CAMBIO (Cambi)
Famiglia di orafi e scultori attivi nel sec. XV, dei quali spesso non conosciamo i rapporti di parentela e che comunque hanno in comune l'origine cremonese e il soprannome "Bombarda", che aumenta l'incertezza e la confusione delle attribuzioni quando nei documenti i vari artisti appaiono solamente col soprannome o quando lo usano come firma. Per esempio una Pace d'argento, nel tesoro del duomo di Reggio Emilia (illustrazione in A. Fulloni, Reggio Emilia, Bergamo 1934, p. 62), donata alla cattedrale nel 1609, è attribuita a Giovanni Battista Cambio (G. Piccinini, Guida di Reggio nell'Emilia, Reggio nell'Emilia 1921, pp. 38 ss., docc.; 2 ediz., ibid. 1931, p. 24, per l'attribuzione). Ma se la tradizione che attribuisce la Pace d'argento a un membro della famiglia C. è degna in qualche modo di credito, l'opera può ben essere attribuita ad Altobello o a Giacomo o a Galeazzo Cambio.
Altobello è finora noto solo per un Reliquario a forma di braccio - con una reliquia di s. Biagio - montato su un piedistallo nella chiesa di S. Bartolomeo a Busseto (Parma). Il Reliquario viene menzionato per la prima volta dal Vitali, che pubblica (p. 122) il documento dal quale risulta che la Compagnia della SS. Concezione di Busseto assegnò ad Altobello l'argento per tale opera il 4 genn. 1540 (in Inventario degli oggetti d'arte..., Prov. di Parma, Roma 1934, p. 188, la data è erronea). Un Altobello Cambio mercante è menzionato a Cremona in un censimento del 1576 (Archivio di Stato di Cremona, Arch. stor. comunale, inv. 16, cassetta 18, p. 552).
Giacomo e Galeazzo, fratelli, il 26 giugno 1522 ebbero dal Consorzio della Misericordia della basilica di S. Maria Maggiore in Bergamo, la commissione delle statue di S. Giovanni Evangelista e di S. Marco destinate all'ancona dell'altare maggiore (mai eseguita). Le statue dovevano essere eseguite in rame dorato e bronzo, mentre il volto e le mani dovevano essere in puro argento. Successivamente Giacomo Filippo de Biffis, orefice, fu incaricato di controllare il lavoro in corso. Il 10 maggio 1525 una commissione diretta da Lorenzo Lotto visionò la statua di S.Giovanni Evangelista e la ricusò. Bartolomeo Buono di Gandino, veneziano, subentrò allora ai due fratelli ed eseguì un modello per S. Marco. A questo punto tutto il lavoro per l'ancona venne sospeso e successivamente abbandonato. Nel 1542 una crisi finanziaria costrinse il Consorzio della Misericordia di S. Maria Maggiore a chiedere a Galeazzo se fosse disposto a riscattare il valore del metallo prezioso nella sua statua, ma egli rifiutò. La statua venne distrutta nel 1541 per realizzare il valore del metallo (v., per la sua storia, Pinetti, 1928). Poiché la richiesta era stata rivolta al solo Galeazzo, se ne potrebbe dedurre che a questa data, 1542, Giacomo fosse già morto.
Un "Iacobus de Cambiis, f. q. Gabrielis" è iscritto nel 1502 nella Matricola mercatorum Universitatis Cremonae, f. XLV (Cremona, Arch. della Camera di commercio); inoltre, dall'estimo dei terreni del 1535 (Arch. di Stato di Cremona, Arch. stor. comunale, inv. n. 16, cassetta n. 148, fasc. 9, c. 39v), risulta che un Iacobo de Cambi possiede 103 pertiche in territorio di Soresina.
