CALIARI, Paolo, detto il Veronese
Figlio di Gabriele, "spezapedra" come suo padre Piero, e di una Caterina, nacque a Verona nel 1528: in un doc. del 1529 infatti viene indicato come di un anno di età e nell'atto di morte, nel 1588, di sessanta anni (Caliari, p. 9; Cicogna, IV, p. 148; per tutta la questione delle date sbagliate, riferite dal Ridolfi, vedi le note di Hadeln: I, pp. 297, 349). In un altro documento veronese del 16 apr. 1541 (Caliari, p. 12 n. 2), il C. compare come "pittore", ma di dieci anni: anche per gli altri membri della famiglia le età indicate sono diverse da quelle del documento del 1529 che, almeno per quanto riguarda il C., si ha ragione di ritenere più preciso.
Un documento del 2 maggio 1541 (Caliari, p. 12 n. 2) nomina un "Paulus" di quattordici anni "discipulus seu garzonus" del pittore Antonio Badile, che probabilmente è da identificare con il Caliari. Vasari (1568) dice il C. allievo del Caroto, ma sia il Ridolfi sia il Borghini (1584, p. 129) lo dicono allievo di "Antonio Badile suo zio", del quale il C., il 29 apr. 1566, sposò la figlia Elena (Caliari, pp. 69 s.).
Le prime opere del C. rivelano l'influenza del pittore veronese Domenico Brusasorci e anche quella del Parmigianino, mediata in parte dalle incisioni di quest'ultimo. Inoltre lo stile decorativo di Giulio Romano a Mantova ha lasciato profonde tracce nell'opera del C., specialmente per quanto riguarda le decorazioni dei soffitti. Ma, soprattutto, il C. giovane ha risentito del bresciano Moretto, che a sua volta si era formato sul Tiziano giovane; e Tiziano, ancora vivo quando il C. giunse a Venezia, rimase con Tintoretto la principale fonte di ispirazione per lo stile del C. maturo.
è difficile datare con esattezza le prime opere del C. dipinte a Verona: la pala Bevilacqua (Madonna in trono con santi e donatori)proveniente da S. Fermo Maggiore, nel Museo di Castelvecchio a Verona, può essere stata dipinta nel 1548, anno in cui fu eretta la cappella a cui era destinata, o poco dopo. Alcuni segni sul Gesù tra i dottori, nel Museo del Prado (Madrid), sono stati recentemente interpretati (Levey, 1960) come riferibili allo stesso anno 1548. Altri quadri di grandi dimensioni, non datati ma evidentemente giovanili, sono la Presentazione al tempio di Dresda e la Consacrazione di David di Vienna (Fiocco, 1928, p. 29).
Nel 1551 il C. era nei dintorni di Castelfranco Veneto (Treville), occupato a dipingere a fresco, insieme con G. B. Zelotti, la Alla Soranza (distrutta nel sec. XIX: frammenti, uno dei quali reca questa data, sono conservati nel seminario patriarcale di Venezia, nella sacrestia del duomo di Castelfranco Veneto, nella Pinacoteca comunale di Vicenza, e molto probabilmente in Inghilterra: Schweikhart, 1971). L'anno dopo il cardinale Ercole Gonzaga ordinava quattro pale d'altare per il duomo di Mantova rispettivamente al C., a Battista del Moro, a P. Farinati e al Brusasorci. Il C. dipinse la sua Tentazione di s. Antonio (Caen, Museo) a Verona (finita nel 1553: Caliari, pp. 16 s.), e probabilmente nel 1553 iniziò a lavorare nel palazzo ducale di Venezia (soffitto della sala del Consiglio dei dieci) e poco dopo nella chiesa di S. Sebastiano, edifici nei quali continuò a lavorare saltuariamente per vari anni. È anche possibile che il C. si sia trasferito a Venezia per gradi e che per qualche tempo egli si sia diviso tra Verona, Venezia e altre città. Comunque, alla metà del sesto decennio pare che egli abitasse più stabilmente a Venezia, dove risiedette per tutta la sua vita (ma nel 1575 quando i deputati di Udine lo scelsero insieme con il fratello per la decorazione del soffitto della sala del Consiglio, i due abitavano a Padova: Caliari, p. 120n. 4). Probabilmente al successo del C. a Venezia (dove ormai si firmava "Paolo Veronese") contribuì, oltre all'assurdo egocentrismo del Tintoretto, il fatto che Tiziano era vecchio e lavorava in gran parte per la committenza estera. Certo è che il contributo del C. (1556-57) alla decorazione del soffitto della libreria del Sansovino (i tre tondi con Onore, Aritmetica e Geometria, e Musica:ma vedi N. Ivanoff, La Libreria Marciana, in Saggi e memorie, VI[1968], pp. 66, 68, 71, 76-78) fu considerato il migliore tra quelli dei sette pittori che vi lavorarono, e che nel 1563 insieme con Tiziano, Tintoretto, Schiavone, Sansovino e Iacopo da Pistoia egli fu uno dei giudici dei mosaici degli Zuccati in S. Marco.
