LUZZARA, Camillo
Nacque probabilmente a Mantova tra la seconda e la terza decade del XVI secolo da Giovanni Battista e da Paola Benedusi. Il padre, secondo Carlo d'Arco ancora vivo nel 1529, combatté con i marchesi Francesco e Federico Gonzaga, seguendoli in varie imprese militari nel corso delle quali fu denominato "scaramuccino", forse a causa di una sua personale tecnica di guerreggiare.
Cresciuto, dunque, nell'ambiente della corte mantovana e avviato alla vita ecclesiastica, il L., divenuto sacerdote, fu annoverato tra i segretari ducali, seguendo in ciò le orme dei fratelli Giovanni Maria e Francesco Maria, quest'ultimo al servizio diretto del cardinale Ercole Gonzaga, allora reggente il Ducato mantovano. L'esordio del suo servizio è databile al 1552, allorché iniziano le informazioni scritte da diverse ville suburbane gonzaghesche: Marmirolo, Porto Mantovano, Quingentole.
Dopo una prima missione come inviato a Roma nel 1555, il L. vi ritornò nel 1559, anno delle sue relazioni anche da Bologna. Rinnovata in più occasioni l'esperienza romana a partire dai primi mesi del 1560 - solo nel 1562 si registrano alcune sue missioni in Monferrato - all'inizio del 1565 fu nominato ambasciatore presso la S. Sede in sostituzione del fratello Giovanni Maria, là residente da due anni dopo una precedente esperienza a Milano nel 1546-47.
Il 21 febbr. 1565 moriva il cardinale Federico Gonzaga, vescovo di Mantova, nonché titolare della prepositura di San Benedetto Po e dell'abbazia di Lucedio in Monferrato, benefici per i quali il duca di Mantova, Guglielmo Gonzaga, fratello di Federico, rivendicava presso il pontefice Pio IV il giuspatronato.
Il 1( marzo il L. giunse a Roma come negoziatore ufficiale del duca con lo scopo di convincere il papa a conferire i titoli vacanti all'unico fratello superstite di Guglielmo, Ludovico Gonzaga, allora in Francia, dove era in procinto di sposare la ricchissima Enrichetta di Clèves. Fallito quel disegno a causa della scelta matrimoniale di Ludovico, la preferenza cadde su Francesco Gonzaga di Guastalla, cugino del duca di Mantova e cardinale dal 1561. Favorito dalla conoscenza diretta dell'ambiente papale acquisita nelle precedenti occasioni, il L. si rivelò da subito osservatore attento presso la corte romana, dalla quale riferiva a Mantova gli sviluppi del negoziato sul giuspatronato nonché fatti e impressioni su qualsiasi aspetto riguardante i cardinali presenti a Roma, annotandoli con personali e argute osservazioni.
La trattativa per il giuspatronato era resa difficile dalla volontà del pontefice di ricavare dalle sedi vacanti alcuni benefici per i cardinali Carlo Borromeo e Marco Sittico di Altemps. Grazie all'abile opera negoziatrice del L. i patteggiamenti si conclusero favorevolmente, anche se si dovette attendere il 23 ott. 1565, quando fu rilasciato il breve di Pio IV che concedeva i tre benefici a favore del cardinale Francesco Gonzaga, dietro composizione, però, da parte dello stesso cardinale, di 25.000 scudi.
Con la morte, il 9 dicembre successivo, di Pio IV, dello stesso cardinale Gonzaga in conclave il 6 genn. 1566 e l'elezione, il giorno dopo, del nuovo papa, Pio V, tutto era posto di nuovo in discussione. Ben più arduo si rivelò da parte del L. il compito di negoziare con il nuovo pontefice i benefici decaduti. Un lungo braccio di ferro oppose, infatti, il duca di Mantova a Pio V, il quale, attento nell'osservare alla lettera i dettami del concilio di Trento, rifiutò di riconoscere il giuspatronato della cattedrale di Mantova concesso dal suo predecessore, nonostante l'opera assidua dell'inviato mantovano e l'intervento dell'ambasciatore dell'imperatore Massimiliano II, cognato di Guglielmo Gonzaga. Alla fine del 1566, perdurando il contenzioso con il papa, il L. fu richiamato a Mantova senza attendere l'esito delle trattative.