Malaguzzi Valeri (1917) riferisce che Galeazzo avrebbe eseguito verso il 1525 "vasi argentei, anelli, rilegature di pietre preziose" per Francesco II Sforza, ma senza documentazione. Una errata lettura (Lancetti, 1822, pp. 75 s.; Grasselli, 1827, p. 73) di un passo della biografia di Bernardino Campi del Lamo (p. 36: "ritrasseancora nel medesimo tempo Galeazzo Cambi, detto il Bombarda Cremonese, uomo ai suoi tempi tenuto in grandissima stima, e considerazione, e molto amato dal duca Francesco Sforza Secondo...") ha portato a considerare Galeazzo anche pittore e addirittura ad attribuirgli un dipinto (Thieme-Becker), che è invece da attribuire a Galeazzo Campi (E. Schweizer, La scuola pittorica cremonese..., in L'arte, III [1900], pp. 46-50).Aquesta confusione ha contribuito forse anche il fatto che, secondo il Baldinucci, Galeazzo era amico di Bernardino Campi.
Andrea (o Giovanni Battista), detto il Bombarda: medaglista attivo a Reggio Emilia e a Ferrara, del quale è controverso persino il nome: la firma su ben diciassette delle sue medaglie è "BOM" o "BOMB", e anche nei numerosi documenti, tutti pubblicati dal Malaguzzi Valeri (1894), il nome proprio non compare. Il Baldinucci lo chiama Andrea, ma il Malaguzzi Valeri (1917, p. 217) scrive: "Questo artista è il medaglista dell'Armand erroneamente chiamato Andrea" e lo chiama Giov. Battista. Questo Bombarda, "D. Cambium cambiatorem", notaio e membro della Zecca di Reggio Emilia (1540-48), fu "conductor" della Zecca nel 1550. "Cremonese molto excellente", presentò "un retratto a Sua Excellentia quando era qua in Reggio", come è detto nel 1557 (Malaguzzi Valeri, 1894), quando egli subentrò a Pastorino da Siena nella Zecca di Reggio Emilia, lasciando quindi intendere che abbia compiuto un soggiorno a Reggio in due diverse epoche (una medaglia di Ercole II d'Este, nello stile del Bombarda, non è stata rintracciata). Ma è più probabile che il ritratto citato nel documento fosse in cera: Pastorino da Siena era famoso per i suoi ritratti in cera, e necessariamente chi gli subentrò doveva essere altrettanto esperto in questa arte. Intorno al 1559 il Bombarda passò alla corte di Ferrara: abbiamo infatti una medaglia, firmata, di Lucrezia de' Medici, prima moglie di Alfonso II d'Este, duca di Ferrara, morta nel 1561, e una non firmata, che fa paio con essa, del duca stesso. Due altre medaglie furono eseguite durante il periodo ferrarese del Bombarda: i ritratti di Giambattista Nicolucci, detto Pigna e di sua moglie Violante Brasavola. Il Pigna era segretario del duca Alfonso II d'Este, e una versione della sua medaglia reca sul verso un emblema di Pan e Pitys, che Achille Bocchi aveva disegnato per lui. Il Bombarda ritrasse la propria moglie Leonora in una medaglia non datata. Altre medaglie del periodo emiliano ritraggono il bolognese Giulio Cesare Aranzio (1557), Alessandro dall'Armi bolognese e il reggino Giulio Vedriani (morto verso il 1572). Gli esemplari conservati delle medaglie del Bombarda sono prevalentemente in piombo: non ci è giunto nessuno dei modelli in cera dell'artista. Nelle sue medaglie il Bombarda segue due diversi stili di ritratto. Uno è immediato e relativamente naturalistico, probabilmente influenzato da Pastorino da Siena; l'altro è di grande raffinatezza, manieristicamente elaborato, evidentemente influenzato da Alfonso Ruspagiari e da Giannantonio Signoretti i quali, con il Bombarda, formarono a Reggio una caratteristica scuola di medaglisti. Delle medaglie firmate, quindici ritraggono persone note, e due persone non identificate (Armand, I, p. 215, 7, III, p. 97, L). Delle dodici che gli si attribuiscono sei ritraggono persone identificabili. Solo tre sono datate: due del 1557 e una del 1570. Le persone raffigurate nelle medaglie del Bombarda, o a lui attribuite, oltre a quelle già menzionate, sono: Fernando Francesco II d'Avalos, marchese di Pescara; Isabella Mariana Carcass[...], (due versioni); IppolitoChizzola, canonico e predicatore, morto a Padova circa il 1560, Gabriele Fiamma, vescovo di Chioggia; Girolamo Miseroni, incisore in cristallo di rocca, milanese; Anna Maurella Oldofredi; Ludovica Poggia; Hans Resle, di Norimberga, 1557, Ludovico Rinaldo; Ludovica Felicina Rossi; Diana Russo;un figlio di Camilla Ruggieri. Altre tre medaglie ritraggono donne non identificate: (Armand, III, pp. 97, K; 98, M; 218, F); altre tre, non registrate dall'Armand, possono essere attribuite al Bombarda e ritraggono anch'esse tre donne non identificate (Habich, 1913-14, pp. 100 s.; Bernhardt, pp. 87 s.; De Coo, n. 2442).