Il C. continuò a lavorare anche fuori Venezia: per esempio, intorno al 1561 affrescò, per i fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro, l'interno della loro villa di Maser. È difficile stabilire con esattezza la data di questa impresa: l'edificio era completato, nelle sue strutture, nel 1559, ma gli affreschi di una stanza, la "sala dei cani", presentano motivi che derivano da incisioni di H. Cock pubblicate solo nel 1561. Il contratto per la decorazione della sala del Maggior Consiglio del palazzo ducale di Venezia, è del gennaio 1562 e il Ridolfi dice che il C. ebbe questa commissione grazie al successo degli affreschi di Maser.
Secondo il Ridolfi il C. si recò a Roma insieme con Girolamo Grimani, che vi andò tre volte, nel 1555, 1560 e 1566. Si ritiene generalmente, anche se non è affatto sicuro, che il viaggio del C. sia avvenuto nel 1560; è però certo che comunque questa visita non ebbe alcuna conseguenza importante sull'arte del Caliari.
L'unico avvenimento esterno importante nella vita del C. si può dire sia stato, il 18 luglio 1573, il suo processo davanti all'Inquisizione, nel quale dovette giustificare di aver introdotto nella Cena che stava dipingendo per SS. Giovanni e Paolo (ora all'Accademia: vedi Moschini Marconi, 1962, pp. 83-85) personaggi e dettagli non "convenienti et proportionati" alla tradizione canonica (trascrizione del testo in facsimile, in Delogu, 1951, ma vedi anche Fehl, 1960, pp. 349-351; Schaffran, 1960). Alla fine l'unica conseguenza fu che il pittore, apponendo sulla tela addirittura l'esatto riferimento evangelico (Luca, V), ne modificò il titolo da Ultima cena in Convito in casa di Levi (datato 20apr. 1573): è forse il suo massimo capolavoro, il più vasto e più famoso dei banchetti del C., l'unico che sia rimasto a Venezia.
La maggior parte della enorme produzione del C. consiste in opere di soggetto religioso commissionategli per chiese di Venezia e di altre località d'Italia. Per queste ultime non è accertato se il C. andasse a lavorare in situ; si ritiene però che generalmente eseguisse le opere a Venezia. La Trasfigurazione nel duomo di Montagnana, che gli fu commissionata il 3 giugno 1555(Caliari, pp. 24 s.)èla prima opera firmata che ci sia rimasta. Delle tre pale che gli furono pagate nel marzo 1562dall'abate di San Benedetto Po (Caliari, pp. 51-53), la Consacrazione di s. Nicola è a Londra (Nat. Gall.), la Madonna in gloriacon i ss. Antonio e Paolo a New York (W. P. Chrysler Coll.), mentre è perduta la Madonna che appare a s. Girolamo. Uno dei "banchetti" più vasti e più celebri del C. sono le Nozze di Cana, oggi al Louvre: il 6giugno ne ricevette la commissione dai padri del convento di S. Giorgio Maggiore; e l'ultimo pagamento, nell'ottobre 1563. Doveva essere collocata nel refettorio per il quale il C. aveva già dipinto a fresco (Caliari, pp. 5458).Eccezionalmente bello è il Martirio di s. Giorgio conservato a S. Giorgio in Braida di Verona, dipinto probabilmente all'epoca del suo soggiorno a Verona in occasione del suo matrimonio (1566).La pala Malipiero (con i Ss. Girolamo,Lorenzo e Prospero) in S. Giacomo dell'Orio, fu probabilmente dipinta per commemorare la morte di Girolamo Malipiero, nel dicembre 1572(Moschini Marconi, 1962, p. 147);nella sacrestia della stessa chiesa sono il soffitto ovale con la Fede, quattro tondi con i Dottori della Chiesa e una Adorazione dei pastori attribuita al periodo giovanile del Caliari. Durante il suo soggiorno a Padova nel 1575, il C. dipinse per la chiesa di S. Giustina un'Assunta sulla porta della sacrestia (distrutta) e il Martiriodi s. Giustina oggi nel Museo civico (N. Ivanoff, in La basilica di S. Giustina…, Castelfranco Veneto 1970, p. 147).Il dipinto con Le nozze mistiche di s. Caterina, dasempre considerato uno dei capolavori del C., già nella chiesa di S. Caterina e ora nelle Gallerie dell'Accademia, è senz'altro anteriore al 1581, quando è menzionato da Sansovino (c. 61; vedi Moschini Marconi, 1962, p. 86, anche per la datazione). Datata 1581 è l'Ascensione conservata nel santuario di