedicare ogni energia alla causa generale del paese e si riconobbe nella posizione di Leonida Bissolati. Allo scoppio della Grande Guerra la Società (che aveva superato i 100 dipendenti, con una produzione di 23 macchine a settimana) fu convertita alla produzione di parti meccaniche per l’industria bellica e segnatamente del magnete per motori d’aereo. Alla pace, la riconversione alla produzione normale fu immediata, come del resto la ripresa della battaglia politica con la fondazione a Ivrea del settimanale L’azione riformista, che durò dall’agosto 1919 al gennaio 1920, per riapparire subito dopo come nuova serie.
Olivetti ne era però uscito nell’ottobre 1919, per dedicarsi interamente alla nuova macchina, la M.20. Dotata di una novità poi adottata universalmente, il carrello fisso, e di dimensioni più contenute della M.1, fu presentata all’Esposizione universale di Bruxelles. Con essa la Società affrontò l’esportazione e la concorrenza internazionale, a iniziare dall’Argentina.
L’azione riformista, fu trasformata nel febbraio 1922 nel settimanale torinese Tempi nuovi, ma nell’estate del 1924 le squadre fasciste ne devastarono la redazione. L’8 gennaio 1925 l’ultimo numero cadde sotto le leggi ‘fascistissime’.
Agli inizi del 1926 a fianco del padre entrò in fabbrica il figlio Adriano, dopo la laurea nel luglio 1924 in ingegneria chimica al Regio Politecnico di Torino e il viaggio di studio negli Stati Uniti. Nello stesso anno si sancì l’autonomia societaria della O.M.O. (Officine Meccaniche Olivetti), fondata due anni prima come reparto sperimentale diretto da Camillo (è sintomatico che avrebbe voluto chiamarla O.S.O. - Officina Scuola Olivetti). La crisi del 1929 fu superata senza eccessive difficoltà. La produzione della M. 20 raggiunse le 12.000 unità, con circa 500 operai, dopo che erano iniziate le razionalizzazioni organizzative di Adriano ed era stata fondata nel 1926 la Consociata S.A. Hispano Olivetti. Nel 1929 fu istituito l’Ufficio Studi e Progetti, affidato a Camillo, che con l’ingegner Gino Levi (dopo le leggi razziali Gino Martinoli) mise a punto una nuova macchina, la M.40, la cui produzione iniziò nel 1931. Il 4 dicembre 1932 Adriano fu nominato direttore generale e nello stesso periodo fu istituita la Fondazione Burzio per i lavoratori Olivetti. Le leggi razziali del 1938 obbligarono a una serie di contromisure: Camillo, benché ‘discriminato’ per meriti patriottici, lasciò la presidenza ad Adriano.
Negli ultimi anni accentuò la lettura della Bibbia e l’interesse per i movimenti eretici e le sette protestanti. Aveva aderito dal 1934 alla setta degli Unitariani. Tuttavia dopo l’8 settembre 1943 e quando la Wehrmacht arrivò anche ai cancelli della fabbrica, esortò gli operai che lo andarono a cercare a «prendere le armi, per difendere le vostre case, le vostre famiglie, le vostre macchine» (Bigiaretti, 1958, p. 32). Ricercato, fu aiutato a rifugiarsi a Pollone nel Biellese; la moglie fu nascosta a Vico Canavese; i figli erano dispersi in varie clandestinità o fuori Italia.
Morì all’ospedale di Biella il 4 dicembre 1943.
Il cimitero israelitico di Biella, dove fu sepolto, «si popolò quel giorno di uomini silenziosi, a capo scoperto, sui cui volti la pioggia cancellava inutilmente le lacrime» (ibidem).
Opere: Lettere americane, Roma 1968 e 1999, con Nota introduttiva di R. Zorzi.
Fonti e Bibl.: Le carte di Camillo Olivetti sono depositate con quelle della Società Ing. C. Olivetti & C. presso l’Associazione Archivio storico Olivetti a Ivrea (www.arcoliv.org). La biblioteca personale e altre carte presso la Fondazione Adriano Olivetti a Roma (www.fondazioneadrianoolivetti.it). L. Bigiaretti, C. O., in Olivetti 1908-1958, Ivrea 1958, pp. 19-32; B. Caizzi, C. e Adriano Olivetti, Torino 1962; D.A. Garino, C. O. e il Canavese tra Ottocento e Novecento, Aosta 2004; V. Ochetto, Adriano Olivetti, Venezia 2009, pp. 17-96, 112 s..