CAGNOLI, Gerardo (Gerardus de Valentia, Gerardus de Panormo), beato
Nacque a Valenza (Alessandria) probabilmente nel 1267.
Per primo il Volterrano affermò che apparteneva a nobile famiglia di Valenza (Raphaelis Volaterrani Commentarium urbanorum… octo et triginta libri, Basileae 1530, II, l. XXI, p. 242r); ma si tratta di un'affermazione di dubbia attendibilità. Ancora più discutibile appare, comunque, l'attribuzione del beato alla nobile famiglia pisana degli Agliata, attribuzione che si fonda sulla tarda iscrizione secentesca incisa sul reliquiario d'argento conservato nella chiesa primaziale di Pisa.
Dopo la morte del padre, avvenuta quando il beato aveva dieci anni, il C. assistette la madre, malata di tisi. Alla morte di questa (circa 1280) abbracciò lo stato penitenziale e fu pellegrino a Roma e a Napoli, passando quindi in Sicilia, dove si fermò stabilendosi o sulle falde dell'Etna o presso Erice (le fonti non sono precise al riguardo). Grande ammiratore e devoto di s. Ludovico d'Angiò, l'austero vescovo di Tolosa, nello stesso anno in cui si iniziava il processo della sua canonizzazione, nel 1307, il C. entrò nell'Ordine di S. Francesco, di cui vestì l'abito come converso. Fu assegnato, in un primo tempo, al convento di Randazzo (presso Catania), ma in seguito, essendosi diffusa la fama dei miracoli che vi aveva compiuto, venne trasferito - ignoriamo in quale anno - al convento di Palermo, dove gli furono affidate le incombenze di portinaio, e dove visse per trentacinque anni, sino alla morte, conducendo una vita di dura penitenza e di preghiera secondo gli ideali di stretta povertà evangelica e di aspra mortificazione, di ritorno afia purezza originaria della regola francescana caratteristici della corrente rigorista, che erano stati vissuti e predicati dallo stesso s. Ludovico d'Angiò.
Godeva, già allora, fama di taumaturgo e di santo, e si diceva che fosse dotato di spirito profetico, tanto che il convento francescano di Palermo divenne ben presto meta di pellegrini che venivano non solo dalla Sicilia tutta, ma anche dalle diverse regioni dell'Italia, in particolare dalla Toscana e da Pisa, per chiedere al pio frate conforto e consolazione. I sovrani aragonesi, assai legati ad ambienti vicini alla setta degli spirituali, erano in rapporti di devota amicizia con il C., cui spesso ricorsero per consiglio e incoraggiamento. Ci viene riferito dalle fonti che guarì miracolosamente Enrico degli Abati, quando questi era giustiziere del Regno (1329-1330);che profetizzò ad un altro giustiziere del Regno, Pietro d'Antiochia, allora gravemente ammalato, la prossima guarigione, mentre predisse a Guglielmo Rainiondo Moncada che sarebbe rientrato in possesso del castello presso Augusta, di cui era stato privato nel corso di guerre intestine: fatti tutti che non mancarono di avverarsi. Particolare rilievo viene dato nelle biografie del C. alle predizioni relative alla liberazione di Termini Imerese, assediata dagli armati di Roberto d'Angiò (1338), e alla nascita del primogenito di Pietro II d'Aragona e di Elisabetta di Carinzia (al neonato il pio frate raccomandò venisse imposto - in segno di devozione per il santo vescovo di Tolosa - il nome di Ludovico).
Il C. morì, nel convento di S. Francesco in Palermo, il 29 dic. 1342.