S. Maria del Pilastrello a Lendinara, considerata di bottega Šafařík, 1968, p. 103). Nel 1587 il C. dipinse, su commissione di Bartolomeo Borghi, una delle opere più importanti del suo periodo tardo: S. Pantaleone che risana un fanciullo, per la chiesa omonima (R. Gallo, Perla datazione delle opere del Veronese, in Emporium, LXXXIX[1939], p. 146). Seguono la decorazione della chiesa di S. Antonio a Torcello (la pala dell'altar maggiore con S. Antonio abate tra s. Cornelio e s. Cipriano èora a Brera; mentre le pitture dell'organo - Annunciazione, Adorazione dei Magi e quattro delle nove grisailles con scene della Vita di s. Cristina, per cui vedi Moschini Marconi, 1962, pp. 95 s. - sono nel Museo di Torcello); l'Assunzione della Vergine, già nella chiesa di S. Maria Maggiore e oggi all'Accademia (ibid., p. 93), è ritenuta dalla critica opera tarda di collaborazione. Della ricca decorazione di S. Nicolò della Lattuga presso i Frari eseguita dal C. e dalla sua bottega, erano attribuite al C. stesso le tele del soffitto: l'Adorazione dei Magi, i quattro Evangelisti, S. Nicolò acclamato vescovo di Mira e le Stigmate di s. Francesco (appartenenti tutte alle Gallerie dell'Accademia, ma le prime cinque in deposito nella cappella del Rosario presso la chiesa di SS. Giovanni e Paolo: ibid., pp. 97-89; Si veda, per la ricostruzione del soffitto e la deformazione del S. Nicolò, J. Schulz, Veronese's ceiling at San Nicolò ai Frari, in The Burlington Magazine, CIII[1961], pp. 241-245).
La decorazione di S. Sebastiano a Venezia fu l'impresa più vasta di tutta la carriera del Veronese. L'Incoronazione della Vergine, nel centro del soffitto della sacrestia, era datata 1555 (Cicogna, IV, p. 149 nota); nello stesso anno, il C. s'impegnò a decorare il soffitto della navata (tre grandi scomparti con Storie di Ester).Il complesso, terminato nel 1556, è forse la decorazione più sontuosa e più accentuatamente profana che fosse stata sino allora eseguita in una chiesadi Venezia. Il C. fu aiutato dal fratello Benedetto e da un "Antonio" (forse il Fasolo). Gli affreschi che decorano la parte superiore delle pareti della navata (alcuni furono pagati nel 1558) sono fondamentali per la conoscenza del C. frescante, specie dopo i recenti restauri (1960) e data la perdita di gran parte delle altre sue opere a fresco (oltre alla Soranza già citata e agli affreschi illeggibili del palazzo Trevisan a Murano - sui quali vedi, però, Caiani, 1968 -, quelli della villa da Porto Colleoni a Thiene - per cui vedi Crosato 1962, pp. 194-197, e del palazzo da Porto a Vicenza). I più importanti degli affreschi sulle pareti di S. Sebastiano erano i due con il Martirio di s. Sebastiano e S. Sebastiano davanti a Diocleziano;ma quest'ultimo, già poco dopo esser stato dipinto, era rovinato tanto che il C. stesso lo coprì con una tela dallo stesso soggetto, della quale resta oggi solo un piccolo frammento nella collezione reale di Atene: Guerriero e paggio (la composizione è conosciuta da una incis. di N. Cochin: Pignatti, 1966, p. 98, W. 103, 105). L'affresco con l'Assunta, nel presbiterio, è distrutto. Sappiamo ora che le pitture sui pennacchi tra gli archi della navata sono dipinte a tempera e non a fresco. Ma l'opera per S. Sebastiano non si limitò alla pittura. Per esempio nel 1558 è documentata la costruzione, su suo disegno, della cassa dell'organo, e l'anno successivo quella dell'altare in pietra "bianca et netissima" di Rovigno, sempre su suo disegno. Per Porgano il C. dipinse due portelle (Presentazione al Tempio e Piscina probatica);per l'altar maggiore, una pala con la Madonna in gloria con s. Sebastiano e altri santi;per le pareti laterali del presbiterio due grandi tele con SS.Marco e Marcelliano esortati da s. Sebastiano e il Martirio di s. Sebastiano.Queste ultime, insieme con il grande Banchetto del refettorio (ora a Brera), furono probabilmente oggetto degli ultimi pagamenti, rispettivamente del 1565 e 1570 (per tutti i documenti vedi Cicogna, IV, pp. 151, 154, 182; ma anche Pignatti, 1966; Kahr, 1970; Cocke, 1972; Rosand, 1972).
