FORNARI, Callisto (Callisto da Piacenza)
Nacque a Piacenza il 18 apr. 1484. Nulla si sa dell'ambiente familiare in cui crebbe; v'è persino incertezza riguardo all'esatto cognome della famiglia che, secondo alcuni autori, sarebbe Fornari de' Calciati.
Sul personaggio stesso, entrato in data imprecisata nell'Ordine dei canonici regolari lateranensi, si sa, peraltro, pochissimo, nonostante la fama di grande predicatore che avrebbe poi acquisito nell'Italia della prima metà del Cinquecento. Egli dovette iniziare assai presto la sua attività di oratore sacro, se diamo credito a ciò che più tardi, nel 1548, un suo concittadino ed amico, anch'egli celebre predicatore, il vescovo francescano di Bitonto C. Musso, scriverà in una lettera nella quale farà allusione all'attività svolta per circa quarant'anni dal F. come predicatore.
Comunque sia, le prime notizie che abbiamo su di lui risalgono alla fine del secondo decennio del sec. XVI, epoca in cui lo troviamo a Napoli, probabilmente chiamatovi per predicare la quaresima dell'anno 1518. Nella città partenopea collaborò con il laico Ettore Vernazza - già fondatore a Genova, nel 1497, della prima Compagnia del Divino Amore - nell'erigere la Confraternita dei Bianchi, i cui membri si impegnavano ad assistere ed accompagnare all'estremo supplizio i condannati a morte.
Per quanto riguarda il periodo successivo, sappiamo soltanto che nel 1519 risiedeva a Fiesole, nella badia del suo Ordine. In quell'anno, infatti, promosse a Firenze l'erezione di una confraternita dedita all'assistenza degli ammalati considerati incurabili. L'iniziativa incontrò l'approvazione e l'appoggio del cardinale arcivescovo Giulio de' Medici, il quale, oltre a farsi membro della confraternita stessa, le donò la considerevole somma di 200 scudi d'oro. È probabile che durante il soggiorno fiorentino il F. avesse modo di rinsaldare i vincoli che - come avrebbe più tardi precisato - già lo legavano sin dai suoi "teneris annis" al cardinale de' Medici (Bibl. apostolica Vaticana, Vat. lat. 3709, f. 1rv). Divenuto quest'ultimo papa con il nome di Clemente VII il 19 nov. 1523, il F. compose per lui, tra la fine di quell'anno e la fine dell'anno successivo, un trattatello rimasto inedito, dal titolo Tractatus de recto regendo pontificatu.
Il pontefice doveva avere un alto concetto dei talenti oratori del F.: lo si deduce peraltro dalla circostanza che, qualche anno più tardi, con breve del 20 dic. 1529, gli ordinava di recarsi a Genova a predicare la futura quaresima. Ma la stima e la fiducia del papa nei confronti del F. dovevano manifestarsi nel modo più eloquente circa due anni più tardi con un provvedimento unico nel suo genere. Il 4 genn. 1532, infatti, Clemente VII conferiva con apposito breve al F. il titolo di predicatore apostolico del quale l'interessato poteva valersi ovunque senza essere astretto a chiedere la previa licenza delle competenti autorità ecclesiastiche locali. Tale concessione era esplicitamente motivata dai meriti del F., e cioè la sua vita esemplare, il suo zelo religioso, la sua scienza nelle lettere sacre ed il suo talento di predicatore. Contestualmente, il papa lo nominava "inquisitorem generalem… haeresis lutheranae tantum per totam Italiam".
Era quest'ultimo un provvedimento di carattere eccezionale, perché normalmente gli inquisitori papali erano investiti di una competenza per materia, estesa a tutti i delitti contro la fede, e di una competenza per territorio, limitata ad aree geografiche di ridotta estensione. Nel caso specifico, invece, la competenza per materia era circoscritta alla sola eresia luterana, mentre la competenza per territorio abbracciava, almeno in linea di principio, l'intera penisola italiana.
Sebbene l'attività del F. come inquisitore risulti male documentata, è però certo che il breve non rimase lettera morta. Nel 1550 troviamo il F. a Cremona intento a istruire la causa di due benedettini di Mantova imputati di delitti contro la fede e, più tardi, quelle di un gruppo di gentiluomini laici collegate con le prime due. Tra la primavera e l'estate del 1552 lo vediamo opporre resistenza alle pretese delle autorità secolari di Piacenza e di Milano che rivendicavano il diritto di intervenire nelle cause per eresia da lui istruite.
I compiti di inquisitore non sembrano avere impedito al F. di svolgere anche l'attività di predicatore. Risulta, infatti, che durante l'avvento del 1537 tenne un ciclo di sei prediche nel duomo di Mantova; che il 14 sett. 1550 svolse una memorabile omelia in occasione della posa della prima pietra del monastero di S. Agostino fatto costruire a Piacenza dal suo Ordine; che il 26 giugno del 1552, pochi mesi prima della sua scomparsa, pronunciò, sempre a Piacenza, un pubblico sermone nel corso del quale confutò le dottrine di Lutero. Le parole del F. dovettero essere in quell'occasione particolarmente sferzanti perché di lì a due giorni fu trovata affissa in città una pasquinata nella quale il religioso veniva vituperato come "Flagello della setta lutherana / Et agozzino del vicario di Cristo", nonché "in pelle d'agno,… volpon tristo".
