CAMILLI, Camillo
Non è possibile, neppure per approssimazione, determinare la data di nascita del Camilli. Vè inoltre una tradizionale incertezza nel collocarne il luogo a Siena, oppure, più probabilmente, a Monte San Savino, paese del contado d'Arezzo. La storia della sua attività, precedente all'incarico pubblico di "rettore delle scuole e professore di umane lettere", ottenuto a Ragusa ove egli si stabilì qualche anno prima del 1600, coincide con le notizie intorno alla pubblicazione delle sue opere. Nell'agosto del 1583 viene stampato per la prima volta, a Venezia, il suo lavoro più noto, con la seguente dicitura: ICinque Canti di Camillo Camilli aggiunti al Goffredo del signor Torquato Tasso.
Essi sono dedicati a Matteo Senarega e risultano preceduti da un sonetto di Francesco Melchiorri (cui risponde il Tasso con uno suo, corrispondente alla 426a delle Rime d'occasione e d'encomio, edite da A. Solerti, Bologna 1900, p. 475) col quale si vuol lodare l'ardimento del C., degno emulo del grande Tasso. I Cinque Canti, nati dall'esigenza di rispondere all'osservazione pedantesca che accusava il Tasso d'aver lasciato senza risoluzione, nella Gerusalemme liberata, gliepisodi di Erminia-Tancredi e di Armida-Rinaldo - sicché il Tasso stesso finì per dichiarare (lett. 77)d'aver "condotto a fine la favola di Erminia come ha voluto la musa, se non come avrebbe voluto l'arte" -, si inseriscono in una più ampia tendenza a riprendere temi e vicende epiche secondo raggruppamenti in determinati cicli. A parte la Siriade, poema in latino sulla crociata di Pier Angelo de Barga (Firenze 1591) probabilmente indipendente dall'influenza tassiana, si ricordino almeno l'Erminia del Chiabrera (1605), rivolta anch'essa a dare esito all'amore di Erminia per Tancredi; il Tancredi di Ascanio Grandi (1632)e due lavori intitolati Boemondo dovuti a Giovanni Mario Verdizzoti (1607)e a Giovan Leone Sempronti.
Le vicende dei Cinque Canti, che s'immaginano posteriori alla conquista di Gerusalemme con la quale si concludeva la Gerusalemme liberata, si collegano alle contrastate passioni amorose di Erminia per Tancredi e di Armida per Rinaldo, ma vanno ben al di là di queste si in una selva spesso confusa di sottoepisodi, tra i quali mantiene una sua continuità lungo l'arco dell'opera il dissidio insorto tra Goffredo di Buglione (capo della spedizione cristiana) e Raimondo di Tolosa, che non vuol cedere alla comunità le sue personali conquiste militari. La soluzione dei casi amorosi realizzatasi materialmente grazie all'alleanza tra Erminia e Armida, che riescono a godere dei loro amati nel castello incantato della seconda, ha breve durata perché Idraotte, zio di Armida e antico avversario dei cristiani, sottrae i due cavalieri vittime dell'incantesimo tenendoli prigionieri. Essi saranno liberati da Idetta, sorella di Goffredo, travestita da cavaliere, la quale s'innamora a sua volta di Rinaldo e finisce per avere campo libero poiché Armida, credendo morto il cavaliere cristiano nella battaglia in cui Idraotte viene sconfitto, si toglie la vita. Frattanto l'Invidia, messa in campo dalle potenze infernali, approfondisce il dissenso tra Goffredo e Raimondo il quale abbandona il campo cristiano; egli s'imbatte in Idetta, fra i due v'è un duello e quindi il reciproco scoprimento. Ospiti di un tal Cristiano, che narra la sua lunga storia d'amore deluso, eccentrica rispetto alla narrazione, essi vengono a conoscenza dell'esistenza di una fontana liberatrice dalle passioni. L'Invidia è così sconfitta e Rinaldo può tornare a Gerusalemme ove Idetta si rivela al fratello Goffredo, ed Erminia, giunta essa pure vicino al suicidio, ritrova Tancredi, creduto morto, e si converte al cristianesimo. Ciò che salta agli occhi in questo groviglio di casi raccolti in breve spazio (con un tendenziale quanto modesto tentativo di sovrapporre al materiale tassiano una libertà-disordine d'ispirazione ariostesca, ispirazione chiaramente presente fin nell'intitolazione dell'opera, omonima dell'aggiunta di Ariosto al suo Furioso) è una fitta rete di rimandi tematici e funzionali. Sono presenti modelli classici: l'omerica ira di Achille quale precedente illustre della defezione rientrata di Raimondo, la virgiliana descrizione del suicidio di Didone, che è nell'orecchio del C. mentre narra l'atto analogo di Armida; e naturalmente modelli propri della tradizione letteraria più prossima: la fontana magica rammenta quella dell'odio e dell'amore descritta dal Boiardo nell'Orlando innamorato, ilviaggio per incantesimo dei quattro amanti è esemplato sull'episodio dei Cinque Canti ariosteschi in cui Gano di Maganza e i trenta maganzesi sono trasportati dalla maga Gloricia. Ancor più evidenti ed intenzionali i calchi operati sul Tasso; si pensi alla riproposizione del concilio infernale, alla utilizzazione dei casi di Olindo e Sofronia nella vicenda marginale di Ermanno ed Altea, al modo in cui il C. porta a termine col suicidio di Armida un episodio già presente - allo stato di tentativo - nella Gerusalemme;e, soprattutto, ad una diffusa norma verbale pur scaduta a maniera. I connotati della scrittura del C. che, sul piano dell'intreccio, conducono ad ipotizzare una sorta di apertura al melodrammatico - visti gli esiti: suicidio o conversione - devono essere riportati ad un nucleo centrale di attitudine alla descrizione, intesa nel senso più restrittivo, neppure dunque paradossalmente gestuale; così che i passi più caratteristici sono certe scene di battaglia e raffigurazioni, quali l'Invidia, non prive di una loro evidenza ("Mostruoso avvoltor: pallido ha il volto, / E 'l corpo asciutto e magro, e 'l guardo bieco / Ruggin livida tienli ascoso e involto / Il dente e chiude il petto, e porta seco / Amaro fele, e ne la lingua accolto / Velen che rende ognun, che 'l tocchi, cieco").