Anche se la vastità dell'impresa non raggiunge quella del Tintoretto nella scuola di S. Rocco, questa è senz'altro l'unica opera eseguita da un solo pittore che possa esserle paragonata. Il soffitto della navata è di pari splendore a quello della sala superiore di S. Rocco e il Banchetto puòessere paragonato per la grandiosità delle proporzioni, se non per profondità, alla grande Crocefissione del Tintoretto. Facendo questi confronti è forse giusto ricordare che, nonostante la più giovane età dell'autore, l'opera del C. in S. Sebastiano fu in gran parte anteriore alla decorazione della scuola di S. Rocco, e può esserne a diritto considerata un valido precedente.
La decorazione del palazzo ducale fu impresa altrettanto vasta ma meno continua: tra il 1553 e il 1554, in collaborazione con G. B. Zelotti e G. B. Ponchino, il C. attese alle pitture dei soffitti delle tre sale del Consiglio dei dieci, della Bussola e dei Tre Capi (le tele per le prime due sale sono conservate oggi al Louvre dopo la confisca napoleonica e sostituite da copie). Dopo il primo incendio del palazzo, il C. eseguì (1575-1578) le sue pitture più belle nel palazzo ducale: nella sala del Collegio, scomparti con figure allegoriche nel soffitto e, sulla parete, sopra il tribunale, la grandiosa tela con Sebastiano Venier inginocchiato in atto di render grazie per la vittoria di Lepanto;quindi (1577), dopo il secondo incendio, uno dei pannelli più grandi del soffitto della sala del Maggior Consiglio con Il trionfo di Venezia, che esercitò notevole influsso sulla pittura decorativa barocca. Nella sala del Maggior Consiglio il C., con la sua bottega e i suoi "eredi", eseguì anche alcune delle pitture sulle pareti (Conquista di Smirne, Difesa di Scutari, Ritorno dopo la vittoria di Chioggia).
Il complesso della villa di Maser, oltre a essere il ciclo di affreschi meglio conservato del C., è forse il capolavoro della decorazione privata, nella metà del Cinquecento. nell'Italia settentrionale. I finti elementi architettonici in bianco (colonne, pilastri, balaustre) - probabilmente opera del fratello Benedetto - e le finte sculture si accordano mirabilmente con l'architettura del Palladio e le vere e proprie sculture di A. Vittoria. Lo spettatore ha così l'impressione di trovarsi in una loggia aperta, e tra un pilastro e l'altro gli si prospetta una serie di vedute paesistiche. Nelle lunette e nei soffitti si susseguono personaggi allegorici e mitologici, e qua e là compaiono giochi illusionistici con figure che s'affacciano da balconi o da finte porte (T. Pignatti, Veronese, La villa di Maser, Milano S. d.).
Nella pittura del C. i soggetti mitologici sono molto meno frequenti di quelli religiosi. Tra i più belli ricordiamo: Mercurio, Erse e Aglauro (Cambridge, Fitzwilliam Museum), Venere e Adone (Madrid, Prado), Ratto d'Europa (Venezia, palazzo ducale), il cosiddetto Venere e Marte (New York, Metropolitan Museum). Con quest'ultima tela è per lo più identificato uno dei due quadri che il Borghini (1584, p. 131) dice esser stati dipinti dal C. su ordine dell'"Imperatore" (cioè Rodolfo II: F. Zeri, P. Veronese: una reliquia del "Marte e Venere" dipinto per Rodolfo II, in Paragone, X[1959], n. 117, pp. 43-46). Si ritiene, ma senza certezza (Tietze-Conrat, 1953), che sia stato lo stesso imperatore a commissionare le due belle allegorie (Saggezza e Forza, Vizio e Virtù), che comunque furono certamente di sua proprietà e che sono oggi conservate nella Frick Collection di New York (The Frick Collect.[catal.], II, New York 1968, pp. 272-284).
Dei ritratti dipinti dal C. che ci sono rimasti, alcuni sono datati (Francesco Franceschini, 1551, Sarasota, Ringling Museum; Pace Guarienti, 1556, Verona, Museo di Castelvecchio; Gruppo di famiglia, 1558, San Francisco, Palace of the Legion of Honor). Di quelli non datati i più belli sono forse La bella Nani (Parigi, Louvre), Uomo in pelliccia (Firenze, Pitti), Lo scultore A. Vittoria (New York, Metropolitan Museum: M. Salinger, in Bull. of the Metr. Museum, V[1946-47], pp. 4-14), Uomo in verde (Roma, pal. Colonna), Uomo in pelliccia (Leeds, Coll. Harewood), J.Kinig (firmato: Praga, Pinacoteca nazionale), il cosiddetto Autoritratto nella collezione J. P. Getty (ill. 1042, in Berenson, 1957, II; e in Connoisseur, CLXI[1966], 649, p. 149; vedi B. F. Fredericksen, Catal. of the paintings in the J. P. Getty Museum, s.l. 1972, p. 37). In questi e in altri ritratti il C. adotta il tipo "aristocratico", spesso a figura intera, che si rifà più a Tiziano che a Tintoretto.
