CAPIZUCCHI, Camillo
Nato a Roma nel 1537 da Marcello e da Lavinia Incoronati, ricevette una buona educazione anche letteraria, ma ben presto manifestò una grande inclinazione per le armi. La prima esperienza di guerra fu assai precoce per il C.: ad appena sedici anni partecipò alla guerra di Corsica (1554) fra quei 3000 italiani che Andrea Doria aveva arruolato per liberare l'isola dai Francesi.
Nel 1564 passò in Ungheria al servizio di Massimiliano d'Austria, in lotta con Giovanni Sigismondo Szapolyiai voivoda di Transilvania e i Turchi e, l'anno seguente, si trovò a Malta con il corpo di spedizione di Pallavicino Rangoni per sventare l'attacco che i Turchi avevano sferrato all'isola. Alcuni anni dopo egli fece parte, con alcuni cavalieri da lui stipendiati, del corpo ausiliario che Pio V inviò in Francia al comando del conte di Santa Fiora (1569) in aiuto di Carlo IX in lotta contro gli ugonotti e, nella vittoriosa battaglia di Moncontour (3 ott. 1569), si distinse per coraggio, venendo ferito a una coscia da un'archibugiata. Il corpo di spedizione italiano, decimato e ridotto alla fame, ripassò subito dopo le Alpi (febbraio 1570). Vi fu quindi per il C. un periodo di riposo a Roma, ove ricevette assieme ai fratelli Orazio e Mario una cospicua eredità della famiglia Conti con la quale i Capizucchi erano imparentati per via materna.
Ben presto però egli riprese le armi partecipando, sotto il comando del giovane Alessandro Farnese, alla spedizione navale contro i Turchi e prese parte alla battaglia di Lepanto (7 ott. 1571). Si distinse assieme al fratellastro Biagio nella scaramuccia di Corone, presso l'isola della Sapienza (dove l'armata cristiana si era fermata per i rifornimenti d'acqua), e nell'impresa di Modone, in cui si comportò così egregiamente nel difendere la ritirata da meritare l'elogio dell'arciduca Giovanni d'Austria che in seguito lo creò capitano di cavalleria (7 apr. 1573) e gli affidò il comando di 400 "gentiluomini di Poppa" per l'impresa di Tunisi, conquistata facilmente nell'ottobre 1573. Dopo aver partecipato a tutte le imprese della campagna di Giovanni d'Austria nel Levante, il C., non potendo seguire l'arciduca in Fiandra poiché erano stati esclusi tutti i soldati stranieri, tornò a Roma. Qui nell'agosto 1576 partecipò come uomo di fiducia di Giacomo Boncompagni, generale di Santa Chiesa, alla liberazione di tal Giulio Esperto da Padova, familiare del duca, che era stato rinchiuso a Tor di Nona sotto l'accusa di omicidio. Per questo Gregorio XIII lo escluse dagli impieghi pubblici, perdonandolo però due anni dopo (gennaio 1578) e creandolo addirittura nel febbraio 1580 maestro di campo generale delle milizie dello Stato della Chiesa. Ma insofferente della vita monotona di Roma, il C. si arruolò nelle truppe italiane di Alessandro Farnese (1582), allora impegnato nella guerra contro i ribelli olandesi, e fu dapprima semplice "venturiero", poi divenne capitano di una compagnia di fanteria (3 ott. 1584) e, in seguito, governatore del "tercio" d'italiani già guidato da Mario Cardoino.
Coraggioso e risoluto, il C. non tardò a mettersi in ottima luce; alla fine del 1584, assieme al Mondragone, sostenne nel consiglio di guerra l'ardito piano del Farnese che proponeva di assediare Anversa interrompendo tutte le vie di comunicazione dei ribelli, sia per terra, mediante la cavalleria, sia per mare, impedendo con il possesso della controdiga di Kouwedistyn, munita di alcune fortezze, la navigazione nella Schelda. In tale occasione il C., luogotenente del conte di Mansfeld, venne posto alla difesa di Stabroeck sulla terraferma ad una estremità della controdiga, e quando un violento attacco dei ribelli (maggio 1585) mise in pericolo l'attuazione del piano dei cattolici minacciando il forte Pilotis, egli nel consiglio si pronunciò energicamente per l'attacco, sostenuto dal suo sergente maggiore Piccolomini. Galvanizzati da tale fermezza, trecento italiani del suo "tercio" e alcune compagnie di spagnoli si gettarono nella lotta riuscendo, alla fine, a congiungersi al centro della controdiga con le truppe del Farnese, che tempestivamente era accorso dall'altro lato. Fu questo un momento determinante per la caduta di Anversa, che si arrese il 17 agosto del 1585.
