CALCOTECA (χαλκοϑήκη; chalcotheca)
Secondo la definizione di Ateneo (il passo è riportato intero nello Stephanus, Thesaur. ling. gr.), χαλκοϑήκη era detto l'armadio nel quale si conservavano i bicchieri di bronzo. Ma più esatto sarebbe stato dire che vi si conservavano oggetti in bronzo di qualsiasi genere, come si rileva da ciò che si sa della calcoteca di Atene. Numerose e assai particolareggiate iscrizioni ci attestano l'esistenza di questa χαλκοϑήκη di Atena sull'Acropoli. Dal fatto che gli oggetti elencati come contenuti in essa sono di proprietà della dea (infatti gran parte di queste iscrizioni sono inventarî di consegna della commissione addetta al tesoro della dea stessa), si ricava che la calcoteca era un edificio connesso con il Partenone, una specie di sacrestia del tempio. Gli elenchi enumerano vasi per far bollire l'acqua, attingitoi, spiedi e altri strumenti per cuocere la carne, patere ed in genere strumenti necessarî per il culto e i sacrifici. La definizione di Ateneo, che risponde senza dubbio al significato corrente, ci assicura che in origine null'altro doveva essere conservato nella calcoteca; ma ben presto la calcoteca passò a custodire anche armi di proprietà dello stato; gli elenchi infatti nominano scudi, corazze, schinieri e persino catapulte con i relativi proiettili, e alla fine addirittura le vele, le ancore, i tendoni e in generale tutto l'armamento mobile delle cento triremi di riserva, che, non potendo a lungo reggere l'acqua, venivano tirate in secco e disarmate. E certamente ebbe in mente questo doppio carattere della calcoteca Alessandro Magno quando mandò in dono alla dea i trecento scudi presi ai Persiani nella battaglia sul Granico; anch'essi infatti furono conservati nella calcoteca. Perciò non deve meravigliare se in epoca più tarda, quando la calcoteca più non esisteva o forse quando il tesoro della dea, assottigliatosi di molto, si era di nuovo ritirato nell'opistodomo del Partenone, il termine calcoteca venisse da scrittori latini tradotto con armamentarium.
I particolari che ci forniscono le epigrafi permettono di assegnare alla calcoteca una notevole ampiezza; un elenco enumera 1500 scudi, un'altra iscrizione ci parla di 43.300 oggetti, che lo stato frammentario dell'epigrafe non ci permette di meglio identificare; un passo di uno scrittore attesta che l'oratore Licurgo nel 342 circa a. C. fece raccogliere nella calcoteca ben 50.000 proiettili. Della calcoteca sono rimaste tracce assai scarse, ma tuttavia sicure, in alcuni muri di fondazione situati presso il Partenone. Non solo il luogo (non a caso questo edificio è attiguo all'opistodomo del tempio, il cui scopo era quello di conservare gli arredi sacri) ma soprattutto le dimensioni (m. 15 × 41) e i particolari costruttivi (le fondamenta permettono di ricostruire un colonnato di tre metri e mezzo di profondità, distinto dal grande vano retrostante, il che si accorda con le iscrizioni che costantemente distinguono una calcoteca nel senso sttetto della parola dall'edificio in genere) non lasciano dubbio sull'identificazione. Infine la data della più antica menzione della calcoteca (circa il 370 a. C.) si accorda con i caratteri della costruzione che assegnano questa appunto al principio del sec. IV, quando il felice esito della guerra corinzia aveva permesso ad Atene di risollevarsi dal disastro della guerra del Peloponneso. Assai verosimilmente la calcoteca fu distrutta da Silla dopo l'espugnazione della città, il che ne spiega la misera conservazione. (Sul luogo della calcoteca, vedi acropoli; atene).
Con neologismo non del tutto corretto si dice oggi calcoteca la raccolta di calchi di statue e sculture in genere (v. calco):
Bibl.: C. Wachsmuth, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, Stoccarda 1899, col. 2097 seg., s. v. Chalkotheke, con la bibliografia precedente.