MELZI, Camillo. –
Nacque a Milano il 12 dic. 1590 da Gian Antonio e da Livia Litta.
Rampollo di un’importante famiglia di estrazione mercantile (il padre fu abate della potente corporazione dei mercanti e membro del governo municipale), il M. fu destinato alla carriera ecclesiastica: sin dal luglio 1604 fu infatti dichiarato idoneo a ricevere la prima tonsura. Studiò diritto a Bologna, Pavia e infine a Parma, dove si laureò in utroque iure nel 1614. Recatosi a Roma, ottenne, in data sconosciuta, la carica di collaterale del tribunale del Campidoglio e quindi fu nominato da UrbanoVIII luogotenente dell’uditore della Reverenda Camera apostolica. Ricopriva da alcuni anni questa carica, allorché nel dicembre 1624 ottenne quella di referendario delle due Segnature. Nel febbraio 1636 fu nominato arcivescovo di Capua, con l’obbligo di costituire una prebenda per un penitenziere della cattedrale e di utilizzare la terza parte della somma relativa alla prima pensione che si fosse resa vacante per riparare la medesima chiesa.
La vicinanza al potere barberiniano risulta evidente dal processo concistoriale relativo alla sua nomina arcivescovile, istruito personalmente dal potente cardinale nipote Francesco Barberini. Testimoni chiamati a rispondere sulle qualità del M. furono due giovani curiali settentrionali, ambedue ventottenni e destinati a brillanti carriere: il referendario apostolico Cesare Facchinetti, bolognese, e il chierico della Camera apostolica Luigi Omodei, milanese.
Dopo la nomina, il M. si recò a Capua, dove risedette per qualche tempo e dove celebrò, a quanto sembra, diversi sinodi diocesani. Provvide anche a restaurare e ad ampliare il palazzo arcivescovile. All’inizio del 1641 – e non nel 1639 come riportato da Cardella (p. 122) – Urbano VIII lo inviò come nunzio alla corte granducale di Toscana, dove giunse nel marzo di quell’anno.
Il carteggio del M. con il cardinale nipote mostra come, accanto ai tradizionali problemi giurisdizionali, il rappresentante pontificio dovesse fare i conti con il progressivo deterioramento dei rapporti fra la Curia papale e il granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medici. In quei mesi si andava inasprendo la contesa fra Urbano VIII e il duca di Parma Odoardo Farnese circa il possesso del Ducato di Castro. Le lettere del M., a partire dal settembre 1641, mostrano come egli dovette assistere impotente – malgrado i numerosi colloqui con il principe e i suoi ministri – al saldarsi dell’alleanza toscano-parmense e limitarsi a trasmettere a Roma notizie sempre più allarmanti circa i preparativi militari medicei a sostegno della causa farnesiana. In questo contesto si colloca anche una questione solo apparentemente secondaria ma in realtà strettamente connessa all’evoluzione dei rapporti con la corte medicea, quale la vicenda del cerimoniale in occasione della processione del Corpus Domini del 1642. Il M., infatti, fece presente a Roma che l’anno precedente il granduca aveva segnato un punto a suo favore obbligando il suo predecessore a conformarsi al cerimoniale granducale, con grave pregiudizio del rango del nunzio e quindi della S. Sede. Seguendo il consiglio del cardinale nipote, «con preteso di purga o di trovarsi fuora, o altro, schivi l’occasione di cimentarsi e intervenirvi, senza però lasciarne intendere d’haverne di qua l’ordine» (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Firenze, vol. 25, c. 40r, lettera del 24 maggio 1642), il nunzio evitò di partecipare alla processione, ritirandosi alla certosa, anche se poté constatare di persona che «ambe le sedie, si come ancora li coscini per inginocchiarsi erano uguali affatto, e nella materia e nella forma, et erano collocate sotto il baldacchino quasi de pari» (ibid., c. 47r, lettera del 28 giugno 1642).
Nel settembre 1642 la formazione della lega fra la Toscana, la Repubblica di Venezia e il Ducato di Modena in funzione antipapale segnò il completo fallimento degli sforzi della diplomazia barberiniana. Il M. informò costantemente la S. Sede dei preparativi militari medicei in vista dell’offensiva contro lo Stato pontificio e continuò a cercare di scongiurare la guerra, seguendo la corte granducale a Siena nella prima metà di novembre. Nei mesi successivi il M. registrò dal suo osservatorio fiorentino i convulsi tentativi per evitare il conflitto. Tuttavia fu colto alla sprovvista, il 12 giugno 1643, quando ricevette l’ordine del granduca di lasciare il territorio toscano entro pochi giorni. L’illusione di un accordo dell’ultimo minuto spinse peraltro il cardinale Barberini a chiedere al M. di prendere tempo ed eventualmente di allontanarsi da Firenze a piccole tappe, nonché di lasciare aperta la nunziatura. Tuttavia il 21 giugno il M., giunto ad Acquapendente, fu informato dal suo uditore, lasciato a Firenze, dell’ordine granducale di sospendere definitivamente ogni attività della nunziatura. Di lì a poco da Roma gli fu ordinato di trasferirsi a Orvieto.
