CARACCIOLO, Camillo
Nacque il 30 apr. 1821 a Napoli, secondogenito di Giuseppe principe di Torella e di Caterina Saliceti, figlia del ministro di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat. Partecipò all'attività dei gruppi liberali, e fu arrestato il 14 dic. 1847 dopo una manifestazione organizzata a Napoli per ottenere maggiori libertà politiche. Liberato il 24 genn. 1848, tornava in carcere il 15 maggio con L. Settembrini, Poerio e altri patrioti; dopo ripetuti interventi dell'influente padre, gli era concesso di emigrare. Il 23 nov. 1848 sposava Anna Laguinoff di Ivan e di Alessandra d'Illine; l'anno seguente gli nasceva a Ginevra il figlio Giuseppe.
Nel 1853 era di nuovo a Napoli, e partecipava alle riunioni del gruppo di liberali che si incontravano in casa di Andrea Colonna di Stigliano. All'inizio del 1857 fu tra i fondatori del Comitato dell'ordine, che raccoglieva tutti i gruppi dell'opposizione liberale per diffondere l'agitazione rivoluzionaria mediante la pubblicazione di un giornale clandestino e altre azioni rivolte ad abbattere il regime borbonico. Costretto nuovamente all'esilio, fece parte del gruppo degli emigrati napoletani residenti in Piemonte e fin dall'aprile 1860 - come ricorda S. Spaventa - firmò un manifesto per "l'annessione incondizionata, istantanea" del Regno delle Due Sicilie al Piemonte. Esponente primario del gruppo dei "cospiratori" cavouriani, fece parte - con Pisanelli, Conforti e altri - del governo provvisorio napoletano sciolto da Garibaldi al suo ingresso in Napoli il 7 settembre e sostituito dal Consiglio di governo diretto da L. Romano. Alle prime elezioni politiche del 1861 fu eletto deputato nei collegi di Conversano e di Cerignola, e sedette al centro della Camera.
Iniziò l'attività diplomatica nell'agosto 1861 con un incarico speciale che l'abilitava a trattare il matrimonio fra la principessa Maria Pia, figlia di Vittorio Emanuele II, e il re Pedro del Portogallo.
Dietro la trattativa si svolse un violento scontro tra il partito clericale - che voleva impedire l'avvicinamento del Portogallo al nuovo Regno d'Italia - e il partito liberale che - guidato dal primo ministro marchese di Loulè, zio di don Pedro, e dal ministro della guerra Sà da Bandeira - aveva già rifiutato di associare il Portogallo alle manifestazioni spagnole di solidarietà col potere temporale dei papi, come scriveva da Lisbona il C. al primo ministro Ricasoli il 18 ag. 1861.
Agli inizi del 1862 rappresentò l'Italia nella convenzione stipulata a Berna per la ferrovia del Gottardo. Con lettere credenziali del 26 giugno 1862 fu nominato inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso l'Impero ottomano, ed un mese dopo era ricevuto in udienza dal sultano.
Nelle istruzioni inviate dal ministro degli Esteri Durando, il 5 luglio, erano indicate chiaramente al C. le direttive del governo italiano per la questione d'Oriente: affermazione del diritto italiano, riconosciuto dal trattato di Parigi del 1856, di partecipare a pieno titolo a tutte le questioni riguardanti l'indipendenza e l'integrità territoriale dell'Impero ottomano, e pressioni sui governi austriaco e britannico, che tendevano a non riconoscere questo diritto dell'Italia come potenza garante. In osservanza di queste direttive, il C. respingeva, nel novembre 1862, l'invito di alcuni rappresentanti delle potenze minori perché promuovesse "delle riunioni, in fuori di quelle degli inviati che rappresentano le potenze garanti, a fermare in comune le risoluzioni più convenienti sugl'interessi che occorre di regolare d'accordo tra le varie Legazioni e il Governo ottomano. Non accettai perché l'Italia, come potenza intervenuta al Trattato di Parigi, deve aver mano in tutto quello di che la Conferenza delle altre cinque è investita" (Idocumenti diplomatici, s. 1, III, p. 184). Un mese dopo, nel dicembre 1862, l'Italia fu ammessa finalmente al tavolo delle grandi potenze per discutere della questione serba, ed era la prima volta dopo la esclusione del Piemonte dalla deliberazione sul Montenegro del '58 e dell'Italia dalle conferenze sulla Siria del '61.
Il 19 luglio 1863 fu accreditato inviato straordinario e ministro plenipotenziario in Portogallo, ove restò quattro anni; il 6 giugno 1867 fu nominato ambasciatore in Russia, dove rimase fino al 1876.
Si preoccupò di far accettare la soluzione della questione romana, il cui aspetto più preoccupante per l'ortodossa corte di Pietroburgo era costituito dai tentativi rivoluzionari di Garibaldi, come aveva detto al C. l'imperatore Alessandro II in una conversazione dell'agosto 1870. Fu sua cura particolare riferire al governo i modi e le forme della neutralità filoprussiana adottata dalla corte zarista durante e dopo la guerra franco-prussiana, come attento alla visita del Thiers, venuto a chiedere per la nuova Repubblica francese il riconoscimento del governo russo, che offrì la sua mediazione impegnandosi a tutelare l'integrità del territorio francese. Su precisa indicazione del ministro degli Esteri Visconti Venosta il C. invitò a Firenze il Thiers, che - agli inizi dell'ottobre 1870 - accettò con questa significativa dichiarazione: "la mia opposizione all'ordinamento nazionale dell'Unità italiana era senza più ingenerata nel mio animo dalla tema che questa servisse d'incitamento e di apparecchio alla formazione dell'Unità Alemanna, da cui la mia patria dovea ricevere un sì gran danno... Credete pure che la mia riconciliazione con l'Unità italiana è assoluta e sincera" (ibid., s. 2, I, p. 149).
All'avvento della Sinistra al potere si concluse l'attività diplomatica del C., che fu nominato prefetto di Roma il 18 marzo 1876, e quindi senatore il 15 maggio. Trasferito come prefetto a Torino, il 20 apr. 1878, presentò le dimissioni. In Senato prese spesso la parola su problemi di politica internazionale, specie sulla questione d'Oriente; il 20 genn. 1879 s'alzò a difendere la Destra dalle accuse del Depretis. Fu vicepresidente del Senato, presidente della commissione degli esami al ministero degli Esteri, membro del contenzioso diplomatico.
Morì il 6 apr. 1888 a Roma.
Fonti e Bibl.: I docum. diplom. ital., Roma 1952-65 s. 1, I, pp. 325, 335; II, pp. 458, 490,496, 560, 573; III, pp. 84, 142, 145, 184, 235-37, 296; XIII, pp. 266, 385, 575 s.; s. 2, I, pp. 8, 82, 136, 143 s., 149, 317, 480 s., 509 s., 594 s.; III, pp. 336 s., 455 s.; E. Passerin d'Entrèves, Iproblemi dell'unificazione italiana(1860-65), in Quaderni di cultura estoria sociale, n. s., II (1953), pp. 224 s.; R. Moscati, Il ministero degliAffari Esteri1861-1870, Milano 1961, pp. 251-53; F. Chabod, Storia della polit. estera ital. dal 1870 al 1896, Bari 1965, I, pp. 162, 178, 507 s.; II, pp. 594, 683; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. VII.