CORONA, Camillo
Della famiglia Corona, originaria di Sora (prov. di Frosinone), rimangono poche e incerte notizie. Da Francesco nacquero cinque figli: Gioacchino, nel 1746 Pietro, Giambattista, Camillo e Nicola, il più giovane.
Il C. compì probabilmente a Roma gli studi di medicina; in questa città esercitò la professione. Le prime testimonianze della sua attività possono trarsi dal rado carteggio che tra 1788 e 1794 tenne con Domenico Cotugno, professore dell'università di Napoli e medico del re.
L'argomento delle lettere, con l'eccezione d'una marginale riflessione critica nei confronti della politica finanziaria dello Stato della Chiesa e dell'accenno a un probabile viaggio a Vienna, è prevalentemente scientifico. Il C. descrive dettagliatamente sintomi, patologia e terapie: si rivela un medico attento e prudente. La sua clientela è costituita da aristocratici romani e da alti prelati di Curia. Nel 1790 confida al Cotugno di essere impegnato nella redazione di un'opera che "[gli era] cresciuta sotto le mani". Si trattava de Le rivoluzioni della medicina romana, un libro col quale intendeva "combattere a visiera alzata l'impostura e l'ignoranza medica"; ma di questo saggio che era giunto a tal grado di compiutezza da spingere l'autore ad occuparsi dei rami del frontespizio e nel quale si sarebbero potuti cogliere verosimilmente i riflessi dei lumi, non s'è saputa trovare alcuna traccia e d'esso rimane solo il prospetto dei capitoli inviato all'illustre corrispondente napoletano.
Un opuscolo del 1791 conferma l'autorevolezza acquistata dal C. tra i medici romani; allo stesso anno dovrebbero risalire i primi contatti epistolari che il C., insieme con i fratelli Pietro e Nicola, stabilì con i commissari francesi di Nizza.
Tra 1791 e 1793 si formò intorno ai fratelli Corona quel gruppo di "patrioti" romani la cui opera incise in modo determinante nelle vicende che si concluderanno con l'istaurazione della repubblica "giacobina": "ce sont des savants, des médecins, des grands seigneurs mécontents", un gruppo, secondo lo stesso C., costituito da "non più di sessantotto persone". Queste tengono contatti con l'ambasciata francese, si riuniscono nella casa del banchiere Stefano Moutte, scrivono lettere e "cartelli", progettano l'insurrezione. Fu nel corso di una manifestazione da loro indetta che il 13 genn. 1793 fu ucciso Hugon de Bassville.
Nel 1794 il C. fu arrestato sotto l'accusa di aver tramato un attentato contro Pio VI: insieme con lui furono arrestati Liborio Angelucci, il futuro console della Repubblica romana, Francesco Monaco, e Pietro Poli. In "separate carceri" furono rinchiusi gli altri due fratelli, imputati di corrispondenza con "i francesi commessari". L'istruttoria non poté raccogliere prove, ma i congiurati, pur lasciati liberi, furono sottoposti a controlli di polizia. Ciononostante il C. continuò a mantenere corrispondenza con Nizza e Parigi, e quando nel luglio del '97 giunsero a Roma i commissari incaricati da Napoleone della ricerca di opere d'arte, insieme con il fratello Nicola, collaborò con essi. Nell'autunno di quell'anno l'opera dei patrioti romani assunse un'importanza determinante. Tenendosi in contatto con Parigi, con i giacobini delle Marche e della Cisalpina organizzando moti in città, essi cercarono di creare una situazione che sollecitasse i membri disponibili del Direttorio ad ordinare un intervento militare, capovolgendo la politica di sostanziale difesa dello Stato della Chiesa progettata da Talleyrand, da Cacault, da Napoleone Bonaparte e perseguita a Roma dall'ambasciatore Giuseppe Bonaparte.
Le trame rivoluzionarie del gruppo culminarono nei tumulti cittadini del 27 e 28 dic. 1797 che si conclusero con l'uccisione del generale Duphot. L'intervento dell'armata francese divenne inevitabile e il 15 febbr. 1798 fu proclamata a Roma la repubblica. Sembra che nel periodo immediatamente precedente la crisi il C. abbia cercato rifugio in Toscana. Certo è che il 16 febbraio, quando il generale Berthier provvide all'insediamento dei nuovi quadri politici repubblicani, il C. fu "provvisoriamente" addetto alle funzioni di ministro degli Affari Esteri e della Marina. La designazione conferma l'importanza del ruolo che il C. aveva assunto nella lotta clandestina ed anche la fiducia che in lui nutrivano le autorità francesi.
