CAMBIANO DI RUFFIA, Pietro (Cambiani, Pietro Ruffia), beato
Si ritiene dai più che il C. sia nato verso il 1320, e che appartenesse alla nobile famiglia dei Cambiano, signori di Ruffia; una maggiore incertezza permane sul luogo di nascita, anche se la storiografia più recente sembra ormai orientata verso la località di Ruffia, piccolo centro nei dintorni di Savigliano (Cuneo).
Ardua è anche la definizione degli ascendenti del Cambiano. Mentre sono note e più volte documentate la posizione di preminenza dei Cambiano in Savigliano e la loro ricchezza, nei secc. XIII e XIV, la genealogia della famiglia, in quest'epoca, appare lacunosa. Ammesso, com'è probabile, che il C. sia stato il figlio primogenito di Petrino, figlio di Nicolino, si dovrebbe dedurne che gli fu madre una nobildonna il cui nome non è noto, la figlia cioè di Federico I di Saluzzo e di Margherita figlia di Umberto, delfino del Viennois.
Pare certo che la vocazione religiosa, manifestatasi fin dalla prima giovinezza, inducesse il C. ad entrare assai presto nel convento dei domenicani, in Savigliano. Qui compì gli studi e, attraverso i vari gradi, fu ordinato sacerdote verso il 1345, tenendo conto che le più recenti disposizioni di diritto, canonico prescrivevano il compimento del venticinquesimo anno di età per l'assunzione del presbiterato. Del 9 maggio 1351 è il primo documento dal quale risulta con certezza la posizione del C., che viene qualificato col titolo di inquisitore "haereticae pravitatis". Immediatamente soggetto al pontefice, da cui ricevette la sua missione, ebbe giurisdizione in tutta la Lombardia superiore (Piemonte) e la Liguria. Il C. tenne l'ufficio sino alla morte, per circa 15 anni, risiedendo nel convento di S. Domenico a Torino, dove aveva casa e carceri speciali "sul cantone tra mezzodì e ponente".
Le obiettive difficoltà del compito affidatogli (non va dimenticato infatti che le valli del Piemonte costituivano il centro della fede valdese); l'accertamento severo delle qualità personali e la rigorosa preparazione richiesta dalla regola a chi pronunciasse i voti; infine, soprattutto, il fatto che fosse stato eletto al difficile incarico, tutto concorre ad indicare una personalità ed una tempra non comuni. Ma non rimangono testimonianze sul modo in cui esercitò il suo ufficio. Dal documento citato, del 1351, si può arguire che vi fu un accordo tra il C. ed i signori di Lucerna, Giacomo e Tomaino Rorengo, ma di che natura fosse non è stato tramandato. Certo è logico presumere che si trattasse di uno di quegli accordi tra autorità religiosa e civile, miranti a colpire l'eresia, di cui abbiamo vari esempi in quell'epoca. Ma le modalità dei provvedimenti potevano variare molto, a seconda dello zelo dell'inquisitore e dell'interesse politico del signore. Ben più significativo, per la figura del C., sarebbe il contenuto di un documento (Prot. cam., 132, 7 s.) del 15 giugno 1354, stipulato in Pinerolo, con cui Giacomo di Savoia, principe di Acaia, dietro sollecitazione dell'inquisitore, impose ai nobili Ballangero e Hueto Rorengo, signori di Lucerna, di far incarcerare molti sospetti di eresia, che abitavano nei loro domini. Data, luogo e gravità del provvedimento farebbero pensare al C. quale suo ispiratore, ma il testo riporta un altro nome, quello di Ruffinus de Gentilibus (qualificato "inquisitor haereticae pravitatis"). Il Rorengo per primo e poi il Gabotto non dubitarono si trattasse invece del Cambiano.
Troviamo poi menzione del C. in un testamento del 10 luglio 1361 (Racc. doc., misc. 60, 92), nel quale Lionella de Gorzano, nobildonna torinese, lo elegge suo esecutore testamentario. Nel gennaio del 1365 il C. si recò nella valle di Pragelato, con il proposito di predicare e frenare il dilagare dell'eresia. A Susa, nel convento dei francescani, il 2 febbraio successivo, ricevuta nel chiostro la visita di uno o più sconosciuti (le versioni sono contrastanti), ne fu ucciso con un'arma da taglio.
Il chiostro fu riconsacrato alcuni mesi dopo, il 31 maggio 1365, da mons. Tommasi, vescovo di Tiatira, come risulta dal verbale pervenutoci. Il corpo del C., sepolto nella chiesa dei frati minori a Susa, vi rimase per circa 150 anni. Il 7 novembre 1516, finalmente accolte le richieste dell'Ordine domenicano di Torino, fu traslato nella chiesa di S. Domenico di questa città. Il martirio ebbe, ai suoi tempi, molta risonanza ed è ricordato in lettere di Gregorio XI e di s. Vincenzo Ferreri; al C. fu tributata venerazione popolare nei luoghi in cui aveva operato. Durante il pontificato di Pio IX, la S. Congregazione ordinaria dei Riti del 29 nov. 1856 riconobbe e, successivamente, il 4 dicembre approvò il culto tributato da tempo immemorabile al C., stabilendo che la festa del beato fosse celebrata il 7 novembre.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sezione I, Protocolli camerali, n. 132, ff 4, 7, 8; Torino, Bibl. reale, Racc. documenti patrii, Sec. XIV, ms., misc. 60, docc. 92, 96; M. A. Rorengo, Memorie histor. dell'introduttione dell'Heresie nelle Valli di Lucerna..., Torino 1649, p. 17; G. F. Meyranesio, Pedemontium sacrum, a cura di A. Bosio, Torino 1863, II, p. 494; A. Teoli, Vita di s. Vincenzo Ferrerio, Venezia 1736, p. 519; C. M. Arnaud, Vitadel beato P. Cambiano de' marchesi di Ruffia, in Atti de' santi, beati e venerabili che nacquero o morirono nel dominio della Real Casa di Savoia, I, Torino 1792, pp. 213-30; G. Massa, Diario de' santi, I, Torino 1815, pp. 190 ss.; C. Novellis, Biografia diillustri saviglianesi, Torino 1840, pp. 16 ss.; L. Cibrario, Storia di Torino, II, Torino 1846, p. 263; Positio super introductione causae, Romae 1846; C. Turletti, Storia di Savigliano, II, Savigliano 1883, pp. 14, 295, 330; III, ibid. 1883-88, pp. 9-63; P. Rivoyre, Ordre donné par Jacques d'Achaïe d'arrêter plusieurs hérétiques du Val Luserne, in Bulletin de la Société d'histoire vaudoise, VII (1890), pp. 38-43; F. Gabotto, Roghi e vendette, Pinerolo 1898, pp. 20-21; Torino, Bibl. naz., A. Manno, Il patriziato subalpino, III (dattiloscritto), f. 187; R. M. Bianchi, Il "SanDomenico" e i domenicani di Torino, Torino 1932, pp. 13-14, 70; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXXXVII, p. 237; Enc. catt., IX. col. 1445; Bibliotheca Sanctorum, III, coll. 705-06.