califfato (ar. khilafa «successione, vicariato»)
(ar. khilafa «successione, vicariato») Istituzione che, in base alla discendenza più o meno prossima dalla famiglia di Maometto e con regola dinastica, ha garantito la guida politica della comunità musulmana sunnita dopo la morte di Maometto e fino al 1258. Dopo la serie dei quattro califfi («successori») del profeta dell’islam Maometto, ossia Abu Bakr (632-634), ‛Umar (634-644), ‛Uthman (644-656), ‛Ali ibn Abi Talib (656-660), che rappresentano il «c. ortodosso», il primo c. a essere riconosciuto fu quello degli Omayyadi, discendenti dal terzo califfo ortodosso ‛Uthman, regnanti dal 661 al 750. A essi seguirono gli Abbasidi, discendenti di ‘Abbas, zio del profeta, i quali ressero l’impero islamico fino alla conquista mongola di Baghdad (1258). Nel periodo abbaside, altre rivendicazioni califfali furono sostenute con successo, per periodi più brevi, dagli Omayyadi di al-Andalus (929-1031) e dai Fatimidi egiziani (909-1171), discendenti alidi. Successivamente, un c. fittizio fu mantenuto in vita dai Mamelucchi in Egitto fino alla conquista ottomana (1517). Il titolo califfale ottomano, rivendicato nel 19° sec. senza legittimazione genealogica, fu abolito nel 1924 da Mustafa Kemal. Nonostante tale atto riguardasse un’istituzione ottomana priva di legittimità per la legge islamica, l’abolizione del c. ebbe echi e ripercussioni vastissimi nel mondo musulmano dell’epoca, in quanto pose fine alla possibilità di un governo politico unico per la comunità dei credenti.