Durante l'inverno 1585-86, quando l'esercito del duca di Parma si trovò in difficoltà e in particolare il reggimento spagnolo di Bobadilla fu isolato e rimase senza viveri, mentre gli Olandesi, occupato il forte di Berckshooft, cercarono di riconquistare Nimega, il C. con il suo "tercio" e con un reggimento di valloni la difese valorosamente. Le sue ottime qualità di soldato e la sua attitudine al comando brillarono anche nelle successive imprese di Grave e di Venloo, che cedette all'assedio (29 giugno 1586).
Subito dopo il C. fu inviato in aiuto dell'arcivescovo di Colonia partecipando all'assedio di Neuss. Il suo reggimento, attestato sul lato del Reno, fu sorpreso nella notte da una sortita degli assediati (11 luglio 1586), ma il giorno successivo, quando l'artiglieria aprì una breccia nelle mura della città, gli italiani del C. per primi vi irruppero e "uccisero implacabilmente quanti incontrarono senza riguardo a sesso o ad età" (Strada, III, p. 128). In seguito, il 6 ag. 1587, il C. partecipò alla presa dell'Escluse. Durante i preparativi per la spedizione in Inghilterra (1588) il C. ebbe il comando di ben sette reggimenti (ai suoi ordini fu anche il giovane Amedeo di Savoia) procurandosi l'inimicizia del condottiero Gaetano Spinola che non tollerava di essere a lui sottoposto.
L'anno successivo, fallito il tentativo dell'"Invincible Armada", ebbe il merito di fermare ai confini della Lorena con pieno successo i lanzichenecchi che il conte palatino Giovanni Casimiro aveva inviato verso la Francia in soccorso degli ugonotti (14 giugno 1589). In seguito, quando Enrico di Navarra strinse Parigi di un assedio durissimo e si temette che la città stremata cadesse nelle mani degli ugonotti, il Farnese, eseguendo ordini perentori di Filippo II, vi inviò in tutta fretta il C. con il suo "tercio" in attesa di seguirlo con il grosso dell'esercito.
Le istruzioni per il C. erano di collegarsi con il duca di Lorena e di non lasciarsi trascinare in azioni pericolose e di esito incerto. Ai confini con la Francia però il reggimento del C. si ammutinò chiedendo le paghe arretrate e un trattamento migliore; ma egli non si perse d'animo e, sicuro della stima incondizionata dei suoi veterani, scese in mezzo a loro e li convinse a riprendere la marcia, cosicché il Farnese informato dell'episodio lo lodò per la fermezza e la capacità di persuasione dimostrata (27 giugno 1590). Il reggimento raggiunse infine il duca di Lorena, spianando assieme al colonnello A. Zuñiga, che comandava un "tercio" di spagnoli, la strada al Farnese. Il C. si rifiutò quindi di partecipare a una rischiosa azione in aiuto dei Parigini affamati (introducendo cioè, come proponeva il duca di Lorena, 2.000 cavalieri di notte con sacchi di farina nella città assediata), poiché comprendeva che una tale iniziativa con le inevitabili perdite che ne sarebbero derivate, avrebbe potuto pregiudicare la vittoria definitiva che si poteva conseguire con l'arrivo del Farnese. Appena questi giunse, infatti, le truppe cattoliche procedettero all'assedio di Lagny, che cadde (6 sett. 1590) proprio sotto l'attacco del "tercio" del Capizucchi. Enrico di Navarra, ormai scoperto e vulnerabile, abbandonò l'assedio di Parigi.
Il C. partecipò anche alla presa di Corbeil, resa difficile dalla scarsità di munizioni dei cattolici. Quando il duca di Parma nel novembre 1590 tornò in Fiandra, sempre in fermento, lasciò in Francia il C. che nel giro di pochi anni si acquistò una grandissima stima presso il duca di Lorena, espugnando alcune fortezze, tra cui Saint-Lambert, dove venne ferito a un piede da un'archibugiata, e Chateau-Thierry. Intanto il re di Navarra, riordinato il suo esercito, andava riconquistando terreno e poneva l'assedio a Rouen, costringendo il Farnese ad accorrere in difesa della città. In questa impresa il C., avuto il comando di uno "squadrone volante" composto di più reggimenti, fu il protagonista di una spedizione notturna con 400 archibugieri e picchieri, riuscendo ad entrare nella città, e a riaccendere la speranza nel popolo e nel governatore duca di Villar, a tal punto che prima dell'alba gli assediati fecero una sortita contro il campo di Enrico IV e misero in fuga gli ugonotti (novembre 1591). Il C. si distinse ancora nella battaglia di Aumale, nell'assedio di Neuchâtel (febbraio-marzo 1592) e durante la presa di Caudebec (24 apr. 1592). Tornato il Farnese in Fiandra, il C. rimase di nuovo al comando delle forze del re cattolico in Francia, responsabile di esse di fronte al duca di Lorena, con il quale aveva ormai stretto rapporti di stima e di amicizia. Dopo la morte del Farnese (2 dic. 1592) il C. dapprima rimase ancora in Francia e, sotto la direzione di Carlo di Mansfeld, partecipò all'impresa di Najou e di Etaples (1593); l'anno successivo, però, ritornò in Fiandra dove si fece interprete, con altri capitani, delle proteste dei soldati italiani, che si lamentavano di un trattamento discriminato rispetto ai loro commilitoni spagnoli.
