MARIANI, Camillo
– Figlio di Antonio, di origine senese (cfr. Baglione), nacque a Vicenza nel 1567 circa, come si desume dagli epitaffi composti alla sua morte da Giuseppe Gualdo, esponente della famiglia vicentina alla quale il M. fu legato dagli esordi. Secondo Baglione, dopo aver iniziato il suo apprendistato con la pratica del disegno, il M. scelse di dedicarsi alla scultura ed esordì nella fase finale della realizzazione del teatro Olimpico, del quale si stava completando la decorazione in stucco della scenafronte sotto la direzione di V. Scamozzi, per l’inaugurazione del 1585.
L’ambiente vicentino in cui si formò il M. era caratterizzato dalla presenza di diverse botteghe di scultura, tra le quali le più importanti erano quelle dei locali Rubini e Albanese, e di plasticatori lombardi come R. Bascapè, attivo con A. Rubini nel teatro Olimpico. È probabile che l’apprendistato del M. sia avvenuto nell’ambito di Agostino e Vigilio Rubini, nipoti e allievi di A. Vittoria, operanti sia a Vicenza sia a Venezia. Per quanto riguarda la partecipazione del M. alla decorazione del teatro, è stata proposta l’attribuzione delle due figure femminili sul timpano del secondo tabernacolo da sinistra e della statua di Benedetto Sesso nella nicchia adiacente, oltre a un possibile intervento nelle prospettive scamozziane. Altro importante riferimento culturale per il giovane M. fu la famiglia Gualdo, per la quale eseguirà negli anni romani una serie di medaglie, citate nel 1650-53 da Girolamo Gualdo (p. 69) nella collezione di famiglia. In particolare P. Gualdo, vivace figura di intellettuale e collezionista che visse tra Vicenza, Padova e Roma, dovette fargli conoscere Scamozzi, con cui il M., dopo l’esordio nel teatro, lavorò alla decorazione del coronamento della Libreria Marciana a Venezia accanto ai Rubini e, tra gli altri, ai più affermati G. Campagna e T. Aspetti. I pagamenti per le statue in pietra d’Istria di Eolo e di Proserpina, sue prime opere documentate, vanno da gennaio ad aprile 1589, e per la perduta statua di Imeneo da febbraio ad aprile 1591. Nello stesso cantiere il M. lavorò ad alcune decorazioni in stucco fino al giugno di quell’anno, con Andrea Dall’Aquila, allievo e collaboratore di Vittoria.
Dal 1592 al 1595 non si hanno notizie documentate sull’attività del M.; potrebbero ipoteticamente datarsi a questi anni alcune opere vicentine oggi non rintracciabili: la Pietà nella cappella Negri a S. Bartolomeo e le statue che decoravano la sede del Collegio dei medici, presso S. Lorenzo. L’attribuzione al M. del ciclo di sei statue in stucco forte raffiguranti gli Antenati, poste entro le nicchie del salone della palladiana villa Cornaro a Piombino Dese, nel Padovano, si deve a Fiocco (1940-41) ed è stata accettata da tutti gli studiosi che hanno variamente datato il ciclo; esse mostrano lo stile del M. nella sua prima maturità e potrebbero porsi dopo il completamento del ciclo marciano, tra il 1592 e il 1594. Allo stesso periodo risale la decorazione della facciata di S. Pietro, con le statue in pietra tenera, oggi molto deteriorate, di S. Pietro, S. Paolo e S. Andrea sugli angoli del frontone, e la Fede e la Speranza che affiancano lo stemma pietrino in stucco all’interno del timpano.
Nel 1595 il M. si recò alla corte di Francesco Maria II Della Rovere, duca di Urbino, come testimonia una lettera di presentazione di V. Scamozzi del 13 maggio nella quale il M. viene detto «giovane di valore e di speranza singolare nella scoltura» (Gronau, p. 272). È stato plausibilmente identificato con lui lo scultore che ricevette pagamenti nel mese successivo per il modello di un Crocifisso (non rintracciato) e, nel novembre 1596, per quattro scimmie e un gruppo con una scimmia e tre scimmiotti da fondersi in bronzo per una fontana di villa Miralfiore a Pesaro (il gruppo centrale, mutilo, si trova oggi in collezione privata inglese; tre delle quattro scimmie decorano una fontana nel giardino del Cavaliere a Boboli, Firenze; la quarta è dispersa).
Tra il 1595 e il 1597 il M. eseguì a Vicenza alcune statue per il coronamento della basilica Palladiana.
