Cacciatori e raccoglitori, società di
Sotto la denominazione comune di 'cacciatori-raccoglitori' vengono raggruppate tutte quelle popolazioni che non praticano alcuna forma di agricoltura e di allevamento, e cioè non hanno economie produttive in senso stretto ma di acquisizione o di prelievo. Ne restano escluse quelle società, come i cacciatori a cavallo dell'America settentrionale, che sono un prodotto storico recente del contatto fra civiltà occidentale e popolazioni indigene di agricoltori.Le società di cacciatori-raccoglitori hanno dominato la scena del mondo per un lunghissimo periodo della storia evolutiva dell'umanità. Il passaggio all'economia produttiva segna l'inizio della marginalizzazione e della trasformazione, ma non della scomparsa di queste società. Alcune, preservate dall'isolamento in ambienti marginali per le nuove economie, hanno mantenuto fino ai nostri giorni tecnologie e strutture sociali che è legittimo ritenere comparabili a quelle dei cacciatori del Paleolitico. Altre, venute in contatto con società tecnicamente più avanzate, hanno trovato, con queste, forme di convivenza e di reciproco adattamento, pur mantenendo la propria economia di caccia-raccolta. È solo dopo il contatto con la civiltà occidentale, avvenuto in tempi e modi diversi, che la sorte di queste popolazioni è stata segnata. Ridotte oggi a una percentuale irrisoria della popolazione mondiale, esse sono condannate nel breve periodo all'estinzione fisica o all'annientamento culturale.L'interesse per queste popolazioni si è intensificato negli ultimi decenni parallelamente al risvegliarsi delle teorie evoluzioniste, che guardano ai cacciatori-raccoglitori attuali come a testimonianze viventi del passato evolutivo dell'uomo. Il loro studio comparativo mira a mettere in luce un nucleo di analogie strutturali, a livello sociale e culturale, determinato dall'analogia dei modi di adattamento all'ambiente e proprio dunque di tutte le società di caccia-raccolta, passate o presenti (v. Steward, 1955; v. Service, 1966; v. Bicchieri, 1972; v. Lee e DeVore, 1968).
L'importanza relativa delle attività di caccia e di raccolta varia enormemente da popolazione a popolazione, in rapporto all'ambiente in cui è stanziata. Vi sono gruppi che vivono quasi esclusivamente dei prodotti della raccolta, che costituiscono anche più del 70% della dieta normale (Shoshoni, Boscimani, parecchi Aborigeni australiani e alcuni Californiani). Altri, pur dipendendo in notevole misura dal cibo raccolto, praticano la caccia come attività di una certa importanza economica (Pigmei Mbuti e alcune popolazioni californiane come i Washo, i Tututni e i Diegueño). Altri, infine, quasi tutti stanziati in ambienti artici e subartici a nord del 60° parallelo, vivono esclusivamente, o quasi esclusivamente, del prodotto della caccia e/o della pesca (molti Athapaska e Algonchini dell'America settentrionale, gli Ona dell'estrema punta dell'America meridionale e, soprattutto, gli Eschimesi).
In linea di massima si può affermare che la maggior parte dei cacciatori-raccoglitori attuali o storicamente documentati praticano come attività principale la raccolta (v. però Ember, 1978), anche se, è bene sottolineare, gli unici che vivono esclusivamente di raccolta, come i Chenchu del Kadar, sono stati costretti ad adottare questo tipo di economia come soluzione di ripiego.
I dati etnografici sulla raccolta sono piuttosto scarsi, perché le fonti l'hanno spesso trascurata a favore della caccia. Se prendiamo, per fare solo un esempio, una fonte sull'Australia di ottima qualità qual è il lavoro di B. Spencer e F. Gillen (v., 1927), se ne ricava l'impressione, del tutto errata, che l'attività economica prevalente fra gli Aborigeni del deserto centrale sia la caccia e che la raccolta costituisca invece un complemento secondario. Gli autori si soffermano infatti a descrivere con vivacità le battute di caccia al canguro, mentre dedicano poche parole all'attività femminile. Oggi, grazie soprattutto agli studi di Tindale (v., 1974) per gli Aborigeni, di Lee (v., 1969) per i Boscimani (deserto del Kalahari), di Turnbull (v., 1965) per i Pigmei Sua (foresta dell'Ituri, Zaire), si è giunti a una più corretta valutazione dell'importanza quantitativa e qualitativa della raccolta.
