Mastrocinque, Camillo
Regista cinematografico, nato a Roma l'11 maggio 1901 e morto ivi il 23 aprile 1969. Abile artigiano dalle sicure capacità tecniche, con sessanta film circa realizzati nel corso di una carriera eclettica e discontinua, diede il meglio di sé nelle puntigliose ricostruzioni ambientali degli anni Quaranta e nella serie di film interpretati da Totò negli anni Cinquanta, bistrattati dalla critica dell'epoca ma premiati dal consenso del pubblico per la singolare efficacia dei meccanismi comici.
Si accostò al cinema mentre era ancora studente di architettura come aiuto architetto in Ben Hur (1926) di Fred Niblo, kolossal realizzato in Italia dalla Metro Goldwyn Mayer. Appassionato di teatro, fondò il Teatro delle marionette italiane, che seguì in alcune tournée all'estero. Dopo la laurea in architettura, soggiornò a lungo in Francia dove lavorò come scenografo teatrale e illustratore di giornali, ma avviò anche il suo apprendistato cinematografico come aiuto di Augusto Genina. Ritornato in Italia, fu assistente di Carlo Ludovico Bragaglia, Marco Elter, Raffaello Matarazzo, Mario Mattoli, fino al debutto nella regia con il film musicale Regina della Scala (1937), in collaborazione con Guido Salvini. Nella commedia ‒ dopo la buona prova di Voglio vivere con Letizia (1937) ‒ si impose con il vivace La danza dei milioni (1940), disinvolto contributo italiano all'ideologia del self made man, e con il garbato Validità giorni dieci dello stesso anno, ispirato alla serie giallo-rosa di The thin man. Con i film in costume ottenne i suoi maggiori successi, da L'orologio a cucù (1939) a Don Pasquale (1940), fino a I mariti ‒ Tempesta d'amore (1941) che, per l'efficacia dello studio dei caratteri e della rievocazione ambientale, viene considerato uno dei suoi film più riusciti. La scorrevolezza della confezione fa dimenticare nel complesso l'impianto teatrale dei testi d'origine di L'ultimo ballo (1941), Fedora (1942), e soprattutto di La statua vivente (1943), che s'ispira alle cupe atmosfere del cinema francese del periodo. Nel dopoguerra riprese la sua intensa attività all'insegna del consueto eclettismo, alternando il film musicale (Il cavaliere del sogno ‒ Gaetano Donizetti, 1947) al remake di un classico del muto (Sperduti nel buio, 1947, dall'omonimo film del 1914 diretto da Nino Martoglio e Roberto Danesi), il giallo (L'uomo dal guanto grigio, 1948) al melodramma di ambiente mafioso con cadenze da western (Gli inesorabili, 1950), chiaramente ispirato a In nome della legge (1949) di Pietro Germi, in cui M. era apparso nel ruolo del sadico barone Lo Vasto. Ma il genere a lui più congeniale si rivelò il comico, che contrassegnò la maggior parte della sua produzione successiva. Benché abbia lavorato con quasi tutti gli altri comici italiani del momento, il suo nome resta legato ai film interpretati da Totò, da Totò all'Inferno a Siamo uomini o caporali?, entrambi del 1955, da Totò lascia o raddoppia? a Totò, Peppino e i fuorilegge, entrambi del 1956, da Totò, Vittorio e la dottoressa (1957) a Tototruffa '62 (1961). I più significativi rimangono La banda degli onesti (1956), irresistibile epopea di un bonario terzetto di apprendisti falsari attratti dal miraggio del 'colpo grosso', e Totò Peppino e… la malafemmina (1956), diventato ormai un film di culto, ricordato soprattutto per la scena della dettatura della lettera, in cui Totò e Peppino toccano vertici inarrivabili sul piano della sintonia scenica e dei tempi comici.