In questa prima impresa, in cui lavorò accanto agli Albanese, non si sa con certezza quali e quante statue realizzò: il cattivo stato di conservazione, i restauri subiti e la posizione, che impedisce un’accurata osservazione, rendono difficile individuare l’apporto del M. che, comunque, si può riconoscere nel Vegliardo, sul terzo piedistallo da sinistra del lato nord, nella figura femminile e nell’Ercole sul quarto e quinto piedistallo da sinistra del lato ovest. In questa impresa il M., ormai quasi trentenne e con un’avviata bottega in cui lavoravano almeno due allievi, citati da G. Gualdo, Pasquale Pasqualini e Felice Vicentino, dovette avere dei collaboratori.
Nel corso della prima fase della sua attività il M., assimilate le esperienze della plastica di Vittoria e della pittura veneta, soprattutto veronesiana, maturò uno stile che unisce al moto contrapposto di origine manierista un modellato naturalistico e fluido, sensibile ai valori luminosi, e una personale sensibilità espressiva. Notevole per qualità e originalità è il ciclo degli Antenati di villa Cornaro, un unicum nella scultura dell’epoca, i cui soggetti sono raffigurati con vivacità nei modi espressivi e con senso scenografico, in armoniosa fusione con i partiti architettonici palladiani.
Nel dicembre 1597 è documentata per la prima volta la presenza romana del M., quando egli fu ammesso nella Compagnia dei Ss. Quattro Coronati, sodalizio nato all’interno dell’università dei marmorari. Di questa faceva parte Bascapè, che probabilmente favorì l’inserimento del M. nell’ambiente romano. Altro tramite fu P. Gualdo, che soggiornava spesso a Roma ed era vicino agli ambienti degli oratoriani e dei gesuiti. Forte di questi appoggi e delle capacità acquisite, il M. a Roma si inserì subito in imprese decorative di grande importanza e i primi anni del suo soggiorno, coincidenti con la preparazione del giubileo, furono i più densi di impegni e di realizzazioni.
Il suo esordio fu nella basilica Lateranense, dove dal marzo 1598 scolpì il cherubino all’interno del frontone dell’altare del Ss. Sacramento che si stava realizzando nel braccio sinistro del transetto clementino sotto la direzione di P.P. Olivieri. Dal dicembre 1598 al marzo dell’anno seguente il M. eseguì, in collaborazione con G.A. Paracca, detto il Valsoldino, i modelli in creta di S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista destinati a una fusione in bronzo che non fu mai compiuta, sempre per lo stesso altare. Il M. doveva avere iniziato in questi anni, inoltre, una forma di collaborazione con il più anziano e affermato Olivieri, alla morte del quale, nel luglio 1599, portò a termine le opere marmoree da lui lasciate incompiute nella cappella del Ss. Sacramento (la statua di Elia e il rilievo soprastante con Elia e l’angelo), come testimoniano i pagamenti camerali. Secondo Baglione il M. fu chiamato anche a completare la pala di Olivieri con l’Adorazione dei magi nella cappella Caetani a S. Pudenziana; ma i pagamenti riportano solo un intervento dell’allievo Pasqualini nella rifinitura e anche lo stile è tipico del maestro romano. Delle opere lasciate incompiute da Olivieri, quella nella quale fu più rilevante l’intervento del M. è probabilmente il Sogno di Elia, per la sua impronta veneta.
Nel 1598 il M., inoltre, doveva avere iniziato la decorazione in stucco, con coppie di angioletti, della volta della cappella degli Angeli nella chiesa del Gesù, affrescata da F. Zuccari, e il ben più impegnativo ciclo decorativo di S. Bernardo alle Terme.
Questa chiesa fu ricavata, per volontà della contessa Caterina Nobili Sforza di Santa Fiora, da una rotonda del recinto delle terme di Diocleziano, per dare una sede, con il vicino monastero, ai monaci foglianti di padre Jean de la Barriére, di cui era devota. Fiocco (1968) ha avanzato l’ipotesi che il M., oltre a realizzare l’intera decorazione scultorea dell’interno, consistente in otto grandi statue (S. Girolamo, S. Caterina da Siena, S. Caterina d’Alessandria, S. Bernardo di Chiaravalle, S. Francesco, S. Maria Maddalena, S. Monica, S. Agostino) e coppie di angeli sui pennacchi degli archi, tutte in stucco, possa aver progettato la sua ristrutturazione architettonica, di ispirazione palladiana, dato che le fonti lo dicono anche architetto. L’insieme della decorazione, completato nel 1602, data della consacrazione della chiesa, si presenta omogeneo e reca l’impronta del M., che qui poté esprimere liberamente la propria sensibilità senza dover sottostare a direttive altrui. In questo interno colpiscono la luminosità e la dimensione monumentale delle statue, stemperata dal trattamento pittorico delle superfici e dalla morbidezza delle pose, caratteristiche ottenute grazie al sapiente uso dello stucco, per la prima volta usato a Roma in un complesso statuario di questa importanza. La luce, proveniente dall’oculo centrale della cupola, rende protagoniste le statue che nella loro vitalità, spazialità e caratterizzazione psicologica aprono la strada alla nascita del barocco.