Giovanni Battista, figlio di Giacomo, come risulta da una procura del 22 apr. 1574 del pittore Antonio Campi (Sacchi, p. 240), fu attivo come scultore in marmo e stuccatore, a Cremona e a Venezia, tra il 1550 e il 1577 circa. Morì nel 1582 (Cavitelli, f. 418).
Il Grasselli (1818, p. 18) gli attribuì un monumento al vescovo di Cremona Francesco Sfondrato (morto nel 1550), presso l'altare del Sacramento nel duomo di Cremona, su disegno dell'architetto Francesco Dattaro detto il Pizzafoco; ma il documento citato da L. Lucchini (I, pp. 129 s.) attesta che tale monumento venne commissionato nel 1558 da Sebastiano Nani sulla base di un modello di Bartolomeo Vianino. Il Bettoni (pp. 265-268) propone di attribuire a lui, per ragioni stilistiche, anche il monumento Picenardi in S. Domenico a Cremona: l'attribuzione non è confermata né dalle più antiche guide né dai primi biografi.
Da documenti e dalla antica letteratura locale si ricava che Giovan Battista lavorò in stucco a Cremona sia nella cattedrale sia nella chiesa di S. Sigismondo; il figlio Sinidoro e un nipote, Brunorio, sono citati, per la prima volta dal Baldinucci, come suoi assistenti, mentre non ne fa menzione il Lamo né compaiono negli unici documenti pubblicati relativi all'attività di Giovanni Battista a Cremona (Sacchi). Secondo il Venturi, l'artista e i suoi assistenti avrebbero eseguito, verso il 1555, la decorazione a stucco di due cappelle della cattedrale, quella del S. Sacramento e quella della Beata Vergine, detta del Popolo. Nel 1569 Giovanni Battista, uno scultore di nome Tegnizza, e i pittori Giulio e Bernardino Campi sottoscrissero un contratto per la decorazione dell'arco sopra l'altare della cappella del S. Sacramento.
Nella chiesa di S. Sigismondo, nei sobborghi di Cremona, Giovanni Battista decorò due cappelle, in data non registrata. Il Lamo menziona solo una cappella, detta delle SS. Cecilia e Caterina, ma gli altri scrittori (Panni, 1762, Zaist, 1774, Aglio, 1794, Corsi, 1819; Grasselli, 1827) descrivono due cappelle, quella dei SS. Giacomo e Filippo e quella di S. Girolamo, decorate a stucco da Giovanni Battista e dipinte da Bernardino Campi: solo il Grasselli (1827) descrive le due cappelle come opera sua e dei suoi assistenti Sinidoro e Brunorio. Gli stucchi di queste cappelle sono stati recentemente restaurati (Arte lombarda, X [1965], pp. 160 s.).