Da citare ancora alcuni tra i capolavori del C.: La famiglia di Dario (Londra, National Gallery), dipinta in epoca imprecisata per la famiglia Pisani, e le quattro grandi tele, anch'esse non datate, per la famiglia Cuccina, ora a Dresda: La famiglia Cuccina presentata alla Vergine, Adorazione dei Magi, Salita al Calvario e Nozze di Cana (nella prima, l'età dei ragazzi suggerisce una datazione intorno al 1571, applicabile anche alle altre tre tele). Altre opere famose del Veronese, delle quali non conosciamo la data e l'origine, sono la Visione di s. Elena (Londra, National Gallery); le dieci grandi tele, di epoca tarda, con episodi biblici ed evangelici (Cristo e il centurione, Cristo e l'adultera, Cristo e la samaritana, Ester e Assuero, Fuga da Sodoma, Agar e Ismaele, Susanna e i vecchi, tutte conservate a Vienna, Kunsthistor. Mus.; Lavanda dei piedi e Adorazione dei pastori, ora a Praga; Rebecca al pozzo, aWashington, National Gallery, Kress Collection); le quattro grandi tele quadrate con Allegorie dell'Amore (Londra, National Gallery), menzionate per la prima volta nella collezione di Rodolfo II a Praga e probabilmente eseguite per soffitti. Un'altra grande tela quadrata per soffitto e quattro di dimensioni inferiori, tutte con scene mitologiche del tipo di quelle dipinte a Maser, furono eseguite per lafamiglia Pisani (già nel Kaiser Friedrich Museum di Berlino, sono andate distrutte durante la seconda guerra mondiale). Delle quattro tele che il Borghini ricorda dipinte per Carlo Emanuele I di Savoia, è oggi identificabile solo la Regina di Saba (Torino, Galleria Sabauda).
Insieme con il Tiziano e con il Tintoretto il C. è stato sempre incluso, a ragione, nella terna dei più grandi pittori veneziani del Cinquecento. Nei suoi dipinti, egli non porta gli effetti luministici, di sotto in su e di prospettiva, a quel grado di esasperazione che si riscontra nel Tintoretto, in confronto del quale appare perciò quasi un "classico", un "rinascimentale in ritardo", antimanierista. Ma definizioni di questo genere son destinate naturalmente a cambiare, attraverso le generazioni, col mutarsi delle posizioni critiche, e il loro significato è perciò relativo. Non si può tuttavia negare che l'arte del C. sia senz'altro più pacata e statica di quella del Tintoretto.
Nella sua vastissima produzione è relativamente piccolo il numero di opere datate o databili con certezza documentaria, ed è quindi difficile stabilire una cronologia. E d'altra parte va osservato che egli, avanzando negli anni, non nuse a punto uno stile uniforme, ma si regolava secondo che il dipinto era destinato a decorare soffitti o pareti, e secondo l'altezza a cui doveva essere posto in rapporto all'occhio dell'osservatore. Lo spostamento di molti di questi dipinti dalla loro originaria collocazione ha naturalmente reso meno evidente questa distinzion. Ma. con queste avvertenze, si può dire che lo stile del C. ha avuto un'evoluzione relativamente limitata. Una pala d'altare come la Consacrazione di s. Nicola (Londra, National Gallery), databile al 1562, ha più in comune con il Miracolo di s. Pantaleone (Venezia, S. Pantaleone), che è del 1587, che con una pittura contemporanea come le Nozze di Cana (Parigi, Louvre), che appartiene a un diverso genere di dipinti.
I procedimenti tecnici del C. sono dettagIiatamente descritti dal Boschini (1674): "Usava per il più ombraggiar i panni quasi tutti di lacca, né solamente i rossi, ma i gialli, i verdi, e anco gli Azuri… Nel lumeggiarli poi soleva prender per il più il giallolino, l'orpimento, il rosso, e il minio; né mai velava alcun panno, fosse di qual colore si voglia: di modo che, vedendosi in un quadro, creduto di Paolo, un panno velato, bisogna molto ben considerarlo per non ingannarsi. E se 'l tocco delle carni, non haverà quel brio così spiritoso, e viuace sarà facil cosa ch'egli sia più tosto, di Benedetto il fratello, ò di Carletto il figliuolo, che pure anch'essi sono stati seguaci di quella vaga maniera".