Simili e pertinenti stilemi nella seconda opera originale del C., edita a Venezia nel 1586 - Le Imprese illustri di diversi, coi discorsi di C. Camilli - e dedicata al card. Ferdinando de' Medici, ove egli si fa illustratore dei rapporti correnti tra le virtù proprie delle casate cui l'impresa si riferisce e il contenuto figurativo dell'impresa medesima "imagine de' pensieri, ritraendo una sola un pensier solo virtuoso". L'altra opera pervenutaci del C. è il poemetto religioso Le lagrime disanta Maria Maddalena (1ed., Perugia, s.d.; ristampata a Palermo nel 1597) appartenente ad un genere canonico in cui s'era contemporaneamente misurato anche il Tasso.
Vi si narra la conversione di Maddalena quasi sempre nella lingua della convenzione, con tracce petrarchesche ("Le trecce scioglie in mille nodi avvolte") e con la prevalente attenzione alla delineazione esteriore: nel presentare, per esempio, il nuovo uso degli occhi, un tempo "Laberinti d'amor, fosse d'inganno, / Sepolcri d'immondizia, e di fetore", e dei capelli già adornati lascivamente; dove nemmeno si spinge l'affiorante morbosità, secondo una prospettiva generale di contrapposizione esterna (da "infernale Megera" a "serva devota") legata ad un gusto, al fondo, teatrale.
La data del 1600 coglie il C. a Ragusa nell'ufficio di professore che s'è accennato; qui si rivela uomo di "accorte maniere", "costumi dolci e pieghevoli", "ingegno pronto e svegliato", incontrando il favore dei Ragusei dai quali viene inviato a Roma - ove nella chiesa di S. Maria dell'Orto è un'epigrafe che ne rammenta il nome (cfr. V. Forcella, Iscrizionidelle chiese e di altriedifici di Roma..., I, Roma 1869, p. 258 n. 980) - quale rappresentante ufficiale, in quanto "personaggio sperto dei pubblici negozi, bel parlatore e destro". Iscritto al ceto dei "cittadini", ma non dei nobili, il C. visse a Ragusa il resto dei suoi giorni fino al 13 luglio 1615, giorno della sua morte.
Oltreché delle opere originali citate, il C. è autore di numerose traduzioni. Le principali sono: dal latino: Ovidio, Heroides (Epistulae), Fasti, Venezia 1587; dallo spagnolo: Luis de Granada, Prima parte dell'oratione et meditatione (con un Breve Confessario diFrancesco d'Evia), Venezia 1580-82; Iohannes de Avila, Trattato spirituale sopra il verso "Audi filia", Venezia 1581; Juan Huarte, Esame degli ingegni de gl'huomini, per apprender le scienze, Venezia 1586; Martin de Azpilcueta, Manuale de confessori et penitenti, Venezia 1592; Luís de Granada, Trattato primocoll'aggiunta del Memoriale della vita cristiana, Venezia 1594; Agostino Agostini, I Sette Salmi ponitenziali mutati in rima, Anversa 1595.
Bibl.: G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, Roma 1706, I, pp. 273 s.; II, pp. 106, 373; S. Dolci, Fasti litterario-ragusini sive virorum litteratorum, Venezia 1767, pp. 14 s.; G. Tiraboschi, St. d. lett. ital., Modena 1772-81, VII, p. 1339; T. Chersa, Degliillustri toscani stati in diversi tempi a Ragusa, Padova 1828, pp. 16 s. (recens. al Chersa, nel Giornale arcadico, XL, [1828], p. 360); V. Vivaldi, Studii letterarii, Napoli 1891, pp. 225-28; A. Belloni, Gli epigoni della Gerusalemme liberata, Padova 1893, pp. 81 s.; Id., Il poema epico, Milano s.d., p. 260; A. Solerti, Vita di T. Tasso, Torino 1895, p. 372; recens. all'ed. Solerti della Gerusalemme liberata, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXVIII (1896), p. 234; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1898-99, pp. 187 s.; F. Foffano, Il poema cavalleresco, Milano 1904, p. 197.