In occasione del giubileo indetto da Clemente VIII, il M. svolse anche altri importanti incarichi: da novembre 1599 a luglio 1600 ricevette pagamenti per la Prudenza e la Speranza in stucco su un arcone della cappella Clementina, in S. Pietro in Vaticano, realizzate sotto la direzione di G. Della Porta. Rispetto alle altre Virtù di questa fase decorativa, opere dei lombardi Bascapè e A. Bonvicino, quelle del M. appaiono le più innovative nel tentativo di stabilire una comunicazione con lo spettatore, verso il quale sporgono le teste. Nello stesso periodo realizzò uno dei nove Angeli marmorei a rilievo sulle pareti del transetto della basilica Lateranense, che ebbe nel 1601 la stima più alta di tutta la serie: si tratta molto probabilmente del primo partendo dal centro, nella parete occidentale del braccio settentrionale. Sempre nel 1601 eseguì alcune decorazioni in stucco, perdute, nella cappella del Pantheon della Compagnia dei Virtuosi, alla quale il M. era stato ammesso nel maggio dell’anno precedente con G. Baglione.
Fu accademico di S. Luca: un suo contributo è registrato nel 1604 e nel 1607 sottoscrisse gli statuti dell’associazione.
Oltre ai due allievi vicentini, il M. a Roma accolse nella propria bottega altri due giovani di alto livello: F. Mochi, suo aiuto a S. Bernardo, e il pittore veneziano C. Saraceni, arrivato a Roma nel 1598. Il M. si dilettava infatti anche di pittura, come dicono i biografi e come testimonia l’unico dipinto finora attribuitogli con sicurezza, una Fuga in Egitto, su ardesia, di provenienza Ottoboni e ora nella collezione Longhi di Firenze, nel quale il M. coniuga un vivace cromatismo di origine veneta con l’assimilazione dello stile romano di Zuccari e di G. Cesari.
Nella primavera del 1601 il M. risiedeva nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte, in via Paolina, con il pittore di prospettive e trattatista M. Zaccolini da Cesena; dall’ottobre 1605 prese in affitto tre camere nel palazzo Rucellai (ora Ruspoli) in via del Corso.
Insieme con N. Cordier, I. Buzio, il Valsoldino, S. Maderno, Bonvicino e altri scultori e scalpellini, terminati i lavori di abbellimento del transetto lateranense, il M. fu impiegato da Clemente VIII nella decorazione della sua cappella di famiglia a S. Maria sopra Minerva (cappella Aldobrandini); da una stima del 1604 risulta che egli eseguì le statue marmoree di S. Pietro e S. Paolo ai lati dell’altare e della Religione per la tomba di Lesa Deti, a quella data terminate e poste in opera. Questa prestigiosa commissione non si risolse in un completo successo perché le statue dei due apostoli non piacquero al papa, che volle farle ritoccare da Cordier.
Nel 1603 intanto aveva perso la commissione della statua di Federico da Montefeltro per il palazzo ducale di Urbino, la cui esecuzione fu assegnata, anziché al M. a cui si era pensato in un primo momento, al veronese Campagna. Nei due anni successivi ai lavori per la cappella Aldobrandini l’attività nota del M. è scarsa: nella primavera del 1606 collaborò con Bonvicino, ma in un ruolo secondario, alla fattura di quattro angeli in legno, stucco e stoffa per il baldacchino di Paolo V nella basilica Vaticana (perduti) e nel 1607 realizzò, con il Valsoldino, una coppia di angeli reggistemma marmorei per la facciata interna della nuova sacrestia di S. Maria Maggiore, dispersi all’epoca dei restauri settecenteschi. Può darsi che in questo periodo il M. abbia lavorato fuori Roma: Baglione scrive che lavorò in molti luoghi d’Italia. Documentato è il suo soggiorno a Napoli, dove si recò nel novembre 1607 e dove, stando al contratto di apprendistato con il giovane P.A. Naldini, doveva rimanere due anni. Unica testimonianza della sua permanenza è una stima di lavori di marmo eseguiti dall’architetto G. Lazzari nella cappella Noris Correggio a S. Anna dei Lombardi, firmata nel settembre 1608 dal M. e da C. Monterosso.