E dalle parole del Ridolfi (I, p. 308) risulta chiaro che il C. era alieno dall'uso di forzature prospettiche come da ogni altra manifestazione esagerata: "E se bene i buoni Pittori per fuggir tal'hora quelle vedute noiose di prospettitie hanno accostumato tener il punto elevato, per lo accomodarui le figure, in alcuni casi però hanno anche osseruato il rigore, come fece Paolo in questo luogo [gli sportelli dell'organo di S. Sebastiano a Venezia] per dar ad intendere, come egli ben sapeua la norma di queste benedette regole".
Pittori della sua cerchia, come G. B. Zelotti, P. Farinati o Giovanni Antonio Fasolo, non possono essere considerati suoi seguaci ma contemporanei che seguivano percorsi paralleli. Secondo il Ridolfi furono allievi del C. Parrasio Michiel (II, pp. 137 s.), Francesco Montemezzano (ibid., p. 139) e Luigi Benfatto (ibid., p. 141), figlio di una sorella del C. - tutti artisti di non grande statura - e anche l'Aliense (ibid., p. 207) e Dario Varotari (ibid., p. 88). Nella bottega del C., artista sufficientemente "parco nelle spese onde hebbe materia d'acquistar molti poderi e cumular ricchezze e suppellettili" (Ridolfi, I, p. 348), l'attività fu continuatadai suoi "heredes". Enorme fu l'influenza esercitata dal C. sui pittori delle generazioni successive, e non solo sui decoratori barocchi come Rubens o Pietro da Cortona, ma anche su capiscuola molto più in là nel tempo come Sebastiano Ricci (M. Levey, S. Ricci'sheads after Veronese, in The Burlington Magazine, CIV [1962], p. 351) e G. B. Tiepolo.
Fonti e Bibl.: Per le fonti e la bibl. sino al 1887 si veda P. Caliari, P. Veronese, sua vita e sue opere, Roma 1888, conreg. di docc. Per la bibl. sino al 1911 vedi U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 392-397e, sino al 1939, R. Pallucchini, Mostra di Paolo Veronese (catal.), Venezia 1939, pp. 25-32.Oltre alle opere citate alle voci "Caliari", "Caliari Carlo", "Caliari Benedetto", vedi anche, in particolare: F. Sansovino, Venetia città nobilissima…, Venetia 1581;R. Borghini, Il riposo (1584), Milano 1807, III, pp. 129-131;C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte (1648), a cura di D. v. Hadeln, I-II, Berlin 1914-24, ad Ind.;M. Boschini, La carta del navegar pitoresco (1660), a cura di A. Pallucchini, Venezia-Roma 1966, ad Indicem;A. M. Zanetti, Varie pitture a fresco de' principali maestri veneziani…, Venezia 1760, pp. XI s., tavv. 20-24;Id., Della pittura veneziana…, Venezia 1771, ad Indicem;E. A. Cicogna, Delle iscrizioni veneziane, I-VI, Venezia 1824-1853, ad Indices;A. Baschet, De l'hommage d'un tableau de P. Veronese que fit à Louis XIV la République de Venise en 1664, in Gazette des Beaux Arts, XXIV (1868), pp. 280-294(la Cena in casa di Simone giànel chiostro dei Serviti, ora al Louvre); W. Bode-G. Gronau-D. von Hadeln, Archivalische Beitrage…, in Italienische Forschungen, IV(1911), ad Indicem;G. Gattinoni, Inv. di una casa venez. del sec. XVII. La casa Caliari…, Venezia 1914;E. Hoffman, Über einige ital. Zeichnungen im Museum… Budapest, in Az országos magyar Szépmüvészeti Múseum évkönyvei, IV(1924-26), p. 225;G. Fiocco, P. Veronese…, Bologna 1928;L. Fröhlich-Bum, Unbekannte Zeichnungen von P. Veronese, in Münchner Jahrbuch, VI (1929), pp. 1-10; G. Fiocco, in Encid. ital., XXVI, Roma 1935, pp. 242-45(sub voce Paolo Veronese); R. Pallucchini, Gli affreschi di P. Veronese a Maser, Bergamo 1939;A. De Witt, Un disegno…, in Le arti, II (1939-40), pp. 257 s.; Th. Hetzer, P. Veronese, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, IV(1940), pp. 1-58;G. Liberali, Originali inediti… nella chiesa di S. Teonisto a Treviso, in Rivista d'arte, XXII (1940), pp. 254-271;M. Piacentini, Dipinti e disegni ital. in Atene, in