CALLINICO
Fu esarca bizantino d'Italia, con sede a Ravenna, dal 597 al 602-603. Paolo Diacono lo chiama Gallicinus, e Agnello, che a quanto pare fraintende le sue fonti, ne fa addirittura due esarchi, rispettivamente di nome Gallinicus e Galicinus. Nulla sappiamo dell'origme e della carriera di Callinico. È poco probabile che egli sia da identificarsi con il patricius Callinico che, come portavoce del Senato, svolge un ruolo diun certo rilievo dopo la morte di Giustiniano I: un uomo che già nel 565 aveva il rango di patricius sarebbe certamente stato troppo vecchio nel 597 per essere inviato come comandante nell'Italia minacciata dai Longobardi. Non vi è però neppure alcun elemento per l'ipotesi che C. fosse figlio o parente di questo patricius Callinico, poiché questo nome era allora tutt'altro che raro.
C. è menzionato per la prima volta nella corrispondenza di papa Gregorio Magno nel giugno 597; sembra in ogni modo che si debba già riferire a C. un passo di una lettera del maggio dello stesso anno, in cui il pontefice scrive di ritenere che l'"excellentissimus filius noster exarchus", allora impegnato sul Po, non lo avrebbe deluso: i rapporti fra Gregorio e il predecessore di C., l'esarca Romano, infatti, erano stati estremamente tesi. Romano morì presumibilmente in Italia nella primavera del 596, e dopo vari mesi venne sostituito da Callinico. L'attività di C. sul Po si riferisce certamente a combattimenti o trattative con i Longobardi. Dopo che si fu dimostrata inefficace l'alleanza stretta dall'imperatore Maurizio con i Franchi - nel 585 Childeberto II era stato sconfitto in modo decisivo dal re longobardo Autari - in tutto l'esarcato i Bizantini si erano posti sulla difensiva. Sotto il predecessore di C., Romano, il re Agilulfo era riuscito persino ad interrompere temporaneamente tutte le vie di comunicazione tra Roma e Ravenna. Le lettere di Gregorio Magno scritte in questi anni offrono un vivo quadro della opprimente situazione delle città dell'Italia settentrionale e centrale. L'imperatore Maurizio ed il suo esarca Romano, nonostante le continue pressioni di papa Gregorio I, non avevano tuttavia voluto acconsentire ad una tregua coi Longobardi, e avevano criticato severamente il pontefice quando, di propria iniziativa, grazie alla mediazione della cattolica regina longobarda Teodolinda, aveva finalmente concluso un accordo col re Agilulfo e col duca di Spoleto Ariulfo. Durante l'esarcato di C., tuttavia, Bizantini e Longobardi nel tardo autunno del 598 (ottobre-novembre) conclusero una tregua che, inizialmente, fu limitata ad un anno, ma poi venne prprogata fino al marzo del 601. Non si sa nulla sulle condizioni di tale accordo, né di eventuali pagamenti di tributi da parte dei Bizantini. Mentre re Agilulfo approfittava, a quanto pare, della tregua per eliminare duchi longobardi ribelli, l'esarca si rivolse contro Slavi ed Avari. Nel maggio del 599 Papa Gregorio Magno si felicitava con lui per la sua vittoria sugli Slavi. Probabilmente C. nel 598-599 aveva preso parte alla campagna del generale bizantino Prisco contro gli Avari, nel corso della quale si era combattuto anche in Dalmazia. Alla fine del suo esarcato (circa 601-602) C. riuscì a catturare presso Parma e a far tradurre a Ravenna la figlia di re Agilulfo con il marito Godescalco. È incerto se, in tal modo, egli abbia rotto prima della sua scadenza la tregua coi Longobardi, o invece, se allora le ostilità fra Bizantini e Longobardi fossero già state riprese. Comunque in questo periodo re Agilulfo strinse alleanza con il khan degli Avari, cui inviò persino alcuni artigiani per aiutarlo a costruire navi destinate ad essere impiegate contro i Bizantini lungo la costa della Tracia. Poco dopo anche Padova, dopo prolungata resistenza, venne conquistata dai Longobardi; le truppe imperiali ottennero di poter ripiegare indisturbate su Ravenna. Nell'agosto del 602 Gregorio Magno, per la prima volta dopo un intervallo di circa quattro anni, si lamentava nuovamente di ciò che era costretto a soffrire "in mezzo alle spade dei Longobardi". In politica interna C. seguì una linea cauta. Papa Gregorio protestò ripetutamente contro C. perché egli non procedeva con sufficiente