Il malcontento divenne poi aperta rivolta quando, giunto il denaro delle paghe, questo venne distribuito ai soli spagnoli e il C. perse il controllo della truppa: i suoi veterani si elessero un altro capo, si unirono ai Valloni e si abbandonarono al saccheggio finché non vennero riconosciuti i loro diritti. Sedata la rivolta, il C. fu mandato a Saint-Remy (settembre 1594).
Ma, ormai stanco e forse non soddisfatto dei nuovi capi, ottenne dal conte di Fuentes di poter tornare a Roma (4 aprile del 1595). In quello stesso anno il conte di Fuentes lo convocò a Milano, per esporgli un progetto d'invasione della Francia, ma Clemente VIII vietò al C. di partecipare all'impresa. Tornato di nuovo a Roma nel 1596, fu investito del titolo marchionale di Poggio Catino, feudo che egli aveva fatto comprare nel 1594. Ma la vita tranquilla non gli si addiceva e il C. nel 1597 ottenne da Clemente VIII di partecipare alla spedizione in Ungheria in soccorso dell'imperatore Rodolfo II. Egli si distinse all'assedio di Pápa, ove trattò la resa della fortezza difesa dai Turchi (27 ag. 1597). Senonché, dopo la sfortunata impresa di Giavarino (od. Gyór), quando le truppe pontificie decimate dalle febbri si ritirarono, il C., che aveva il comando della retroguardia, stremato dalle fatiche, morì a Colmar il 5 nov. 1597. Fu sepolto a Vienna nella chiesa di S. Croce.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca nazionale, mss. Vitt. Em. 540-541: R. Capizucchi, Historia della famiglia Capizucchi, I, ff. 335v-484r; II, ff. 101v-103r; Ibid., ms. Vitt. Em. 542: G. Lucenti, Mem. spettanti alla nobile casa dei signori Capizucchi baroni romani estratte da legittimi docum., I, pp. 528-804; Roma, Bibl. Angelica, ms. 1773, ff. 202-203: "Memoria et istruttione di quello che voi il Maestro di Campo Camillo Capizucchi haverete da fare et esseguire nel viaggio di Francia per servitio della Santa Lega et union catholica. Bruxelles 30 maii 1590", firmato Alessandro Farnese; F. Ughelli, Geneal. nobilium Romanorum de Capizucchi, Romae 1653, pp. 3 s.; V. Armanni, Della nobile et antica famiglia de' Capizucchi baroni romani, Roma 1668, pp. 34-43; A. Adami, Elogii stor. de' due marchesi Capizucchi fratelli Camilloe Biagio, Roma 1685, pp. 1-71; P. Mandosio, Bibliotheca Romana seu Romanorum scriptorum centuriae, Romae1692, pp. 150 ss.; F. Strada, Della guerra di Fiandra,Deca seconda..., Volgarizzata da P. Segneri, Torino 1830, I, p. 151; II, pp. 196 s., 234 s., 243, 292, 310, 319 s., 336, 342, 347, 349; III, pp. 82, 100, 113, 115, 117, 232; IV, pp. 59-61; P. Fea, Alessandro Farnese, Roma 1886, pp. 150 n., 176, 199, 213, 227 s., 262, 287, 334, 343, 345 s., 361, 366, 377, 384, 403, 408, 426 s., 433, 439, 464, 484; L. van der Essen, A.Farnese..., IV, Bruxelles 1935, pp. 49, 74, 79, 82, 84; V, ibid. 1937, pp. 29, 40, 50, 244, 283, 291, 342, 355, 378; C. Argegni, Condottieri, capitani,tribuni, I, Milano 1936, p. 136; G. Moroni, Diz. diz. stor. eccles., LX, p. 57; LXXIX, p. 295; Enc. milit., II, p. 658.