L'arte, XLIV (1941), pp. 10 a.figg. 5 s.; E. Berti Toesca, Un disegno…, in Le arti, IV(1941-42), pp. 85 s.;G. M. Richter, An unknown portrait by P. Veronese, in Art in America, XXX(1942), pp. 3639;H. Tietze-E. Tietze Conrat, The drawings of the Venetian painters, New York 1944, ad Indicom (fondamentale per l'opera grafica del C.); E. P. Richardson, P. Veroneses Mystic Marriage of St. Catherine, in Art Quarterly, VIII (1945), p. 237(identifica una tela del museo di Detroit con quella ricordata dal Ridolfi in casa del C. dopo la sua morte: vedi anche Bull. of the Detroit Institute of Arts, XXV [1946], pp. 2-5:ma non tutti gli studiosi, quali Pallucchini, Veronese, 1953, e Vertova, 1959, accettano questa opera come autografa); W. R. Valentiner, P. Veronese's Christ healing a paralytic, in Art Quarterly, IX (1946), pp.349-353(considera una piccola tela del Los Angeles County Museum modello per le portelle interne dell'organo di S. Sebastiano; più probabilmente è copia); F. A. Sweet, Portrait of a Lady by Veronese, in Bull. of the Art Inst. of Chicago, XLI (1947), pp. 2-4;H. S. Francis, The iudgement of Paris. A drawing…, in Bull. of the Cleveland Mus. of Art, XXXIV (1947), pp. 176 s.; K. T. Parker, Nuovidisegni veneti al Museo Ashmolean di Oxford, in Arte veneta, I (1947), p. 47(attribuisce al C. un Ratto di Europa e gli toglie un Ritorno di Ulisse);E. Arslan, Nota su Veronese e Zelotti, in Belle Arti, I (1946-48), pp. 227-245(riprendendo un discorso già accennato, in Emporio, CVI [1947], pp. 24 s., insiste sul fatto che gli affireschi superstiti della Soranza non sono tutti del C. e che devono essere stati eseguiti vari anni dopo il 1551); H. Tietze, Nuovi disegni veneti del Cinquecento in collez. amer., in Arte veneta, II(1948), p. 56;G.Fiocco, Tiziano o Paolo Veronese, ibid., pp. 101-103(ritratto maschile in coll. priv. a Zurigo); G. Robertson, Tiepolo's and Veronese's Finding of Moses, in The Burlington Magazine, XCI(1949), pp. 99 s.; The Resurrection by P. Veronese, ibid., pp. 333 s. (la Resurrezione ora nella cappella del Westminster Hospital); L. Venturi, Un'opera inedita di P. Veronese, in Commentari, I(1950), pp.39 s.(la Madonna proveniente da S. Benedetto Po, oggi nella Chrysler Coll., New York); H. S. Francis, Annunc. by Veronese, in Bull. of the Cleveland Museum of Art, XXXVIII (1951), pp. 39 s.;G. Delogu, Veronese. La Cena in casa di Levi, Milano 1951; R. Brenzoni, La prima opera di Veronese: la Suocera di Pietro (Simone)…, Verona 1953(quadro perduto documentato al 1546);E. Tietze-Conrat, Due componimenti morali di P. Veronese, in Arte veneta, VII (1953), pp. 93-99;L. Oehler, Eine Gruppe von Veronese-Zeichnungen in Berlin u. Kassel, in Berliner Museen, III(1953), pp. 27-36;B. Degenhart, Eine Zeichnung des P. Veronese, in Münchner Jahrbuch…, VI (1955), pp. 207-212;G. Gamulin, Il polittico di P. Veronese a Verbosca, in Arte veneta, IX (1955), pp. 86-94;E. Tea, P. Veronese e il teatro, in Venezia e l'Europa, Firenze 1955, pp. 282 ss.; U. Moussalli, Le processus d'élaboration et de création dans les grands ateliers vénitiens du XVIme siècle, notamment chez Véronèse, ibid., pp. 285ss.; M. Lorento, Sobre el palladianismo en las obras del Veronese, ibid., p. 406;M. A. Novelli, Un nuovo P. Veronese. La Virtù sottomette il Vizio (Bologna, Galleria Davia Bargellini), in Arte veneta, X (1956), pp. 188 s.;S. L. Staale, The changes in the iconography and composition of Veronese's Allegory of the Battle of Lepanto…, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XIX (1956), pp. 298-302;S. Béguin, La fille de Jaïre de Véronèse au… Louvre, in Revue des arts, VII(1957), pp. 165-169; P. Fehl, Questions of identity in Veroneses Christ and the Centurion, in Art Bulletin, XXXIX(1957), pp. 