cagna
. Ricorre due volte, soltanto al plurale. Come sovente in D. e nel tempo di D., il femminile di un animale è usato per esprimere in modo particolare la ferocia della bestia (‛ lupa ', ecc.), sebbene sia sostenibile l'ipotesi che c. valga senz'altro ‛ cane ', senza specificazione di genere, com'è per ‛ gatta '. Per il passo di If XIII 125 Di rietro a loro era la selva piena / di nere cagne, bramose e correnti / come veltri ch'uscisser di catena, molti dei commentatori antichi (Buti) e moderni vedono in queste nere cagne veri e propri diavoli che continuamente assalgono e straziano gli scialacquatori; altri (Landino) intendono allegoricamente come " rimorsi di coscienza " o " vergogne " o " figure di creditori " o, in genere, " preoccupazioni " che tormentarono la vita di questi peccatori. Qui, comunque, è rappresentata una caccia diabolica del tipo di quelle ben note a D. dalla lunga tradizione degli exempla medievali.
Analogamente devono intendersi le c. di If XXXIII 31 nel mal sonno del conte Ugolino, che vede l'arcivescovo Ruggieri a capo di una caccia (diabolica anche questa per il suo aspetto terrificante), con cagne magre, studïose e conte, cioè " affamate, avide di preda ed esperte ". Queste c. rappresentano, secondo alcuni, " il popolo minuto che comunemente è magro e povero " (Buti), aizzato contro Ugolino dai capi delle grandi famiglie di Pisa; secondo altri, rappresenterebbero i seguaci dell'arcivescovo, cioè " le famiglie potenti che il Buggeri avea messe in faccenda contro Ugolino ", chiosa il Cesari; riassumono la questione Scartazzini-Vandelli: " Certo è però che nel senso letterale la magrezza, segno di denutrizione e di fame, esprime la bramosia con che le cagne cacciano, confermata da studiose, che dice come intentamente mirassero alla preda ".