A causa di quell'insuccesso il L. subì, probabilmente, una sorta di ostracismo da parte del duca, che lo declassò negli anni successivi utilizzandolo in compiti sempre più marginali: da allora, infatti, il suo nome non compare negli affari più importanti di governo. Il L. si vide persino togliere, per volontà del duca, il canonicato di S. Pietro in Mantova, quello della chiesa parrocchiale di S. Margherita e altri cospicui benefici ecclesiastici ottenuti grazie al servizio svolto per i cardinali Federico e Francesco Gonzaga, nonché per il vescovo loro successore, Gerolamo Boldrini, del quale era parente.
Il malumore suscitato nel L. dall'ostile atteggiamento di Guglielmo Gonzaga fu all'origine di un rapporto epistolare in cifra, intrattenuto per un ventennio, con l'agente dei cardinali Gonzaga a Roma, Bernardino Pia, suo collega durante i negoziati per il giuspatronato, connivente nello screditare e porre in ridicolo presso la Curia romana la persona e l'opera di governo del duca. Nella primavera del 1586 le malevoli voci circolanti a Roma sul Gonzaga e il discredito da esse cagionato erano ormai divenuti di dominio pubblico e di tale gravità da provocare un intervento diretto di Guglielmo. L'inchiesta e il processo giudiziario che ne seguirono videro coinvolti, oltre ai due corrispondenti, insospettabili esponenti della vita di corte mantovana, forse a causa di una loro esclusione dal centro del potere in seguito al processo di riorganizzazione amministrativa messo in atto da Guglielmo Gonzaga. Le maggiori responsabilità, tuttavia, ricaddero sul L. in seguito al ritrovamento nella sua abitazione del carteggio con il Pia, dal quale scaturirono, oltre alle maldicenze sul duca e alle critiche mosse al suo operato, le ben più gravi azioni condotte a Roma dai due congiurati miranti a sabotare le iniziative politiche e di governo per le quali era prevista la pena capitale.
Dopo avere protestato inizialmente la propria innocenza chiedendo il rispetto dell'abito che indossava, il L., sottoposto a carcere duro e a tortura, ammise infine le sue colpe. Nel processo, che si concluse il 23 ott. 1586, Pia fu arrestato insieme con alcuni gentiluomini; alcuni di loro furono condannati a pene di vario genere, altri furono costretti a una fuga precipitosa dallo Stato gonzaghesco.
Il L. fu, invece, degradato allo stato laicale e condannato a morte. Non si ha notizia della data dell'esecuzione della condanna.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 889-890, 893-895, 897, 2578, 2584-2585, 3272, 3463-3464; Raccolta docc. patrii di C. d'Arco: C. d'Arco, Delle famiglie mantovane, V, p. 95; L. von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1923, ad ind.; R. Quazza, Emanuele Filiberto di Savoia e Guglielmo Gonzaga (1559-1580), in Atti e memorie dell'Acc. Virgiliana, n.s., XXI (1929), pp. 3-252, ad ind.; Id., La diplomazia gonzaghesca, Milano 1941, pp. 40, 76, 83, 97 s., 101, 106, 110, 117, 119; Id., Pio IV e il giuspatronato sulla cattedrale di Mantova, in Atti e memorie dell'Acc. Virgiliana, n.s., XXVII (1949), pp. 99-128; R. De Maio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961, ad ind.; M.A. Romani, Fedeltà, "familia", Stato. Guglielmo Gonzaga e la società di corte mantovana alla fine del Cinquecento, in "Familia" del principe e famiglia aristocratica, a cura di C. Mozzarelli, Roma 1988, ad ind.; R. Tamalio, Francesco Gonzaga di Guastalla, cardinale alla corte romana di Pio IV, Guastalla 2004, ad indicem.