La spiritualità del C. sembra dominata soprattutto da un'istanza pauperistica e dagli ideali di mortificazione, di penitenza e di preghiera che - come del resto le forme devozionali da lui seguite - si rifanno direttamente alla vita e alla predicazione di s. Francesco e, in modo particolare, a quelle di s. Ludovico d'Angiò. La sua devozione per il santo principe angioino, bandiera, specie nell'Italia meridionale, del francescanesimo spirituale; il favore che verso di lui mostrarono i sovrani aragonesi, accusati dal pontefice di appoggiare gruppi fraticelleschi; le profezie che il C. pronunziò - stando alle fonti principali per la sua vita - sulla Chiesa, rivelandole solo sotto il sigillo di segretezza, possono far pensare ad un orientamento di rigidità "spirituale" all'interno dell'Ordine o possono, forse, meglio spiegare la diffusione tanto rapida e ampia del suo culto. Se già nel 1335(circa sette anni prima della sua morte) il nome del C. appariva nel Catalogus Friburgensis dei santi dell'Ordine francescano, si comprenderà bene come, subito dopo la sua morte, la devozione verso di lui si estendesse in tutta Italia. Nel 1347infatti il suo culto era già diffuso, oltre che in Sicilia e nella Toscana, anche nelle Marche, in Liguria, in Corsica e nell'isola di Maiorca. è interessante notare come la devozione per il santo frate si diffondesse in particolare tra gruppi che facevano propria un'esperienza di tipo penitenziale, come nelle compagnie di disciplinati a Siena e Grosseto (1497), a Termini Imerese presso Palermo (1460), a Valenza. Un francescano pisano, Bartolomeo Albizi, fu in Toscana tra i più solleciti e vivi diffusori del culto del C.: a lui si debbono sia la Legenda sancti Gerardi sia il Tractatus de miraculis, che rappresentano le fonti più particolareggiate e più autorevoli - la prima sulla vita, la seconda sul culto del Cagnoli. Fu l'Albizi che nel 1346organizzò i festeggiamenti per la traslazione a Pisa di una reliquia del C. (5luglio); e già tra il 1344 e il 1345aveva commissionato a Taddeo Gaddi un affresco che illustrasse alcuni episodi della vita del beato nella chiesa del convento francescano di Pisa.
Il processo di canonizzazione del C. fu aperto solo nel 1622, se non si intende considerare attendibile un accenno del Pirri (cfr. Rotolo, 1957)che lo vuole invece iniziato dalla stessa sede arcivescovile di Palermo subito dopo la morte. Se ne fece promotore presso il pontefice Gregorio XV Vincenzo Gagliardo da Palermo dei minori conventuali. Il processo, interrotto nel 1630, fu ripreso due secoli e mezzo dopo, il 18 giugno 1888, a Palermo e ivi si concluse il 31 maggio 1889. Ripreso nel 1905, il 31 maggio 1908 Pio X riconobbe come beato il C., e ne fissò la festa al 29 dicembre.
Fonti e Bibl.: Chronica XXIV generalium Ordinis Minorum, in Analecta franciscana, III(1897), pp. 489-497; Bartholomaeus de Pisa, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, ibid., IV(1906), pp. 297-301, 532; Marianus de Florentia, Compendium chronicarum ordinis fratrum minorum, in Arch. franc. hist., III(1910), p. 300; Catalogus Friburgensis sanctorum Fratrum Minorum, a cura di F. Delorme, in Arch. francisc. histor., IV(1911), pp. 550-551; F. Rotolo, La leggenda del b. G. C. O. Min. di fra Bartolomeo Albizi, O. Min. (†1351), in Miscell. francisc., LVII (1957), pp. 367-446, ove a pp. 382-384 si dà notizia delle varie biografie, per lo più agiografiche, del beato; Id., Il trattato dei miracoli del b. G. C. O. Min. (1267-1342)di fra Bartolomeo Albizi (1351),ibid., LXVI(1966), pp. 128-192; L. Lemmens, Catalogus Sanctorum Fratrum Minorum, Romae 1903, pp. 22, 42; L. Wadding, Annales Ordinis Fratrum Minorum, VII, Ad Claras Aquas 1932, pp. 354-361; G. Abate, Inni e sequenze francesc., in Miscell. francisc., XXXVIII(1938), pp. 180-182; R. Toso d'Arezzo-A. Cardinali, in Bibliotheca Sanctorum, I, coll. 641-642.