A Venezia, Giovanni Battista eseguì la splendida decorazione a stucco per la sala dell'Antipregadi, ora chiamata sala delle Quattro Porte, nel palazzo ducale, probabilmente su disegni propri (Wolters). Dai documenti (in Zorzi, 1953) risulta che l'artista presentò i modelli per questa decorazione l'8 apr. 1576 e che ricevette l'ultimo pagamento, per il suo lavoro sul soffitto, il 30 apr. 1577 (ill. in Encicl. univ. dell'arte, XIII, tav. 103).
Belisario fu fonditore in bronzo, orefice, medaglista e incisore di conî. La sua attività è documentata a Torino e a Mantova. Un salvacondotto rilasciatogli dal duca di Mantova Vincenzo I e datato 17 ott. 1590, ne attesta l'origine cremonese (Bertolorti, 1890, p. 53). L'opera di Belisario a Cremona non è stata però identificata, mentre da un documento del 1589 si ricava che egli era già alla corte di Torino il 20 giugno 1587, che lavorò alla Zecca (pagamenti del 1587, '88, '89), oltre ad essere probabilmente attivo anche come orefice (Schede Vesme).
A Mantova Belisario era sovrintendente ai lavori in vari campi di arte applicata (ceramica, oreficeria, lavori in metallo e incisione di conî), mentre egli stesso operava come incisore di conî, orafo e fonditore. In una sua lettera al duca, in data 12 maggio 1592, scrive di esperimenti, falliti, nella fabbricazione di ceramica e porcellana (Bertolotti, 1890, pp. 27 s.). Nell'agosto del 1593 I. Ligozzi disegnò lampade che Belisario doveva poi fondere (ibid., p. 60). Nello stesso anno egli sollecitò il pagamento per lavori di finitura ad un "ritratto di bronzo dell'Ill.ma Sig.ra Marchesa di Grana per conto di Hieronymo Coyro" (Portioli). Che Belisario fosse abile scultore e fonditore, e attestato da una lettera del Giambologna, in data 11 luglio 1595, dalla quale risulta anche che fungeva da intermediario tra lo scultore fiorentino, che era stato pure suo ospite, e la corte dei Gonzaga (Bertolotti, 1885, p. 174). Nell'agosto 1592 Belisario eseguì due medaglie su conî di tal "Gio. Paolo orefice" (Bertolotti, 1888, p. 238) e il 22 ott. dell'anno dopo fornì alla corte "due medaglie grandi d'oro dell'effige di S. A. ornate con gioie ed altri lavori"; due ricevute di pagamento, firmate, attestano la fornitura al duca di medaglie d'oro con il suo ritratto (Magnaguti, 1965, pp. 47 s.). Gli unici conî attribuiti a Belisario sono il ducatone, lo scudo e il tallero di Mantova del 1595 Belisario è quindi documentato a Mantova dal 1590 fino alla morte avvenuta nel 1599, come si ricava da una lettera del segretario Annibale Chieppio al duca Vincenzo I in data 8 ott. 1599 (Magnaguti, 1914, p. 42). La vedova di Belisario, Angela India, rivolse una supplica alla corte mantovana, per ottenere pagamenti ancora pendenti, nel giugno del 1603 (Bertolotti, 1890, p. 54). Si hanno tracce documentarie di un loro figlio, Vincenzo, presente a Verona nel 1625 e successivamente soldato a Ravenna (ibid., p. 55).
In una lettera (Arch. di Stato di Firenze, Arch. Mediceo, Inv. somm., Roma 1951, p. 19) scritta da Bologna il 21 giugno 1575 dal mercante Ercole Bassi al granduca Francesco I de' Medici, per offrirgli alcune monete antiche e una riproduzione di un "Didio Iuliano d'oro", è detto che questo era "di conio moderno e di mano del Bombarda da Cremona". Se questa lettera si riferisce a Belisario, essa verrebbe a suffragare l'ipotesi del Magnaguti (1914, p. 43) che Belisario e il suo collega incisore di conî, Gauger, contraffacessero monete veneziane e piemontesi e inoltre coniassero talleri tedeschi per proprio conto.
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