Del F. sono giunte sino a noi alcune opere a stampa. L'unico saggio rimastoci della sua oratoria sacra è rappresentato dal testo delle sei prediche tenute a Mantova nel 1537. L'eloquio assume toni savonaroliani - significativa è, peraltro, la scelta di un testo, il libro del profeta Aggeo, particolarmente caro al Savonarola - allorquando si tratta di denunciare la decadenza dei costumi, non solamente del popolo cristiano in generale, ma "singularmente de principi et singularissimamente delli ecclesiastici" (Expositione di Ageo propheta…, f. 40v); dal modello del riformatore fiorentino, però, il F. si stacca con i suoi riferimenti alla realtà religiosa contemporanea, soprattutto in relazione alle dottrine dello "hodierno figliol del Diavolo, perfidissimo Luthero", che non tralascia occasione per attaccare.
Delle altre opere, quelle che paiono avere goduto di maggiore diffusione sono le Ennarationes Evangeliorum e il Trattato del vero christiano, entrambe pubblicate per la prima volta nel 1550. La prima delle due opere conobbe tre edizioni ed è una spiegazione sistematica dei Vangeli del tempo di quaresima. L'autore vi fa mostra della sua vasta cultura scritturale, anche se evita di scendere in disquisizioni esegetiche. Si tratta in sostanza di un manuale ad uso dei predicatori quaresimalisti, arricchito da una descrizione geografica della Terrasanta, con tanto di cartina, e da una cronologia della vita di Cristo: tutti elementi che concorrono a spiegare il successo del lavoro.
Il Trattato del vero christiano sembra invece essere stato destinato ad una più vasta cerchia di lettori: lo suggerisce la modesta estensione (90 paginette), la semplicità di un linguaggio che lascia spazio alle sole citazioni in volgare delle Scritture e l'assenza di riferimenti eruditi. L'impianto stesso è lineare, traccia di un itinerario spirituale che incentrandosi sul distacco dalle cose del mondo e sulla meditazione intorno al mistero della Croce, deve condurre il cristiano all'unione con Cristo e con Dio per mezzo di Cristo. Sebbene il Trattato non entri apertamente nel terreno controversistico, la sua intonazione controriformistica traspare dall'insistenza sulla libertà della quale l'uomo dispone per resistere alla chiamata di Dio: un'esplicita riaffermazione della dottrina cattolica sul libero arbitrio in polemica, ancora una volta, con le dottrine riformate.
Se si eccettua il Trattato della meditazione, dato alle stampe a Venezia nel 1565, le Enarrationes Evangeliorum (2ª ed., 1573; 3ª ed., 1574), nonché il Trattato del vero christiano, che venne ristampato in un numero limitatissimo di copie nel 1838, le opere del F. sembrano essere cadute nell'oblio dopo la morte dell'autore, avvenuta, probabilmente a Piacenza, il 30 dic. 1552.
Opere: Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 3709, ff. 1-92v: Dialogus de recte regendo pontificatu… Clementi Septimo dicatus, s.d. (ma 1523); Expositione di Ageo propheta…, Pavia, G.M. Simonetta, 1541; Enarrationes Evangeliorum a septuagesima usque ad octavam Paschae…, Venetiis, P. Gherardo, 1550 (2ª ed., Lugduni 1573; 3ª ed., Venetiis, G. Giolitto, 1574); Trattato del vero christiano…, Fiorenza, L. Torrentino, 1550 (2ª ed., Roma 1838); Cento soliloqui del Verbo d'Iddio, cioè cinquanta del Verbo increato e cinquanta del Verbo incarnato…, ibid., id., 1550; Dichiaratione del Vangelo di s. Giovan…, I-II, Piacenza, G. Muzio - B. Locheta, 1551-53; Trattato della meditazione della Croce, Venezia, Comin da Trino, 1565. Il Possevino ricorda anche un trattato in italiano "contra Lutherum De libero arbitrio atque necessitate bonorum operum", del quale non sembra però essere rimasta traccia.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Arm. XL, voll. 7, f. 190r; 25, f. 191r; 41, f. 13r; Bibl. apostolica Vaticana, Borg. lat. 300, ff. 138r, 173v; B. Fontana, Documenti vaticani contro l'eresia luterana in Italia, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XV (1892), pp. 127 s.; A. Possevino, Apparatus sacer…, I, Venetiis 1606, p. 287; G.P. Crescenzi, Corona della nobiltà d'Italia…, Bologna 1639, p. 216; C. Rosini, Lyceum Lateranense illustrium scriptorum Sacri Apostolici Ordinis clericorum canonicorum regularium Salvatoris Lateranensis elogia, Caesenae 1640, I, pp. 145-157; C. Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, IX, Piacenza 1761, p. 277; Id., Memorie per la storia letter. di Piacenza, II, ibid. 1789, pp. 50, 58-60; G. Tiraboschi, Storia della lett. italiana, IV, Milano 1833, p. 317; L. Mensi, Diz. biografico piacentino, Piacenza 1899, pp. 101 s.; L. Fiumi, L'Inquisizione romana e lo Stato di Milano. Saggi di ricerche nell'Archivio di Stato, in Arch. stor. lombardo, s. 4, XIII (1910), pp. 343, 352 s., 357, 358 s.; A. Galletti, L'eloquenza (dalle origini al XVI secolo), Milano s.d. (ma 1938), p. 408; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., p. 408; P. Paschini, Le Compagnie del Divino Amore e la beneficenza pubblica nei primi decenni del Cinquecento, in Tre ricerche sulla storia della Chiesa nel Cinquecento, Roma 1945, pp. 53, 56, 60; F. Chabod, Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V, in Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell'epoca di Carlo V, Torino 1971, pp. 354 n. 2, 355 n. 1, 356 n. 1, 357 n. 2, 366 n. 2, 436-438, 441-443; G. Penco, Storia della Chiesa in Italia, I, Milano 1977, p. 611.