Ai primi di aprile del 1644 Urbano VIII decise di servirsi del M. inviandolo come nunzio in Germania presso l’imperatore Ferdinando III d’Asburgo. Si trattava di una vera e propria promozione, data l’importanza cruciale della rappresentanza diplomatica alla corte imperiale, mentre a Münster e a Osnabrück avevano inizio i colloqui di pace dopo quasi tre decenni di guerre. Il M. giunse a Vienna il 29 giugno e venne immediatamente ragguagliato da Fabio Chigi, nunzio papale al congresso di pace e futuro papa Alessandro VII, circa le schermaglie politiche e procedurali che minacciavano di far fallire le trattative. La situazione dei territori imperiali era alquanto complessa: lo stesso fronte delle forze cattoliche era lacerato da conflitti assai aspri, come l’annoso contrasto, in atto da oltre due decenni, per il controllo dell’Università Carolina di Praga che vedeva su fronti contrapposti l’arcivescovo Ernst Adalbert von Harrach e i gesuiti.
Malgrado la morte, di lì a qualche mese, di papa Barberini e l’elezione di Innocenzo X (settembre 1644), il M. fu lasciato al suo posto. Dal carteggio con il nuovo entourage pontificio emerge che il M. aveva avuto speciale mandato da Urbano VIII di difendere con ogni mezzo, in accordo con Fabio Chigi, gli interessi della confessione cattolica, di ottenere la liberazione dell’arcivescovo di Treviri, di ristabilire che i vescovi del Regno d’Ungheria fossero sottoposti al pagamento delle tasse della Cancelleria apostolica e infine di contrastare le pretese del Ducato di Wittenberg circa il possesso di alcuni monasteri (Ibid., Segreteria di Stato, Nunziature diverse, vol. 24, cc. 3-4, lettera del 26 nov. 1644). Il M. riuscì a conquistarsi la stima del nuovo pontefice e del cardinale nipote Camillo Pamphili, e poi del cardinale Giovanni Giacomo Panciroli, svolgendo con scrupolo le proprie mansioni e operando di conserva con il nunzio Chigi impegnandosi a sostenerne con lealtà l’operato.
I rapporti tra i due furono improntati a reciproca stima; di Chigi il M. scriveva: «Mons. nuntio suol darmi parte di quello che segue ad effetto che io passi quegli ufficij che li paiono più opportuni per il maggior progresso di quel trattato. Io li vado passando secondo il bisogno et l’occasione, […] ma perché il detto prelato in simil negotio è il principale, et io sono come accessorio, lascio ch’egli dia conto a Roma di quello che passa» (ibid., vol. 23, c. 14v, lettera del 24 dic. 1644). Da parte sua, Chigi accordò piena fiducia al M., come mostrano gli sfoghi circa l’impossibilità di inviare a Vienna comunicazioni in cifra, dal momento che la segreteria papale non aveva dotato il M. della «controcifra», contro «gli indiscreti ministri» che affermavano di controllare il pontefice, o circa il mancato pagamento del mensile da parte della Camera apostolica (Kybal - Incisa della Rocchetta, I, p. 815).
Il M. svolse una minuziosa opera di raccolta e trasmissione di informazioni sulla politica imperiale e sui problemi connessi alla difesa del cattolicesimo in Germania, Austria, Ungheria e Polonia: seguì l’imperatore alla Dieta del Regno d’Ungheria a Possonia (Bratislava), dove si trattenne dalla fine di settembre 1646 ad aprile 1647, vigilando sulle trattative con i protestanti. Tuttavia un’incrinatura nei rapporti con Roma si manifestò nel luglio 1650, allorché il M. comunicò al cardinale Panciroli l’interesse a presenziare al Te Deum nella cattedrale di Vienna per la celebrazione della pace di Westfalia. Tale disponibilità – che il nunzio attribuì a una manovra dell’imperatore stesso – fu oggetto di una dura reprimenda di Panciroli a nome del pontefice. Del resto, il 20 agosto seguente il cardinale inviò al M. la copia a stampa del breve Zelus domus Dei con cui Innocenzo X, ribadendo formalmente i motivi della contrarietà della S. Sede già asseriti dal nunzio Chigi, dichiarava nullo il trattato siglato dalle potenze europee. Tuttavia, pur svolgendo con scrupolo il mandato ricevuto, nei mesi successivi il M. rilevò che «questa pace di Germania pur altretanto pregiudiciale alli beni, e giurisditioni ecclesiastiche ha però recato questo di buono, che ha stabilita maggiormente Sua Maestà Cesarea nelli suoi stati hereditarij, et anco nel jus di disporre in essi più liberamente delle cose della Religione. Quindi è che S. Maestà dopo la sudetta Pace ha usato maggior rigore in Boemia nel cacciar gli eretici» e forse ora andava meditando misure energiche in Slesia, Moravia e Austria (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Nunziature diverse, vol. 24, c. 136, lettera del 4 marzo 1651).