La serie di medaglie raffiguranti sette uomini illustri vicentini eseguite per E. e P. Gualdo, finora datate al periodo vicentino del M., fu ideata invece tra la fine del 1608 e il 1609, quando, in uno scambio epistolare con il dotto padovano esperto di antichità L. Pignoria, i committenti chiedevano pareri sui soggetti da raffigurare.
Realizzate tramite fusione e raffiguranti Q.R. Palemone, Cornelio Gallo, Aulo Cecina, Alferisio conte di Vicenza, Alberto Marano, Fra Giovanni da Schio e Girolamo Gualdo, prozio dei due fratelli, le medaglie mostrano capacità compositive e ritrattistiche; l’arte della medaglia fu praticata anche dagli allievi del M., Pasqualini, Mochi e P. Sanquirico, che fu medaglista di Paolo V.
Di ritorno a Roma, il M. fu chiamato a collaborare a un’altra prestigiosa impresa papale: la decorazione della cappella Paolina a S. Maria Maggiore, ove egli lavorò per due anni prima di morire lasciando incompiute le ultime opere. Secondo Baglione, il M. ebbe un ruolo importante nella progettazione e nella realizzazione dell’altare che custodisce la venerata icona della Vergine, la Salus Populi Romani, progettato da G. Rainaldi. Per il primo modello ligneo fatto realizzare da G.B. Crescenzi, che sovraintese ai lavori, il M. realizzò i modellini di tutte le parti figurate; in seguito, sotto la direzione di P. Targone che si occupò anche della fusione delle parti bronzee con la collaborazione di D. Ferreri e O. Censore, fece i modelli della Gloria d’angeli (cinque angeli in volo e due angioletti che affiancano la colomba dello Spirito Santo) e dei due angioletti laterali posti sul frontone.
I pagamenti per questi modelli vanno dall’ottobre 1609 al luglio 1610; mentre dal gennaio 1610 cominciarono quelli per la statua marmorea di S. Giovanni Evangelista e dal luglio dello stesso anno per il rilievo con la Presa di Strigonia per la tomba di Clemente VIII, posta sulla parete destra della cappella. Dopo la morte del M. entrambe le opere furono finite da Mochi, che le firmò con il nome del maestro. La statua di S. Giovanni fu posta in opera nell’agosto 1611; mentre per il rilievo i pagamenti a Mochi continuarono fino all’agosto 1612. La critica ha individuato l’intervento dell’allievo nella testa e nelle braccia del S. Giovanni, mentre la posa, dinamica e piena di tensione, che si deve al maestro, mostra un’influenza del più giovane sul M., sempre disponibile ad aggiornarsi. Nel rilievo l’intervento di Mochi deve essere stato più rilevante e potrebbe consistere nelle figure in secondo piano e in quella del comandante a cavallo, mentre l’impostazione generale, con una ricerca di nuove soluzioni spaziali che lo distaccano dagli altri più convenzionali rilievi della serie, si deve al Mariani.
Il M. morì a Roma e fu sepolto il 6 luglio 1611 nella chiesa di S. Susanna.
In assenza di eredi diretti, il 5 luglio si erano presi cura di far redigere l’inventario dei beni i suoi fedeli allievi Pasqualini e Mochi. Dal documento (De Lotto, pp. 162 s.) si sa che i beni del M. e quindi probabilmente anche lui stesso si trovavano in casa degli eredi di Bartolomeo Della Porta, il figlio dell’architetto Giacomo che era stato canonico di S. Maria Maggiore; l’elenco dei beni conferma la pratica della pittura e delinea una personalità oculata nell’investire i propri risparmi e in possesso di una discreta biblioteca – dalle Metamorfosi di Ovidio alla Bibbia, alle incisioni della Passione di A. Dürer – da cui trarre spunti per la sua attività artistica. Nella fase di passaggio dal tardo manierismo al barocco il M. fu un importante tramite tra la cultura figurativa veneta e l’ambiente artistico romano contribuendo in modo determinante alla nascita del primo barocco attraverso l’influenza che esercitò su Mochi e sul giovane G.L. Bernini.
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