Le carte e i bandi del governo repubblicano conservano scarse tracce dell'opera del C. al ministero degli Esteri, ma a questo periodo risale la convenzione, tenuta a lungo segreta, con la quale il C. impegnava la Repubblica romana a versare a Parigi la somma di 3.000.000 di scudi. Il 6 marzo, sembra su sua richiesta il C. fu assegnato al ministero degli Interni. Qui le testimonianze della sua attività diventano più evidenti: accanto a provvedimenti di ordinaria amministrazione (tariffe postali, controllo dei mercati) appaiono misure che rivelano la gravità della situazione interna: l'imposizione ai funzionari dell'amministrazione centrale e periferica nominati dai Francesi di prendere possesso delle cariche, l'ordinanza che cerca di assicurare la mano d'opera bracciantile agli agricoltori, il decreto di restituzione gratuita degli oggetti impegnati per un valore inferiore ai ducati quattro. Significativa la "notificazione ai poveri" del 1° aprile con la quale il ministro dichiara che "principal cura della Repubblica" dovrà essere la pubblica beneficenza, ma mantiene intatto il sistema d'assistenza pontificio, fondato sugli attestati delle parrocchie e sulle elemosine in occasione delle feste religiose. Sempre nel mese di aprile fu nominato membro dell'Istituto nazionale per la sezione di chimica, e tenne il discorso inaugurale in una solenne seduta nelle stanze di Raffaello. Plaudì al ritorno della scienza "in quei luoghi medesimi onde prima era bandita inesorabilmente" e tratteggiò "il ritratto del vero filosofo". Nello stesso mese presiedette alla fondazione dell'Accademia filotecnica d'agricoltura, commercio e belle arti.
Ben presto cominciarono gli attacchi e le polemiche. L'opinione pubblica non gli perdonava la sottoscrizione della convenzione finanziaria; entrò in urto con i consoli che l'accusarono di "trascuratezza nell'organizzare gli affari a lui spettanti"; il 14 aprile anche U. Lampredi, in un articolo de Il Monitore lo invitò garbatamente a organizzare più efficientemente "i Burò". Il 26 aprile Faypoult, commissario del Direttorio, lo sostituì al ministero con Giuseppe Toriglioni. Il C. era "un excellent patriote - scrisse a Parigi - mais trop inactif pour la place qu'il occupait. Nous l'avons mis dans le Tribunat, où il sera certainement plus utile qu'au ministère".
Potrebbe però rivelarsi non casuale la coincidenza tra la data del licenziamento del C. ed il fallimento, in quegli stessi giorni, d'un progetto di democratizzazione della Chiesa che aveva finito col coinvolgere il ministero degli interni. Il 13 aprile l'abate Claudio Della Valle, capo del dipartimento dei prefetti sull'Ecclesiatico, per colmare il vuoto che si era determinato nella politica ecclesiastica romana dopo l'espulsione di Pio VI, aveva avanzato, seguendo i recenti esempi della Cisalpina, una richiesta d'elezione popolare dei parroci, controfirmata, per il ministro, da un funzionario. La proposta, che contrastava la linea politica del Direttorio, fu respinta dal Tribunato il 26 aprile e il Della Valle venne esonerato dalle sue funzioni. Il C. si presentò come semplice tribuno alla seduta del Corpo legislativo, e il 30 aprile prestò giuramento.
Il 1° maggio, riprendendo con maggior libertà gli spunti avanzati nella "notificazione ai poveri", tenne un discorso su i "pubblici soccorsi": l'Assemblea, applaudendo, ne chiese la stampa.
Il C. affermava esser dovere della repubblica, che pur tollerava "il tranquillo possesso di immense fortune", prevenire le richieste e i bisogni degli indigenti. Era necessario "stabilire un vero sistema di assistenza" allestendo ospedali militari e civili, fondando istituti per i mendichi, gli invalidi, i trovatelli. Proponeva una riforma delle pensioni "sulla norma dell'età, dei bisogni, delle circostanze", tale però che non privasse dell'aiuto pubblico quanti avevano onestamente servito il vecchio governo.
