SAVELLI, Camilla Virginia
– Nacque il 29 maggio 1602 nel castello di Palombara Sabina, figlia unica del duca Giovanni, maresciallo di S. Romana Chiesa e custode del conclave, e di Livia Orsini.
Educata secondo l’uso e i valori religiosi dell’aristocrazia romana del tempo, il 27 agosto 1621 sposò il duca di Latera Pietro Francesco Farnese. Il matrimonio, voluto dal padre e agevolato dal cardinale Odoardo Farnese, doveva unire i Savelli, famiglia illustre ma avviata a un lento declino sociale ed economico (in quegli anni vendettero parte dei feudi, poi avrebbero perso il maresciallato e, nel 1652, l’impopolare privilegio della giurisdizione criminale sui reati comuni), al ramo collaterale, indebitato e con modeste rendite, dei potenti Farnese. Il duca Pietro ricevette una cospicua dote (cui concorse anche la principessa Flaminia Colonna, vedova di Giulio Cesare Gonzaga) e Camilla Virginia fu obbligata, il 16 ottobre 1621, a firmare un giuramento di rinuncia all’eredità paterna che Giovanni Savelli voleva riservare ai propri fratelli Paolo e Federico. L’unione riuscì ma, priva di prole, non arrestò la decadenza dei Savelli e non risolse i problemi dei Farnese di Latera, che si estinsero. Il 16 febbraio 1629, un anno dopo la morte del padre, Camilla Virginia ottenne da Urbano VIII il proscioglimento dal giuramento estortole e impugnò la rinuncia. La causa si concluse nel 1630 con una mediazione del cardinale Antonio Barberini che le consentì di recuperare una parte dei beni, comprese armi custodite nel castello di Palombara. La madre, invece, quando morì nel 1634 assicurò alla figlia tutta la sua eredità, escludendo i parenti del marito.
La campestre solitudine del piccolo Ducato farnesiano (limitato a Latera e Farnese, nell’Alto Lazio), la mancanza di figli e gli esempi della cognata suor Francesca Farnese, fondatrice di un ramo riformato delle clarisse, e della cugina materna suor Giacinta Marescotti, futura santa (come quello, più tardi, di suor Maria Francesca di Savoia), accrebbero la religiosità di Camilla Virginia, alimentata anche dal crescente peso delle vocazioni femminili nella Chiesa cattolica e dal fatto che tutte le famiglie del suo ceto mantenevano conventi e monasteri per destinarvi la discendenza esclusa dal matrimonio e accrescere il prestigio dei casati con membri in fama di santità. Nel 1631, quando Francesca Farnese fondò il monastero di Albano, Camilla Virginia (insieme con la madre e altri esponenti della famiglia) la accompagnò nel viaggio sostando a Viterbo, presso Marescotti, e a Roma, dove furono ricevute da Urbano VIII. In seguito accompagnò Francesca Farnese anche a Palestrina e ancora a Roma, per la fondazione del monastero della Concezione ai Monti, e fu presente alla sua morte il 17 ottobre 1651. A Latera, tra il 1628 e il 1634, la duchessa aveva fondato la Confraternita dei Sacconi, dedita all’assistenza di malati e anziani, di cui fu membro anche il duca, e un conservatorio delle mendicanti; nel 1650 poi organizzò il pellegrinaggio giubilare dei lateresi, ricevuti da Innocenzo X.
