CADMO (Καδμος, Cadmus)
Mitico fondatore di Tebe, secondo numerose leggende sparse in tutto il mondo greco, delle quali i primi accenni si trovano già in Omero (Od., V, 333 segg.) e in Esiodo (Theog., 935 segg.) e che furono raccolte in forma più complessa, se non definitiva, da tardi autori quali Ovidio, Nonno, Apollodoro, Diodoro Siculo.
Secondo questa forma il mito di C. si può riassumere così: C. era figlio di Agenore e fratello di Europa (in alcune fonti invece C. è zio di Europa). Allorché questa fu rapita da Zeus, Agenore ordinò ai suoi figli di andarla a ricercare; ma poiché fu impossibile ritrovarla, Cadmo, anziché tornare presso il padre, di cui temeva, si recò per consiglio all'oracolo di Apollo che gli rispose di seguire le orme di una giovenca, fondare una città là dove si sarebbe fermato, e, a ricordo di essa, dare a tutta la regione il nome di Beozia (Βοιωτία da βοῦς). Cadmo incontrò realmente una giovenca, e, con alcuni compagni, la seguì. Giunto al luogo in cui si fermò l'animale, C. inviò i compagni a una fonte per prendere acqua. Ma nella fonte c'era un drago che tutti li uccise. C. a sua volta uccise il drago, seminandone in terra i denti dai quali nacquero altrettanti uomini armati, che si uccisero a vicenda, a eccezione di cinque che furono chiamati Sparti (cioè "i seminati"): con l'aiuto di questi C. costruì la città che chiamò Tebe. Ma per avere ucciso il drago, sacro ad Ares, C. dovette servire per un lungo periodo a questo dio; trascorso il periodo di servitù, sposò Armonia, figlia di Afrodite e di Ares. Alle nozze intervennero tutti gli dei, recanti alla sposa magnifici doni, mentre Apollo, le Muse e le Grazie cantavano l'imeneo. Dalle nozze nacquero varie figlie, Autonoe, Ino, Semele e Agave, e un solo maschio, Polidoro. Dopo un certo periodo di tempo, C. e Armonia si recarono presso gli Enchelei, in unione coi quali combatterono e vinsero gl'Illirî, riuscendo ad assoggettarli e a divenirne sovrani. Qui, divenuti vecchi, vennero trasformati in serpenti e assunti ai Campi Elisî. La tradizione delle nozze di C. e di Armonia assume nella narrazione di Nonno, probabilmente per influsso di poesie alessandrine, oggi perdute, un colorito che l'avvicina alla leggenda corrente sulla Gigantomachia: dopo che Tifeo ebbe rubato il fulmine, Zeus gli mandò vicino C., che, ricevuta da Pane una siringa e travestitosi da pastore, si mise a sonare. Mentre Tifeo lo ascoltava assorto, Zeus, tramutatosi in toro, riprese il fulmine, rese invisibile C., uccise Tifeo, e diede Armonia in moglie a C. stesso.
Il mito di C. in origine è essenzialmente beotico; le relazioni crescenti con varie parti della Grecia fecero sì che si conoscessero leggende di C. in molte altre regioni; così in Tracia, dove si disse che C. si fosse recato nel periodo delle sue ricerche per trovare Europa; così in Illiria, regione con la quale certamente nei tempi più antichi C. non aveva nulla a che fare. Ma la cosa forse più notevole è la localizzazione del mito stesso nell'Asia Minore, e più precisamente a Mileto, dove le famiglie nobili si dicevano discendenti da lui. Anche se la sua genealogia non era identica con quella del C. figlio di Agenore, non c'è da dubitare sulla sua identità con quest'ultimo. Da Mileto il mito riuscì a espandersi in tutto il mondo greco. L'origine tebana, manifesta per una quantità d'indizi e per molti riferimenti della più antica poesia esiodea, si ricollega senza dubbio con le tradizioni circa la fondazione della città e l'autoctonia dei suoi abitanti. Infatti, perché questi potessero apparire autoctoni, era necessario immaginare che i compagni primitivi di C. sparissero, e che i veri e nuovi Tebani nascessero dalla terra, e quindi dai seminati denti del drago. D'altra parte la colonizzazione greca sulle coste dell'Asia Minore, le relazioni fra questa regione e la Beozia, l'importanza che il commercio e le civiltà asiatiche ebbero sulla Grecia, spiegano il localizzarsi della leggenda in oriente (Fenice, il colonizzatore della Fenicia, era fratello di C.), donde C. giunge alla Grecia propria, come inventore di molte arti, e specialmente dell'alfabeto, anzi addirittura della prosa, forse non senza un influsso del nome stesso dell'eroe, il quale, messo in relazione col verbo καίνυμαι e col participio κεκαδμένος, κεκασμένος, veniva a significare "colui che si segnala", o "che eccelle" sugli altri. Anche la diffusione del mito in Illiria e in altri luoghi dell'Occidente è indizio dell'accrescersi dell'influsso ellenico in quei paesi.
Bibl.: Crusius, in Roscher, Lexikon d. griech. u. röm. Mythol., II, p. 824 segg.; Latte, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., X, col. 1460 segg.; Gruppe, De Cadmi fabula, Berlino 1891; Friedländer, Herakles, p. 60 segg.; Vollgraff, De Ovidi mythopoeia, Berlino 1901, p. 63.