Il suo prestigio politico era sempre alto. Il 20 maggio fu eletto presidente mensile del Tribunato con ventotto voti su cinquantasei, e successivamente designato a far parte di importanti commissioni per l'organizzazione della guardia nazionale sedentaria, per il controllo delle requisizioni forzate, per la divisione dei beni nazionali e la risoluzione delle enfiteusi camerali e comunitative.
Sempre nel maggio fu dato anonimo alle stampe un opuscolo del C., La religione cattolica amica della democrazia. Instruzione di un teologo filantropo al clero e al popolo romano.
L'operetta conferma i rapporti esistenti tra il C., il Della Valle, il movimento cattolico democratico romano e consente di far luce sul pensiero religioso del tribuno. Il senso del libriccino deve essere cercato nel contesto della situazione che si era creata a Roma nell'aprile dopo il fallimento della riforma ecclesiastica e il trionfo delle correnti che esigevano una politica religiosa più moderata. Sconfitto politicamente, il Della Valle aveva tentato la rivincita promovendo una campagna d'opinione. Perciò aveva curato la ristampa aggiornata della sua Analisi e confutazione succinta della Bolla di Pio VI già pubblicata nel '96 a Pavia. Alla nuova edizione aveva premesso una lettera al C. nella quale si dichiarava sicuro dell'appoggio che l'influente personaggio avrebbe dato alla "filantropiche speranze" che il C. stesso "in altro tempo aveva riconosciuto degne della Filosofia insieme e della Religione". Nell'opuscolo del Della Valle entro un'ispirazione roussoiana emerge il vagheggiamento della comunità protocristiana intesa come modello di democrazia. Su questa stessa linea si colloca l'operetta di poco posteriore del C.; ma mentre il Della Valle esprime le istanze radicali dell'evangelismo giacobino e sconfina nel deismo e nel libero pensiero, le pagine del C. rimangono nell'ambito del cattolicesimo democratico e del riformismo settecentesco. Cita Montesquieu, Rousseau e i Padri della Chiesa, afferma che religione e governi trovano nel supremo ordine divino il loro fondamento comune e devono a vicenda sostenersi. La forma vera e perfetta della religione è, roussoianamente, il cristianesimo, il modello politico "la virtuosa democrazia" il cui archetipo può rintracciarsi nelle Scritture. Con fitte citazioni antico-testamentarie e protocristiane dimostra la tradizione cristiana della sovranità popolare e della prassi elettiva dei re, dei successori degli apostoli, dei preti. Domina la preoccupazione di garantire alla Repubblica l'appoggio dei curati, fondamentale tramite tra la classe politica e le plebi.
Durante l'invasione napoletana il C. riparò dapprima nella Cisalpina, poi raggiunse il governo a Perugia. Rientrato con i Francesi a Roma continuò a partecipare alle sedute del Tribunato e, secondo un contemporaneo. "s'y fit rémarquer par la moderation au milieu de l'exaltation générale". Quando le speranze di salvare la repubblica erano ormai perdute, il C. fu nominato medico dell'ambasciata francese e, dopo il crollo, si imbarcò a Civitavecchia per Marsiglia. In questa città il 7 novembre 1799 sottoscrisse insieme con altri esuli romani un appello al Direttorio. Il gruppo esprimeva la sua riconoscenza alla Repubblica francese, chiedeva un prestito di 2.000 piastre, faceva dono al Museo nazionale di Parigi di una "collection precieuse des médailles".
n Francia contrasti profondi tra le tendenze anarchistes e quelle moderate divisero gli emigrati dello Stato pontificio, ma, nonostante una nota del Fouché segnali il C. alla polizia imperiale come "elemento pericoloso", non troviamo il suo nome nella storia del radicalismo antibonapartista. Le ultime testimonianze fanno cenno della sua attività a Parigi ove "stimato e apprezzato" esercitò la medicina sino al 1817, anno della morte.
