MORIGIA, Camillo
MORIGIA (Morigi), Camillo. – Ultimo discendente della famiglia Morigi o Morigia, nacque a Ravenna il 4 settembre 1743 dal conte Giovan Battista e da Laura Monaldini, anch’ella di antica nobiltà (Pirazzoli - Fabbri, 1976, pp. 99, 101).
Allievo dello zio Dionigi Monaldini, come questi si dedicò presto alle scienze idrauliche e all’architettura e il 12 agosto 1767 ottenne dalla Comunità dei savi (il Comune di Ravenna) l’abilitazione alle professioni di perito matematico e di architetto. Fin da questi anni si inserì nella cultura idrologica, non solo locale, occupandosi di problemi di bonifica, come documentato dalle varie perizie eseguite durante tutta la carriera, fra le quali la proposta per il raddrizamento del corso del fiume Santerno (1772) o la relazione per porto Corsini a Ravenna (1793), ricevendo anche l’incarico per la realizzazione del nuovo canale Naviglio a Faenza (1778). Diede inoltre un importante contributo al grande sviluppo che in questo periodo conobbe la cartografia, disegnando mappe e piante del territorio, soprattutto dopo la nomina, nel 1771 da parte del cardinale Vitaliano Borromeo, a perito agrimensore della Legazione di Romagna (più volte confermata). Esordì in tale veste con la definizione dei confini tra lo Stato pontificio e il Granducato di Toscana, operazione topografica che affrontò tra il 1772 e il 1778, e i cui risultati furono illustrati nella Rettificazione di confini colla Podesteria di Galeata, fra lo Stato pontificio cioè e lo Stato Toscano (Ravenna, Biblioteca Classense, Mob. 3.7.N/1). Entro il 1778 disegnò una pianta del territorio del Comune di Ravenna e una carta topografica del relativo territorio.
Intensa fu anche la sua attività di architetto, che nelle Romagne lo qualificò come figura trainante nell’ambito del riformismo sociale dello Stato. Influenzato da Francesco Algarotti attraverso la mediazione di Eustachio Zanotti, propose un rinnovamento stilistico in chiave classicista e una finalità sociale del progettare con intenti morali e civili. Tali interessi emersero già in una sorta di prontuario pratico dell’architetto: Nozioni pratiche per fabbricare (ibid., Mob. 3.7.N/3), breve manoscritto iniziato verso gli anni Settanta, ma subito abbandonato per l’incalzare di più concrete occasioni professionali.
L’incarico più prestigioso di questo periodo riguardò il completamento della facciata della basilica di S. Maria in Porto a Ravenna (1775-83). Revisione di un precedente progetto, la fronte mostra schemi del tardo barocco romano reinterpretati secondo criteri di ascendenza classica, volti a ridurre la ricca decorazione in favore di una maggiore sobrietà capace di evidenziare la struttura a due piani marcata da colonne e raccordata con l’interno a tre navate. Su questa linea fu anche il progetto per villa Ginanni (1775 circa; attuato nel 1810 dall’allievo Lodovico Nabruzzi), proposta che mostra affinità con tipologie di case di campagna del neopalladianesimo inglese. Eseguì poi vari lavori di abbellimento e restauro per chiese e palazzi in città, mentre per i monaci di Classe, nel 1777, si occupò dell’ampliamento della libreria (ora aula magna della Biblioteca Classense): qui realizzò tre sale minori sopraelevate e in sequenza, fra le quali un misurato e proporzionato ambiente a pianta quadrata progettato fin nei più minuti aspetti dell’arredo e della decorazione tra gusto rococò e neoclassico; entro il 1778 rimodernò l’atrio di accesso alla libreria.
Per l’accresciuta fama il cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga gli affidò la realizzazione della tomba di Dante, la sua opera più nota, eretta in un anno dal 27 luglio 1780.
Il sepolcro, che sostituì quello esistente, è in forma di tempietto cupolato con richiami, oltre a soluzioni palladiane, a tempietti di villa inglese alla William Kent e all’opera di Giuseppe Valadier. Il nitore della struttura è il risultato di un rigoroso purismo geometrico sottolineato dalla discreta decorazione, anche se l’esito risulta un po’ freddo.
Seguì l’atteso riconoscimento ufficiale e l’ammissione (22 aprile 1782) a far parte dell’Accademia delle arti del disegno di Firenze. I progetti morigiani furono poi riprodotti in incisioni e dati alle stampe.
Manifestò sempre grande interesse per opere di pubblica utilità. Per il programma di riqualificazione dell’area portuale di Ravenna voluto dal Marco Fantuzzi, capo del Magistrato dei Savi, progettò la Dogana di Mare e alcuni magazzini, compiuti entro il 1783 (demoliti quasi del tutto alla metà del XX secolo). Terminato l’orfanotrofio maschile (1778-82), costruì le nuove scuole pubbliche (1782), dai rimandi alla coeva architettura inglese, ma con forme che mostrarono l’evoluzione verso una maggiore essenzialità.
