BORROMEO, Camillo
Figlio di Ludovico e di Bona Longhignana, nacque agli inizi del sec. XVI.
"Educato alle armi e ai buoni studi", militò ben presto nelle file dell'esercito imperiale, guadagnandosi la fama di ottimo soldato. Antonio de Leyva, in un privilegio del 19 ott. 1519 in favore della famiglia Borromeo, scriveva infatti che il B. aveva combattuto tanto valorosamente nella battaglia di Landriano, presso Pavia, da essere stato il maggior fautore della vittoria dell'esercito imperiale. D'altra parte sia lui sia i fratelli Carlo e Vitaliano, signori feudali di Arona e di altre terre sul Lago Maggiore, avevano dato un appoggio determinante alle truppe imperiali nella lotta per il ducato di Milano, fornendo aiuti in uomini e vettovaglie e mantenendo le loro terre fedeli alla parte imperiale. L'imperatore, da parte sua, fu prodigo di ricompense a così fedeli servitori, ai quali, con una "confirmatio inpheudationum et privilegiorum" del 1º nov. 1536, vennero riconfermate tutte le terre feudali comprese fra la Val Vigezzo e le diocesi di Novara e di Vercelli, che già i precedenti duchi di Milano avevano loro concesso. Al B. ed ai suoi discendenti, poi, l'imperatore, per premiarlo dei servigi prestati, il 18 dic. 1530, donò una rendita annua di 400 ducati, ai quali dieci anni dopo ne vennero aggiunti altri 800, tratti dalle entrate dello Stato. Queste donazioni, di cui parla il Canetta, sembrano in relazione con la carica di tesoriere imperiale, assunta in quegli anni dal B. e per la quale egli riceveva nel 1533 altri 400 ducati. Dopo la morte del fratello Carlo, avvenuta nel 1537, il B. aspirava a sostituirlo nella carica di consigliere segreto, ma il cardinale M. Caracciolo non lo giudicò idoneo e lo propose invece per un posto di senatore soprannumerario, carica che non dava diritto di voto in Senato.
D'altra parte il B. già dal 1536 svolgeva egregiamente l'incarico di governatore della città e del contado di Como e di Lecco, con il compito di sovrintendere alle fortificazioni. Da un carteggio del 1536 con Antonio de Leyva risulta che egli non si limitava alle funzioni del governo locale, ma approfittava della posizione strategica del territorio comasco, ai confini con i Grigioni, per esercitare una intensa attività di spionaggio sui movimenti che le truppe francesi stavano compiendo ai confini dello Stato.
In questi stessi anni ebbe duri scontri con la comunità di Como che si rifiutava di pagargli il salario di commissario. Egli non esitò allora a presidiare militarmente le case dei maggiorenti, a esiliarne altri, ad alloggiare gli uomini del presidio nelle abitazioni private, nonostante che per l'alloggiamento fosse già stata stanziata una somma mensile.
Nel 1535 il B. era entrato a far parte del Consiglio dei sessanta decurioni, l'antico Consiglio generale del vecchio Comune, divenuto sotto il governo spagnolo un corpo di ottimati eletti a vita, al quale avevano accesso di diritto le nobili famiglie milanesi. Morto nel 1536 il fratello Vitaliano, che era colonnello di duemila fanti, gli venne concessa dall'imperatore una "patente di coronellia" con l'incarico di arruolare lo stesso numero di soldati nelle terre dello Stato di Milano. Per queste disposizioni il B. provocò un conflitto del Consiglio dello Stato di Milano con Carlo V. Il cancelliere Taverna infatti si affrettò a protestare con il principe d'Ascoli, luogotenente generale di sua maestà, per un arruolamento mai praticato nelle terre del ducato e vietò al B. di procedere. Una vibrante protesta rivolse anche alla cancelleria di sua maestà, dalla quale "possono procedere delle altre expeditioni di molto preiuditio alli subditi et cose della Camera di questo Stato".
Per gli ultimi anni della vita del B. le notizie si fanno più scarse; nel 1542 fu nominato governatore e castellano della città di Pavia, carica che esercitò fino alla morte. Nel 1546, assieme al senatore Gerolamo Perbono, propose al governo spagnolo di togliere ai frati della certosa di Pavia il reddito lasciato loro da Gian Galeazzo Visconti, e mal amministrato, per finanziare lo Studio.
Morì nel 1549 e venne sepolto nella chiesa di S. Pietro in Gessate a Milano.
Nel maggio del 1529 aveva sposato la contessa Corona Cavazzo della Somaglia, dalla quale ebbe un figlio maschio, Giovanni Battista, e due femmine, Barbara e Giustina.
Fonti eBibl.: Archivo General de Simancas, Estado, leg. 1182, f. 64; leg. 1183, ff. 78, 96; leg. 1184, ff. 105, 152; leg. 1247, f. 27; Arch. di Stato di Milano, Cancelleria Spagnola,Guerra, B. 6 (9 luglio 1536); Gran Cancelliere, B. 4 (19, 20, 21 luglio 1536); Autografi, 204, fasc. 52 (15, 17 luglio 1536); P. Canetta, Albero genealogico storico-biografico della nobile famiglia Borromeo, copia del ms. originale, proprietà della famiglia Borromeo, pp. 56 ss.; R. Rovelli, Storia di Como, Como 1803, III, 2, pp. 4 ss.; M. Formentini, La dominazione spagnola in Lombardia, Milano 1881, pp. 371, 372; F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, II, Milano 1881, tav. VI; C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, I, Milano 1883, p. 779; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese... di Milano, I, Milano 1889, p. 242; F. Chabod, Per la storia religiosa dello Stato di Milano nell'impero di Carlo V, Roma 1962, pp. 82, 85.