301 s.; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Venetian School, London 1957, I-II, ad Indicem;G. Briganti, La Venere di casa Colonna di P. Veronese, in Arte veneta, XII(1958), pp. 91-96; G. Bordignon Favero, La villa Soranza di M. Sanmicheli a Castelfranco Veneto, Treviso 1958; E. Schaffran, Der Inquisitionsprozess gegen P. Veronese, in Münster, XI(1958), pp. 209-212; R. Pallucchini, Scheda per un capolavoro inedito di P. Veronese, in Paragone, IX(1958), n. 101, pp. 64-68 (la Deposizione nella chiesa dell'Annunziata a Ostuni); National Gallery Catalogues, C.Gould, The Sixteenth-cent. Venetian School, London 1959, ad Indicem;G. Gamulin, Poliptih Paola Veronesa u Vrboskoj, Split 1959; L. Vertova, Veronese, Milano 1959; R. Pallucchini, Contributi alla pittura veneta del Cinquecento, in Arte veneta, XIII-XIV(1959-60), pp. 39-61 (Deposizione in una coll. privata americana); E. Tietze Conrat, P. Veronese "armato", ibid., pp.96-99; L. Crosato, Di un nuovo putto della Soranza, ibid., p.202; A. Arfelli, Per la storia di un quadro di Paolo Veronese, ibid., p. 203 (attribuisce in via ipotetica al C. e alla sua bottega - probabilmente a Carletto - la Madonna e santi del Museo di Digione); G. M. Pilo, Piazzetta, Longhi, Ricci: una perizia impugnabile per Veronese, ibid., pp. 219 s.; F. J. B. Watson, Venetian art in Britain, ibid., p.265 (rec. della Mostra alla Royal Acad. di Londra); G. Briganti, Un altro frammento del Marte e Venere di P. Veronese dipinto per Rodolfo d'Asburgo, in Paragone, XI(1960), n. 121, pp. 32 s.; L. Vertova, Some late works by Veronese, in The Burlington Magazine, CII(1960), pp. 68-71 (Il Martirio di s. Lucia nella coll. Diana Bowes-Lyon, e Rebecca alla fonte nella coll. Earl of Yarborough); M. Levey, An early dated Veronese and Veronese's earty work, ibid., pp. 107-111 (legge 1548 nel Cristo al tempio del Prado, data confermata da C. Gould per lettera, ibid., p. 489); Palladio, Veronese e Vittoria a Maser, con intr. di B. Berenson, Milano 1960; E. Schaffran, Der Inquisitionsprozess gegen P. Veronese, in Archiv für Kulturgeschichte, XLII (1960), pp. 178-193; A. M. Brizio, La pittura di P. Veronese in rapporto con l'opera del Sanmicheli e del Palladio, in Boll. del Centro intern.… Palladio, II(1960), pp. 19-25; P. Fehl, Veronese and the Inquisition, in Gazette des Beaux-Arts, LVIII (1961), pp. 325-354; J. Schulz, Veronese's ceiling at S. Nicolò ai Frari, in The Burlington Magazine, CIII(1961), pp. 241-245; J. Bean, P. Veronese: Allegory of the Redemption of the world, in Metrop. Mus. of Art Bull., XX(1961), pp. 157-175; W. Suida, Chiarimenti e aggiunte all'opera di P. Veronese, in Arte veneta, XV(1961), pp. 99-106; L. Crosato, Gli affreschi nelle ville venete del Cinquecento, Treviso 1962, ad Indicem;B. Suida Manning, Titian, Veronese and Tintoretto in the collection of Walter P. ChrysIer Jr., in Arte veneta, XVI(1962), p. 49; Gallerie dell'Accademia di Venezia, S. Moschini Marconi, Opere d'arte del secolo XVI, Roma 1962, ad Indicem;N. Ivanoff, Il ciclopittorico della Scuola di S. Fantin, in Ateneo veneto, fasc. speciale per il 150º anniversario 1962, p. 78; A. Ballarin, Dipinti veneziani riscoperti a Praga, in Arte veneta, XVII(1963), p. 248 (S. Caterina);G. Gamulin, Una sconosciuta Adorazione dei Magi di P. Veronese, in Arte antica e moderna, 1964, pp. 311-314; K. Just-H. Levey, Discoveries in Prague, in Apollo, LXXIX (1964), p. 228; E. A. Šafařík, Fragment d'un chef-d'oeuvre de Véronise à la Galerie Nationale de Prague, in Umĕni, XII(1964), pp. 387-415; M. Muraro, Studiosi e collezionisti e opere d'arte veneta…, in Saggi e mem. di storia dell'arte, IV(1965), pp. 65-83 passim;L. e U. 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