Nel maggio 1784 consegnò il progetto definitivo per la facciata del duomo di Urbino, dal netto indirizzo palladiano. I lavori di edificazione furono interrotti dal terremoto del 1789 che causò gravi lesioni anche all’edificio retrostante, ricostruito, dopo che Morigia ebbe declinato l’invito per motivi di salute, da Valadier, il quale per la facciata si attenne al disegno morigiano. Nel 1785 iniziò il rifacimento del prospetto del Pubblico Orologio nella piazza Maggiore di Ravenna (concluso nel 1789), operazione di riordino della precedente fronte e di unificazione dei retrostanti organismi chiesastici, contrassegnata da un moderno gusto di regolare linearità ormai prettamente neoclassico. Del medesimo anno è l’esecuzione della facciata della bolognese casa Bassi, con ripresa di soluzioni dal Pubblico Orologio. Vinse poi il concorso indetto dall’Accademia di belle arti di Parma per l’erezione della grandiosa fronte della chiesa di S. Agostino a Piacenza, la sua opera più matura (terminata circa 7 anni dopo) in cui la discendenza dall’albertiano S. Andrea si integra con schemi palladiani nell’osservanza dei canoni grammaticali di Serlio. Sempre il 1785, quando fu eletto accademico d’onore dell’Accademia Clementina di Bologna, è la probabile data di inizio dei lavori al palazzo Radini-Tedeschi di Piacenza, conclusi nel 1792. Il suo ingresso in Arcadia, avvenuto il 26 gennaio 1786 con il nome di Ermodoro Corinziaco, coronò l’adesione all’esperienza culturale arcadica e la continuità del suo linguaggio architettonico.
Nel frattempo eseguì il tracciato della nuova strada di collegamento con Forlì, la ‘Ravegnana’, impresa celebrata, all’inizio del percorso, con l’erezione dell’arco di porta Sisi dedicato a Valenti Gonzaga (1786), opera ispirata alle forme delle antiche tipologie romane, ma semplificate in un rigoroso linguaggio classico.
L’ultima attività di Morigia, per l’aggravarsi dello stato di salute, è contrassegnata da opere poco impegnative dal punto di vista costruttivo, ma innovative da quello formale. L’edificazione di palazzo Bezzi a Ravenna (dal 1788, ma interrotta nel 1790) fece emergere la nuova tendenza verso uno stile privo di motivi esornativi. La casa parrocchiale della chiesa di S. Andrea a Massa Forese, nel Ravennate (1790), orientò Morigia, anche per le piccole dimensioni dell’edificio, verso un uso funzionale dello spazio. Ma gli episodi più rappresentativi di questi anni furono la casa delle Aje nella pineta di Cervia (1790) e la dimora di campagna dell’arcivescovo Antonio Codronchi a Ravenna (1794 circa; Foschi, 1973, p. 209).
Nel plurifunzionale edificio rurale destinato anche ad alloggiare gli stagionali raccoglitori di pinoli, Morigia mantenne nel retro la precedente costruzione mentre ideò sul davanti un complesso a due piani con un nitido portico tra due compatti e sobri avancorpi. Nella casa Codronchi, dalla funzionalità degli interni di derivazione palladiana, l’architetto portò all’estremo la ricerca di essenzialità, evidente nello spoglio e introverso esterno.
Seguirono opere di restauro e di abbellimento in chiese e in palazzi, ma anche nuovi progetti, come la chiesa di S. Pietro in Campiano (1791), l’ospedale di S. Maria della Croce a Ravenna (1793) e la casa parrocchiale di Casemurate, realizzata postuma (1797).
Morì a Ravenna il 16 gennaio 1795 e dispose che il suo corpo fosse sepolto nella chiesa di S. Maria Maggiore.
Lasciò la sua biblioteca e i suoi strumenti di studio, compresi i suoi preziosi disegni, alla libreria dei monaci di Classe.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Ravenna, Corporazioni religiose di Ravenna, Abbazia di S. Apolinnare in Classe, n. 2613: Catastrum instromentorum et contractum, cc. 123r-148v (F.M. Miserocchi, Memoria in mortem, 1795; altra copia: Ravenna, Biblioteca Classense, Mob. 3.5.A2/29), cit. in Pirazzoli - Fabbri, 1976, pp. 95 s.; C. Spreti, Alla memoria del co. C. M. ravennate (1795), cit. ibid., p. 97; F. Canonici, Due centurie di architetti dei secoli XVIII-XIX (1875), cit. ibid., p. 98; F. Mordani, Vite di Ravegnani illustri, Ravenna 1837, pp. 233-237; A. Benini, C. M. architetto ravennate, in Felix Ravenna, XXXIX (1931), 3, pp. 149-176; C. Cenci, C. M. architetto ravennate, tesi di laurea, Università degli studi di Bologna, a.a. 1971-72, relatore A.M. Matteucci; U. Foschi, La casa Codronchi, in La Piê, 1973, n. 5, pp. 208 s.; N. Pirazzoli - P. Fabbri, C. M. (1743-1795). Architettura e riformismo nelle Legazioni, con un saggio di M. Dezzi Bardeschi, Imola 1976 (cui si rimanda per la totalità delle fonti riguardanti M.); A.M. Matteucci - D. Lenzi, Cosimo Morelli e l’architettura delle Legazioni pontificie, Imola 1977, ad ind.; G. Ravaldini, La Biblioteca Classense di Ravenna, in Bollettini economici della CCIAA, 1977, nn. 2-3, pp. 3-19; A.M. Matteucci, L’architettura del Settecento, Torino 1988, ad ind.; N. Pirazzoli - N. Urbini, La città del M., in Storia illustrata di Ravenna, a cura di P.P. D’Attore, Milano 1989, pp. 241-256; N. Pirazzoli, Ravenna nel Settecento, in Storia di Ravenna dalla dominazione veneziana alla conquista francese, a cura di L. Gambi, Venezia 1994, pp. 217-239 (in particolare: C. M. «architetto ravennate», pp. 231- 236); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 152 s.; A. Annoni, M. C., in Enciclopedia Italiana, XXIII, p. 854; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, V, 1969, p. 139.