L'attività di raccolta procura soprattutto cibo vegetale (bulbi, foglie, funghi, bacche, frutti, radici), ma sono oggetto di raccolta anche larve, miele, uova, insetti e piccoli animali (lucertole, lumache, piccoli di gazzella che istintivamente reagiscono al pericolo aderendo al suolo, uccelli ancora incapaci di volare), che forniscono un contributo essenziale alle necessità proteiche della dieta. La raccolta si differenzia dunque dalla caccia non tanto per il tipo di prodotto, quanto per il tipo di attività con cui tale prodotto è ottenuto.
La tecnologia impiegata nella raccolta è delle più semplici: un bastone da scavo, costituito da un pezzo di legno appuntito, non dissimile dall'attrezzo a volte usato dai Primati non umani per lo stesso scopo, e un canestro dove mettere il prodotto. Questi strumenti sono fabbricati dalle donne.
La raccolta è compito femminile ed è attività socialmente priva di prestigio e disprezzata dagli uomini, che però vi contribuiscono in tutti quei casi in cui essa costituisce l'attività economica pressoché esclusiva, e la praticano saltuariamente in altri casi. Per esempio, durante le battute di caccia gli uomini raccolgono da sé il cibo necessario per tutto il periodo in cui stanno lontani dal campo. Sono poche le popolazioni presso cui gli uomini non raccolgono mai, come i Guayaki della foresta amazzonica (v. Clastres, 1974), per i quali il solo contatto con un attrezzo femminile equivale a una perdita di virilità e di prestigio; eccezionali all'altro estremo sono gli Hadzapi della Tanzania (v. Bleek, 1931), fra i quali gli uomini non dipendono dalle donne per i prodotti vegetali, che si procurano da sé.
Il prodotto della raccolta appartiene al nucleo familiare della donna, al cui interno è consumato.
Alla mancanza di prestigio sociale della raccolta è connessa la scarsa attenzione che a essa viene dedicata a livello rituale e simbolico. È solo nelle aree desertiche del Kalahari e dell'Australia centrale che troviamo riti concernenti la vegetazione, il cui obiettivo esplicito è di favorirne una crescita abbondante, ed è soltanto fra gli Aborigeni che il bastone da scavo compare nella mitologia e in alcuni rituali. È importante notare che, nonostante la raccolta sia compito femminile, soltanto gli uomini eseguono questi riti di incremento della vegetazione e vi partecipano, mentre le donne ne sono categoricamente escluse. L'uomo si colloca così come unico riproduttore a livello simbolico di ciò che la donna produce con la sua attività di raccolta.
La caccia è un'attività predatoria che comporta la cattura e l'uccisione di selvaggina di medie e grosse dimensioni. Essa costituisce l'attività maschile per eccellenza, gode di prestigio sociale e le si associano diversi rituali.
Le armi adottate dai cacciatori per uccidere la preda sono l'arco, la lancia o la mazza, mentre la sua cattura può essere ottenuta con il semplice appostamento o con l'inseguimento o con l'impiego di trappole, reti, recinti, ecc., che spesso richiedono un'attività altamente cooperativa.
Il prodotto della caccia è soggetto a spartizione. Il cacciatore che ha ucciso un animale (più raramente qualche altro maschio adulto del gruppo) è tenuto a dividere la sua preda fra un numero elevato di persone e seguendo delle regole, più o meno rigide ma sempre presenti, relative alle parti da attribuire a ciascuna delle persone comprese nel gruppo di spartizione. In quanto uccisore dell'animale, gli può essere a volte riconosciuto un diritto prioritario di scelta, ma mai il possesso totale della bestia (v. Testart, 1987). La carne viene sempre spartita dai maschi e fra i maschi, e le donne la ricevono soltanto attraverso la mediazione degli uomini della propria famiglia.
La caccia gode di un prestigio sociale assolutamente indipendente dal contributo che il suo prodotto offre alla sussistenza globale del gruppo. Di questo prestigio fruisce solo il maschio, anche in quei casi in cui la donna partecipa alla cattura dell'animale.