Opere: Degli opuscoli e discorsi dati alle stampe si sono reperiti: Giudizio della incorrotta verginità di Angela Gherardi e della insanabile impotenza di Nicolò Ferri, reso da' primari professori di medicina di Roma, Roma 1791; Progetto su i soccorsi pubblici del cittadino C. Corona ... nella seduta del 12 fiorile nel Gran Consiglio, e per decreto dello stesso Consiglio reso pubblico per le stampe, ibid., a. VI repubblicano [1798]; La religione cattolica amica della democrazia. Instruzione di un teologo filantropo al clero e al popolo romano, ibid. 1798(2 ediz., Perugia 1798).L'attribuzione di quest'operetta al C. è fondata sulle esplicite dichiarazioni nel Processo verbale della XIX seduta del Senato romano, e sulle affermazioni di G. V. Bolgeni, Sentimenti del giuramento civico, Roma a. VI, p. LXI. Riserve relative all'attribuzione dell'opuscolo al C. sono avanzate da V. E. Giuntella, nella introduzione ad Assemblee della Repubblica romana 1798-99, I, Bologna 1954, p. LXXXIV.
Fonti e Bibl.: Il carteggio del C. con D. Cotugno si conserva a Napoli, Bibl. nazionale, Carte Cotugno, III (quindici lettere dal 1788 al 1794, tre delle quali s. d.). Carte e docum. a stampa relativi ai fratelli Corona per il periodo rivoluzionario sono a Roma: Arch. di Stato, Fondo Repubblica romana 1798-99, B. 18-40; Bibl. Vallicelliana, Fondo Falzacappa;Bibl. di storia mod. e contemp., Bandi e Manifesti. Carte e documenti concernenti il periodo dell'esilio in Francia per entrambi i fratelli Corona sono a Parigi, Archives nationales, AF. 11.177; F. 76.474. Per la ricostruz. dell'attività politica del C., oltre ai documenti archivistici sopra citati è fondamentale, tra le fonti a stampa, la Collezione di carte pubbliche, proclami, editti, ragionamenti ed altre produzioni tendenti a consolidare la rigenerata Repubblica romana, I-V, Roma 1798-99, ma soprattutto I, passim. Vedi, inoltre, i processi verbali delle sedute del Tribunato in Assemblee della Repubblica romana, a cura di V. E. Giuntella, I, Bologna 1954. II, Roma 1977. Per le polemiche sollevate dall'attività ministeriale del C. vedi U. Lampredi, in Il Monitore di Roma, 25 germinale a. VII; e F. Mariottini, I Congressi del Monte Sacro. Congresso primo. Sul presente governo. Ediz. seconda dedicata al cittadino Bonaparte generale della Armata d'Oriente, s. l. [ma Roma], a. VII repubblicano, soprattutto pp. 118 ss. Per la complessa questione del coinvolgimento del ministero nella proposta di riforma eccles. vedi Assemblee della Repubblica romana..., cit., I, pp. 163 ss., 175 ss.; e R. De Felice, L'evangelismo giacobino e l'abate C. Della Valle, in Italia giacobina, Napoli 1964, pp. 223 ss. Si veda anche la voce dedicata al C. nella contemporanea Biographie moderne ou Dictionnaire biogr. de tous les hommes morts et vivans, Leipzig 1807, 1, p. 498. Si trovano sparsi ma importanti accenni al C. in A. Dufourcq, Le régime jacobin en Italie. Etude sur la République romaine, Paris 1900; notizie, ma anche inesattezze, in C. Trasselli, I processi politici romani dal 1792 al 1798, in Rass. stor. del Risorg., XXV (1938), pp. 1495 ss., 1613 ss. Interessanti notizie in V. E. Giuntella, Gli esuli romani in Francia alla vigilia del 18 brumaio, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, LXXVI (1953), pp. 225 ss. Vedi anche A. Cretoni, Roma giacobina, Bari 1971, ad Indicem;e M. Battaglini, Le istituzioni di Roma giacobina, Roma 1973, ad Indicem. Perspicue indicaz. biobibliografiche sui fratelli Corona sono nella Nota introduttiva di F. Venturi a Illuministi italiani, Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello Stato pontificio e delle isole, VIII, Milano-Napoli 1965, pp. 672 ss.