energia contro i vescovi scismatici d'Istria, che non si erano associati alla condanna dei Tre Capitoli decretata nel 553 dal secondo concilio di Costantinopoli, non considerando che con una politica religiosa più coerente ed energica C. avrebbe spinto gli scismatici nelle braccia dei Longobardi, poiché anche la regina, cattolica, era una ardente sostenitrice delle dottrine dei Tre Capitoli. Infatti sotto il successore di C., Smaragdo, che nella sua politica religiosa seguì la linea papale, avvenne proprio ciò che C. e l'imperatore Maurizio avevano cercato di impedire: nel 606 ebbe luogo una duplice elezione al patriarcato di Aquileia. Mentre il candidato ortodosso era costretto a ritirarsi a Grado, lo scismatico Giovanni venne intronizzato in Aquileia col consenso di re Agilulfo e del duca del Friuli Gisulfo. C. perseguì una politica accomodante anche nella disputa per la cattedra episcopale di Salona in Dalmazia, ove nel 594 era stato consacrato vescovo un certo Massimo, in seguito a pressioni imperiali e nonostante le proteste del papa, che lo accusava di simonia e di lussuria. Il predecessore di C., l'esarca Romano, era rimasto sordo alle proteste del papa e nonostante la scomunica pontificia aveva protetto il vescovo di Salona. C. invece convinse il papa a rinunciare alla richiesta di far venire Massimo in penitenza a Roma, e ad affidare la questione al giudizio dei vescovi di Ravenna e Milano. Contemporaneamente riuscì a convincere il vescovo di Salona a comparire di fronte a questo tribunale in Ravenna. Nel luglio 599 a Ravenna Massimo si giustificò mediante giuramento dell'accusa di simonia, e alla presenza del vescovo di Ravenna e dell'esarca fece pubblica penitenza per aver disobbedito al papa. Già il mese successivo Gregorio gli accordava il suo perdono, e con ciò veniva eliminato un focolaio di crisi che per cinque anni aveva agitato la Dalmazia. Dopo la caduta dell'imperatore Maurizio ebbe con ogni probabilità termine anche l'esarcato di C. in Italia, anche se Paolo Diacono colloca la sua sostituzione da parte dell'esarca Smaragdo in un periodo anteriore al mutamento di sovrano sul trono di Costantinopoli. La cronologia di Paolo Diacono è contraddetta da una lettera di Gregorio Magno a Smaragdo del giugno 603, nella quale il papa praticamente fornisce all'esarca una relazione sulla situazione in Italia. È ben difficile che il papa abbia scritto una lettera del genere a un esarca che fosse già da oltre mezzo anno in carica. Nulla sappiamo della vita di C. dopo il suo richiamo dall'Italia.
Fonti e Bibl.: Pauli Diaconi Historia Langobardorum, IV, 12-25, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, Hannoverae 1878, a cura di L. Bethmann e G. Waitz, pp. 121-125; Agnelli Liber pontificalis ecclesiae Ravennatis, ibid., a cura di O. Holder-Egger, p. 344; Gregorii I papae Registrum Epistolarum, ibid., Epistolae, I-II, Berolini 1887-1899, a cura di P. Ewald e L. M.Hartmann, VII, nn. 19, 26; VIII, n. 36; IX, nn. 11, 154, 155, 176; XIII, n. 36; Ch. Diehl, Etudes sur l'administration byzantine dans l'exarchat de Ravenne (568-751), Paris 1888, pp. 47, 50, 69, 170 s., 173, 185, 324-327; L. M.Hartmann, Untersuchungen zur Geschichte der byzantinischen Verwaltung in Italien (540-750), Leipzig 1889, pp. 11-13, 33, 112 s.; E. Caspar, Geschichte des Papsttums…, II, Tübingen 1933, pp. 426 s., 432-437, 484-489; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna s.d. (ma 1941), pp. 256-261; G. Labuda, Chronologie des guerres de Byzance contre les Avars et les Slaves…, in Byzantinoslavica, XI (1950), pp. 170-172; O. Bertolini, I papi e le relazioni politiche di Roma con i ducati longobardi di Spoleto e di Benevento, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VI(1952), pp. 1-46, passim;Id., Riflessi politici delle controversie religiose con Bisanzio nelle vicende del sec. VII in Italia, in Settimane di studi sull'Alto Medio Evo, V, Spoleto 1958, pp. 735 ss.; D. Mandić, Dalmatia in the Exarchate of Ravenna from the Middle of the VI until the Middle of the VIII Century, in Byzantion, XXXIV(1964), pp. 358-370; P. Goubert, Byzance avant l'Islam, II, 2, Paris 1965, pp. 104-114; O. Bertolini, I Germani…, Milano 1965, pp. 234 s.