Come vi sono società in cui gli uomini raccolgono, così ve ne sono alcune in cui la donna collabora nell'attività di caccia. È quanto avviene in tutte le popolazioni che praticano, anche saltuariamente, qualche sistema di caccia cooperativa: Pigmei Mbuti, Australiani, Eschimesi del Caribù, Athapaska settentrionali, Shoshoni. La donna svolge quasi sempre funzioni di battitrice e il suo compito è di incalzare gli animali con vari mezzi in reti, recinti o luoghi opportunamente scelti, dove i cacciatori appostati possono agevolmente ucciderli. Fra i Chipewyan (Athapaska settentrionali) (v. Smith, 1975) uomini, donne e bambini cooperano nell'attirare i branchi di caribù dentro recinti appositamente costruiti, dove gli uomini li uccidono con arco e frecce; fra i Pigmei Sua (v. Turnbull, 1965) le donne si dispongono di fronte al semicerchio costituito dalle reti tese dai maschi e, battendo per terra con dei bastoni, avanzano, impedendo agli animali che si trovano in quel pezzo di territorio di trovare scampo nella fuga. Una volta che le bestie sono rimaste impigliate nelle reti, intervengono gli uomini a ucciderle con le lance. Fra i Paiute del Great Basin (Stati Uniti occidentali) (v. Stewart, 1939) le antilopi e i conigli finiti nelle reti, in un sistema di caccia analogo, vengono uccisi poi dagli uomini con arco e frecce; a volte anche le donne possono uccidere i conigli, ma solo battendoli con dei bastoni, mai trafiggendoli con le armi. Fra i Tasmaniani (v. Roth, 1890) erano le donne a cacciare l'opossum, uno dei cibi più importanti nella dieta di quel popolo. L'animale veniva ucciso sbattendone la testa contro le pareti delle cavità degli alberi in cui ha la tana o facendolo cadere dai rami più alti, su cui le donne si arrampicavano per inseguirlo.
Negli esempi riportati si rivela una sorta di incompatibilità fra la caccia, nel suo aspetto di uccisione cruenta della preda, e la donna. Il fatto che le donne non uccidano gli animali con le armi degli uomini è sanzionato da espliciti divieti, che proibiscono loro, specialmente durante il periodo mestruale o la gravidanza, anche soltanto di toccarle. Ciò crea una differenza molto importante nell'accesso reciproco ai compiti specifici di ciascun sesso. Mentre infatti la raccolta non viene in genere praticata dagli uomini perché è considerata un'attività inferiore alla caccia, ma può esserlo e lo è di fatto dovunque rappresenti un'attività economica importante, la donna non può cacciare - nel senso ristretto di uccidere animali in maniera cruenta - perché le è vietato.
La divisione sessuale del lavoro segue dunque fra i cacciatori due linee, una che divide la caccia dalla raccolta, meno rigida e più strettamente tecnica, l'altra interna all'attività di caccia, che separa l'aspetto di cattura da quello di uccisione, più rigida e meno giustificabile con motivi tecnici. La prima divisione attribuisce alla donna un compito maggiormente compatibile con la generazione e l'allevamento dei figli, in quanto non comporta prolungate assenze dal campo e, per il suo carattere ripetitivo e monotono, può essere interrotto senza danno quando la cura dei piccoli lo richieda; la caccia, che richiede una maggiore mobilità e spesso lunghi periodi di allontanamento, è attribuita all'uomo, libero dai vincoli biologici che condizionano la donna. La seconda divisione, interna alla caccia, riserva al maschio una parte esclusiva del processo produttivo, caricata nei riti di valenze simboliche che la collegano con l'attività sessuale e riproduttiva dell'uomo e la contrappongono a quella della donna.
Strettamente connessi con la caccia sono infatti i cosiddetti riti di iniziazione maschili, con cui l'uomo lega il proprio sesso al ruolo di cacciatore. La pubertà come fatto biologico e, più in generale, il ruolo riproduttivo dell'uomo sembrano attirare pochissimo l'interesse di queste popolazioni; a livello sociale tale ruolo è più tenuto in ombra che evidenziato, quando non esplicitamente negato, come fra gli Aborigeni. Il ragazzo invece è considerato maturo quando ha dimostrato la sua abilità di cacciatore, cioè quando ha ucciso la sua prima preda di grosse dimensioni. I riti di iniziazione sono comunque, in genere, molto semplici e si limitano all'imposizione di alcuni divieti alimentari: solo poche popolazioni, come i Boscimani e gli Australiani, possiedono rituali, collegati con l'uccisione della prima preda, di una certa complessità e ricchezza simbolica.