Nel marzo 1653 il M. lasciò la nunziatura viennese, non è chiaro se per normale avvicendamento o per sotterranei contrasti con i vertici romani. È sintomatico che, al suo rientro in Italia, egli tornasse alla sua diocesi. Proprio da Capua, nel giugno 1655, scrisse a Giulio Rospigliosi, segretario di Stato del neoeletto Alessandro VII, per rammentargli che il nuovo papa aveva benevolmente stabilito di estinguere la pensione di 150 scudi annui sulla mensa arcivescovile capuana, di cui aveva goduto durante il suo cardinalato.
Nello stesso mese il M. fu incaricato da Roma di seguire una complessa vertenza giurisdizionale relativa al processo per reati comuni di due ecclesiastici (poi ridottisi a uno, un parroco) da parte delle autorità laiche. Curiosamente il M., quando fu investito della questione, era a sua volta sul punto di fulminare la scomunica contro alcuni agenti del feudo di Stigliano per usurpazione di beni arcivescovili durante la sua assenza da Capua. Per non scatenare un ulteriore conflitto e non apparire «diffidente» al viceré, García de Avellaneda y Haro, conte di Castrillo, con l’avallo del cardinale G. Rospigliosi lasciò in sospeso la scomunica e si dedicò alle estenuanti trattative con le autorità, intenzionate a ottenere che un proprio delegato laico intervenisse in tutti gli atti – eccetto la sentenza – del processo. Il M., da parte sua, tenne a evidenziare la valenza esemplare della vicenda, a fronte dell’evidente volontà dei ministri della Corona di stabilire un precedente affinché «persona laica intervenga a tutti gl’atti di simili processi» (Ibid., Segreteria di Stato, Vescovi e prelati, vol. 38, c. 453r, lettera del 6 ott. 1655).
In ragione della stima e dell’ottimo rapporto instaurato durante il periodo tedesco, Alessandro VII, nell’ottobre 1655, nominò il M. segretario della congregazione dei Vescovi e regolari e quindi, in occasione della prima promozione cardinalizia, il 9 apr. 1657 lo creò cardinale del titolo di S. Marcello. Prese parte a varie congregazioni cardinalizie (del Concilio, dei Vescovi e regolari e di Propaganda Fide).
Il M. morì a Roma il 21 genn. 1659 e fu sepolto nella chiesa di S. Andrea al Quirinale.
Due anni dopo la morte, forse come ricompensa per i servigi resi dal M., il nipote Giovanni Antonio fu chiamato a succedergli sulla cattedra arcivescovile capuana.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Archivio concistoriale, Acta Camerarii, vol. 17, c. 113v; ibid., Processus consistoriales, vol. 35, cc. 135-144; Segreteria dei brevi, Registra brevium, vol. 696, cc. 61-62r; Epistolae ad principes, Registra, voll. 52, cc. 242v-243r; 53, cc. 421v-437; Segreteria di Stato, Firenze, voll. 24, cc. 68v-129; 25, cc. 1-144; ibid., Germania, voll. 29, cc. 1-173; 140; 142-150; ibid., Nunziature diverse, voll. 23, cc. 3r-262r; 24, cc. 1r-166r; ibid., Vescovi e prelati, vol. 38, cc. 211, 225, 228r, 312r, 336, 349, 388, 403r-404r, 452-453, 463; V. Kybal - G. Incisa della Rocchetta, La nunziatura di Fabio Chigi (1640-1651), I, 1-2, Roma 1943-46, ad ind.; G. Beltrami, Notizie su prefetti e referendari della Segnatura apostolica desunti dai brevi di nomina, Città del Vaticano 1972, p. 70; C. Weber, Die ältesten päpstlichen Staatshandbücher. Elenchus congregationum, tribunalium et collegiorum Urbis 1629-1714, Rom-Freiburg-Wien 1991, pp. 271 s., 274; Teatro genealogico delle famiglie nobili milanesi, a cura di C. Cremonini, II, Mantova 2003, p. 91; T. Mrkonjic, Archivio della nunziatura apostolica in Vienna, I, Città del Vaticano 2008, pp. 9-11; F. Granata, Storia sacra della Chiesa metropolitana di Capua, I, Napoli 1766, pp. 169 s.; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, VII, Roma 1793, pp. 122-124; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanents jusq’en 1648, Helsinki 1910, p. 273; F. Arese, Cardinali e vescovi milanesi dal 1535 al 1796, in Archivio storico lombardo, CVII (1981), p. 183; D. Squicciarini, Nunzi apostolici a Vienna, Città del Vaticano 1998, pp. 126 s.; A. Koller, Einige Bemerkungen zum Karriereverlauf der päpstlichen Nuntien am Kaiserhof (1559-1655), in Offices et Papauté (XIVe-XVIIe siècle). Charges, hommes, destins. Actes du Colloque, Paris…2003 - Avignon…2004, a cura di A. Jamme - O. Poncet, Rome 2005, pp. 846 s., 852, 855; A. Catalano, La Boemia e la riconquista delle coscienze. Ernst Adalbert von Harrach e la Controriforma in Europa centrale (1620-1667), Roma 2005, ad ind.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XLIV, pp. 176 s.; Hierarchia catholica, IV, pp. 33, 134.
M.C. Giannini