Secondo la tradizione, un’esperienza mistica avvenuta pregando davanti al crocifisso della cappella del palazzo di Latera, ora custodito nella parrocchiale, le ispirò la convinzione di dover fondare a Latera una nuova congregazione religiosa femminile. A tale scopo riunì alcune ragazze disposte a consacrarsi e chiese a suor Giacinta suggerimenti per la regola da adottare. Il marito, già impegnato a sostenere i monasteri fondati dalla sorella, uno dei quali a Farnese, e timoroso per il futuro del Ducato e di tali fondazioni senza un erede, non volle far costruire un altro convento nel suo territorio. Ma quando Marescotti suggerì alla moglie di realizzare il suo proposito a Roma, sulle pendici del Gianicolo, condivise l’idea. La coppia soggiornò a lungo a Roma, stabilendosi nella Farnesina e nella villa Farnese del Gianicolo, vicino al luogo scelto per la fondazione, dove Camilla Virginia nel 1641 acquistò una fattoria che, con successivi ampliamenti, divenne il monastero delle oblate agostiniane di S. Maria dei Sette Dolori di Latera, progettato da Francesco Borromini e così chiamato per legarsi anche nel nome al Ducato farnesiano. La costruzione del monastero iniziò nella primavera del 1643.
Borromini, nel suo stile classico, ideò un ampio complesso dalla monumentale facciata in laterizio parallela all’asse della chiesa con navata unica. Impegnato da commissioni più importanti, ne delegò il compimento ad alcuni periti, tra i quali l’architetto Antonio Del Grande e mastro Bartolomeo Cheri, e dopo il 1646 abbandonò il cantiere. Ripetute mancanze di fondi e contrasti tra i capimastri provocarono ritardi e la facciata, anche per problemi statici dovuti a cattiva esecuzione, restò incompleta. Il monastero fu così terminato dall’architetto Francesco Contini soltanto all’inizio del 1667, anche grazie a parte dei proventi dalla vendita, nel 1658 a opera del duca Pietro, del feudo di Farnese ai Chigi.
Il 30 settembre 1667 Camilla Virginia firmò l’atto di dotazione del monastero, che già ospitava una comunità di 63 oblate. Avrebbe voluto affidare ai chierici regolari della Madre di Dio la cura spirituale della congregazione ma il padre generale Francesco Guinigi, non consentendo le regole del suo Ordine tale attività, le inviò solo dei confessori, tra i quali Ludovico Marracci, noto traduttore del Corano e biografo di Innocenzo XI. Ella, del resto, non ebbe mai un unico padre spirituale ricorrendo spesso a confessori ordinari e, oltre ai citati, al gesuita Nicola Zucchi. Il loro consiglio, l’aspirazione, che iniziava a diffondersi, a poter vivere la vita religiosa femminile anche al di fuori della clausura più stretta, e la volontà di Savelli, che aveva tratto da Francesca Farnese e Giacinta Marescotti una spiritualità di tipo francescano, incentrata sulla Passione, ma desiderava dar vita a un’esperienza religiosa diversa dalla loro, spiegano la scelta di adottare la regola delle oblate agostiniane, più morbida e tale da consentire l’entrata nella congregazione anche alle giovani non in grado di sopportare pesanti penitenze o, specialmente se nobili decadute, prive della tradizionale dote. Queste costituzioni (unico suo scritto rimasto, insieme con il testamento – che destina al monastero gran parte dei suoi beni – e poche lettere) furono redatte con la supervisione di Guinigi, approvate da Alessandro VII nel 1663 e, dopo ulteriori mitigazioni, da Clemente X il 23 marzo 1671. La fondatrice avrebbe voluto che le oblate si dedicassero alla carità e pensò anche alla costruzione di un ospedale, ma la morte prematura di tante tra le prime religiose e il prevalere di quelle di estrazione nobile la orientarono verso l’educandato, che si mantenne fino a tempi recenti.
Pietro Francesco Farnese morì il 13 ottobre 1662. Camilla Virginia lo fece seppellire nella chiesa del monastero, nella tomba destinata anche a lei, e, vestendo semplici abiti vedovili, si trasferì al piano terra dell’edificio dove, in compagnia delle sue oblate e assistendo i poveri di Trastevere, restò fino alla morte, giunta il 15 novembre 1668, poco dopo quella del cognato e ultimo duca di Latera cardinale Girolamo Farnese.
Il monastero dei Sette Dolori conserva varie memorie e un suo ritratto, eseguito da Carlo Maratta. È stato avviato il processo di beatificazione.
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