Anche le pratiche rituali con cui si sottolinea il raggiungimento della maturità sessuale della donna e il successivo esplicarsi delle sue funzioni riproduttive nella gravidanza e nel parto, rimandano all'attività di caccia. Tutti i cacciatori vietano infatti alla donna mestruata o incinta di consumare il prodotto di questa attività e di toccare le armi degli uomini.
Nei riti si sancisce dunque una divisione del lavoro fra i sessi che non si origina tutta nella sfera tecnico-economica, ma affonda le sue radici nella rappresentazione simbolica dei processi produttivi e riproduttivi (v. Arioti, 1980).
La pesca è nella storia evolutiva dell'umanità attività certamente successiva alla caccia, cui è assimilabile. Come hanno notato Washburn e Lancaster (v., 1968, p. 294), "l'acqua deve essere stata una grossa barriera fisica e psicologica e l'incapacità di affrontarla è dimostrata nelle testimonianze archeologiche dall'assenza di pesci, di conchiglie o di un qualsiasi oggetto che richiedesse di inoltrarsi nell'acqua o di usare battelli".
La pesca non costituisce quasi mai l'attività economica principale dei cacciatori-raccoglitori. Essa lo diventa soltanto dove particolari circostanze ambientali la rendono così produttiva da consentire la sedentarizzazione dei gruppi che la praticano e il mantenimento di una popolazione più vasta e più densa, e perciò internamente più articolata, di quella che si riscontra normalmente fra i cacciatori-raccoglitori nomadi. Questa situazione si è verificata, per esempio, in America settentrionale, sulla costa nordoccidentale del Pacifico (Kwakiutl, Bella Bella, Bella Coola, Tlingit, Haida). In quest'area la risalita periodica del salmone, che in primavera si dirige dal mare verso le sorgenti dei fiumi per deporre le uova in acque dolci, fornisce una fonte di cibo abbondante, facile da catturare, che può essere conservato sia riponendolo in buche scavate nella neve, sia affumicandolo. Le popolazioni che vi sono stanziate sono sotto ogni punto di vista più complesse.
Anche la pesca, quando si tratta di animali di medie e grosse dimensioni (salmoni, balene, dugonghi), è compito maschile. Le donne possono pescare solo piccoli pesci, di solito con le reti o con le mani nude, o raccogliere molluschi sulla riva, e valgono per loro gli stessi tabù sulle armi che abbiamo visto a proposito della caccia.
Gli ambienti in cui vivono i cacciatori-raccoglitori sono molto vari - si va da ambienti artici ad ambienti desertici, a giungle tropicali - ma presentano tutti, a un'analisi approfondita, delle caratteristiche comuni, capaci di spiegare i tratti salienti della struttura sociale in termini di adattamento (v. Steward, 1955). I caratteri comuni fondamentali a cui ci riferiamo sono la scarsità delle risorse indispensabili per la sussistenza, ivi compresa l'acqua, la loro variabilità stagionale e la loro dispersione sul territorio.
Scarsità e dispersione delle risorse sono naturalmente concetti relativi, che si definiscono in base alle tecniche adoperate per sfruttarle. È chiaro che una risorsa è sparsa se non si dispone di mezzi di trasporto diversi dalle proprie gambe, mentre non lo è più se si dispone di veicoli a ruote; egualmente, un branco di animali è scarso se lo si affronta con tecniche di caccia individuali, lo è meno se si ricorre a battute di caccia collettive con l'impiego di barricate o altri stratagemmi, o se si adopera il fucile piuttosto che l'arco e le frecce; infine, la carne o il pesce sono meno scarsi se si conoscono dei mezzi per conservarli.
La scarsità e la dispersione delle risorse, in presenza di una tecnologia comune a tutti i cacciatori, che prevede l'uso di arco-lancia-mazza e non conosce mezzi di trasporto né sistemi di conservazione del cibo, sono i principali fattori che determinano il nomadismo, una bassa densità di popolazione e la sua aggregazione in gruppi territoriali di dimensioni variabili, ma sempre molto ridotte. La variabilità stagionale, poi, è causa di un'estrema fluidità dei gruppi sociali, soprattutto per quelle popolazioni che, come molti Eschimesi, dipendono in modo esclusivo da una sola risorsa.
I gruppi che sfruttano un territorio, delimitato in modo da comprendere al suo interno tutti i tipi di risorse indispensabili alla sussistenza, vengono chiamati bande. Le loro dimensioni variano da poche decine (Pigmei Efe, Boscimani) ad alcune centinaia di individui (Montagnais-Naskapi, Athapaska settentrionali). Le bande più grosse sono tipiche di quelle popolazioni che potenziano le proprie tecniche di caccia mediante l'uso di palizzate, recinti, reti, ecc.
Le bande non hanno regole rigide di reclutamento dei membri e l'appartenenza a una banda è definita in termini di residenza sul territorio e di cooperazione nelle attività economiche. Il diritto alla residenza si acquisisce in base alla consanguineità bilaterale e al matrimonio, sicché i gruppi territoriali risultano composti da individui imparentati per parte materna o paterna, cui si aggiungono quelli importati con il matrimonio. Alcune bande possono presentare un nucleo più stabile di persone imparentate unilinearmente, senza peraltro arrivare a strutturarsi come gruppi di discendenza. L'affiliazione bilaterale si dimostra adattivamente vantaggiosa, in quanto consente di far fronte ai problemi di un'adeguata distribuzione della popolazione sul territorio, in rapporto all'aleatorietà delle risorse. Un individuo, infatti, attraverso i suoi parenti bilaterali ha accesso a una molteplicità di bande e può cambiare la sua affiliazione quando la necessità lo richieda (periodi di carestia, sovrappopolazione, conflitti interni, ecc.). Se una banda si legasse al territorio attraverso modi più esclusivi di reclutamento dei suoi membri - quale, per esempio, l'unilinearità - si determinerebbero facilmente situazioni di squilibrio fra popolazione e risorse alla lunga insostenibili.
Poiché la composizione della banda non è immutabile e un individuo può variare l'affiliazione nel corso della sua vita, non è corretto definire la banda, come spesso è stato fatto, un gruppo esogamo. Mancano a tutt'oggi studi comparativi sui meccanismi che fra i cacciatori-raccoglitori regolano la circolazione degli adulti a scopi riproduttivi, sicché è impossibile avanzare qualunque generalizzazione in proposito.
Una banda ha diritto esclusivo sulle risorse del proprio territorio e lo sconfinamento è evitato in condizioni normali, ma non è negato in situazioni di emergenza.
La variabilità delle risorse nel tempo e nello spazio è un fattore determinante dei continui processi di fissione e fusione a cui le bande sono sottoposte. In relazione al carattere dell'attività economica che ciascun tipo di risorsa disponibile in un determinato periodo e in un determinato luogo del territorio richiede, la popolazione si frammenta in unità più piccole o si riaggrega in unità più vaste. Per esempio, gli Shoshoni del Great Basin vivono della raccolta di semi di graminacee selvatiche per gran parte dell'anno, attività che li costringe a nomadizzare in famiglie nucleari. Nel tardo autunno le famiglie convergono sulle montagne circostanti per la raccolta dei pinoli. Ogni famiglia raccoglie separatamente in un tratto di terreno ben delimitato, ma la scorta di pinoli consente poi che d'inverno si accampino tutte insieme per la caccia con le reti al coniglio e all'antilope. Le bande degli Andamanesi stanziate nelle foreste dell'interno trascorrono in accampamenti permanenti la stagione delle piogge (da maggio a metà novembre) cacciando i maiali selvatici. All'inizio della successiva stagione fresca, gli uomini si uniscono alle donne nella raccolta di frutti e radici, che sono in questo periodo particolarmente abbondanti, e la banda si frantuma in gruppi più piccoli, abbandonando l'accampamento principale. La raccolta del miele, che diviene l'attività prevalente di uomini e donne durante la stagione calda, tiene ancora divisa la banda fino alle piogge successive. La banda dei Montagnais-Naskapi (Algonchini settentrionali), che si compone in media di 100-300 individui, si scinde durante il lungo inverno subartico in gruppi più piccoli, di 3575 individui; gruppi ancora più piccoli, di 2-4 famiglie nucleari, rispondono alle esigenze della caccia alla selvaggina dispersa su un vasto territorio all'interno della foresta.
Un caso particolare è offerto dagli Australiani del deserto centrale. Presso questi Aborigeni è presente la banda - cui nella letteratura viene spesso dato il nome di orda - con la sua territorialità poco rigida e la sua composizione variabile in relazione alle risorse, ma sono presenti anche dei gruppi i cui membri sono collegati in maniera stabile, per diritto di nascita attraverso la discendenza in linea maschile, con un territorio che è da loro posseduto anche quando non vi risiedono materialmente. Esiste dunque fra gli Australiani un doppio tipo di territorialità, cioè una territorialità economica e una territorialità che potremmo chiamare ideologica. La prima è analoga a quella di tutti gli altri cacciatori-raccoglitori, la seconda è invece un fenomeno molto peculiare, di cui Luisa Moruzzi (v., 1983) ha tentato una spiegazione.
Nomadismo, dimensioni ridotte e fluidità sono caratteri strutturali dell'organizzazione sociale di tutti i cacciatori-raccoglitori. Essi si presentano tuttavia in gradi e con modalità variabili a seconda degli ambienti, sicché in concreto le bande appaiono molto diverse da popolazione a popolazione. Le differenti tipologie proposte, da quella di Steward (v., 1955) a quella di Bicchieri (v., 1972), non hanno ricevuto un consenso unanime, e continua a permanere un margine di arbitrio e di confusione nell'uso terminologico. Questa ambiguità è accresciuta dalla molteplicità di forme che la banda, in relazione al ciclo economico stagionale, assume all'interno di una stessa popolazione, cosicché a volte gli studiosi sono incerti nell'attribuire il termine all'una o all'altra forma.
La famiglia nucleare o biologica è universalmente presente fra i cacciatori-raccoglitori, anche se le funzioni che essa esplica e la sua importanza sono variabili. È costituita da un uomo e una donna uniti da un legame matrimoniale, cioè la cui unione è socialmente riconosciuta, e dalla loro prole. Il matrimonio è generalmente monogamico, anche se la poliginia è molto apprezzata. I matrimoni poliginici sono comunque rari nella maggior parte delle popolazioni, comuni soltanto fra gli Ona e gli Australiani. Ancor più rara è la poliandria, che si presenta sempre nella forma adelfica (Kaska, Paviotso). Il divorzio è comune.
Questo gruppo elementare si compone in media di cinque membri (la coppia coniugale e tre figli). L'alta mobilità e la mancanza di cibi adatti a nutrire un bambino piccolo rendono difficile per una donna allevare più di un figlio ogni tre-quattro anni. Per mantenere basso il numero dei figli, si vietano le relazioni sessuali finché una donna allatta o si ricorre all'infanticidio, di preferenza femminile.
La famiglia nucleare è soprattutto un'unità sessuale e di riproduzione, anche se può funzionare come unità produttiva e di socializzazione. Essa assume la sua massima importanza presso quelle società che la pressione ambientale costringe a nomadizzare per gran parte dell'anno frammentate in gruppi molto piccoli (Shoshoni, Eschimesi). Qui essa si presenta come il gruppo minimo più efficiente, in quanto capace di far fronte autonomamente alle necessità produttive, riproduttive e sociali anche per lunghi periodi.
Le bande costituiscono gruppi autosufficienti dal punto di vista produttivo, ma non da quello riproduttivo. La riproduzione è legata fra i cacciatori-raccoglitori a un gruppo più vasto, che comprende diverse bande, la cui entità numerica si aggira in media sui 500-600 individui e solo in casi eccezionali va al di sopra di questa cifra (Montagnais-Naskapi, Dené, Australiani) o al di sotto (alcuni Californiani). Un gruppo di 500-600 persone è quello indicato dal demografo Livio Livi (v., 1940-1941) come il minimo e più efficiente per riprodurre, senza pagare scotti troppo elevati, la famiglia nucleare, in presenza del divieto di incesto e della monogamia.
Questo gruppo viene chiamato tribù e la sua caratteristica strutturale fondamentale è di costituire "la massima estensione di popolazione al cui interno vi è un'alta concentrazione di matrimoni fra i membri" (v. Helm, 1965, p. 384). Su questa definizione si sono trovati d'accordo la maggior parte degli studiosi riuniti nella Conferenza sull'organizzazione delle bande tenuta a Ottawa nel 1965 (v. Damas, 1969). La tribù è dunque innanzitutto un gruppo statisticamente endogamo, i cui confini sociali sono tracciati là dove terminano i rapporti matrimoniali con i gruppi circostanti.
Un altro fattore interviene a individuare la tribù. Essa è in genere legata a un territorio, che risulta dall'insieme dei territori sfruttati dalle singole bande e i cui limiti sono sufficientemente definiti da essere noti a chi lo occupa e alle tribù confinanti. L'abbondanza di risorse sembra comportare un più accentuato senso della territorialità tribale, mentre le violazioni dei confini sono più tollerate dove la durezza delle condizioni ambientali può rendere necessario garantirsi una possibilità di accesso ai territori vicini.
Discontinuità territoriale e discontinuità matrimoniale sembrano dunque gli elementi principali per definire la tribù fra i cacciatori-raccoglitori: gruppo endogamo che sfrutta un territorio esclusivo, nel quale è stato raggiunto un equilibrio di lungo periodo fra popolazione e risorse. Altre caratteristiche secondarie possono aggiungersi ad accentuare queste discontinuità e a isolare una tribù dalle tribù vicine: la lingua, il nome, un comune senso di appartenenza diffuso fra i suoi membri, la presenza di uno stesso sistema di parentela, cerimonie comuni.
Le società di cacciatori-raccoglitori sono fondamentalmente egalitarie. Le uniche disuguaglianze che vi si riscontrano sono quelle basate sull'utilizzazione sociale delle differenze biologiche: di sesso, di età, di capacità individuali.
Le differenze individuali di intelligenza e di abilità possono portare un individuo a godere di una certa autorità all'interno di una banda, ma solo se e fino a quando i suoi compagni gliela riconoscono. Un cacciatore valente può, per esempio, essere scelto come guida di un gruppo territoriale, dirigerne gli spostamenti, coordinarne le attività, funzionare come punto di riferimento nella riaggregazione del gruppo dopo le fissioni stagionali. La parola capo, di cui a volte si è abusato a proposito dei cacciatori-raccoglitori, può essere adoperata dunque soltanto per indicare un individuo di cui il gruppo sfrutta le particolari qualità a proprio beneficio ed entro limiti e regole che esso stesso impone, e in nessun caso indica l'esistenza di una carica, tanto meno ereditaria. La presenza di capi dotati di una più forte autorità fra gli Athapaska settentrionali e gli Algonchini nordorientali è il risultato della pressione esercitata dai Bianchi, desiderosi di semplificare i rapporti con gli indigeni nel commercio delle pelli mediante la trattativa con rappresentanti ufficiali dei gruppi. La loro autorità non ha radici nella cultura tradizionale, ma nella situazione creatasi dopo il contatto.
Un uomo trae a volte prestigio dalla sua capacità di entrare in contatto con gli 'spiriti' e di guarire gli altri uomini. Questo tipo di persona viene spesso indicato come sciamano e gode di un'autorità che si mantiene negli stretti limiti della sfera spirituale. È una persona dotata di particolari qualità psichiche e la sua attività è sempre a beneficio del gruppo, a cui cerca di assicurare risorse abbondanti e la guarigione dalle malattie. Lo sciamano può a volte acquisire privilegi economici, sotto forma di doni o 'pagamenti' per le sue prestazioni, ma si tratta ovviamente di benefici assai poco rilevanti in società dove ogni accumulo di ricchezza è impossibile, per la scarsità delle risorse e per il carattere nomade dell'esistenza.
L'età avanzata non conferisce di per sé nessuna autorità se non è accompagnata da doti particolari. L'esperienza e la conoscenza non sono qualità particolarmente utili fra i cacciatori. La vita del cacciatore lo porta ad attribuire maggior valore a doti tipiche dell'età giovane: audacia, decisione, forza, resistenza alla fatica. Fra i Pigmei un giovane cacciatore è assai più autorevole, nelle questioni che riguardano la vita economica, degli anziani che non cacciano più, anche se l'opinione di questi ultimi è rispettata. I vecchi, inoltre, rappresentano un peso per le popolazioni nomadi, e quando il cibo scarseggia, o una situazione comunque difficile lo richiede, il loro abbandono - che equivale a una condanna a morte - è una pratica almeno tanto usata quanto l'infanticidio. In alcuni casi è lo stesso anziano che sceglie di separarsi dal gruppo e affrettare nella solitudine la propria morte. Ciò non significa che gli anziani non godano di rispetto e, finché un gruppo può permetterselo, di particolari attenzioni; anzi spesso vengono privilegiati nella spartizione del cibo.
Soltanto presso gli Aborigeni australiani si riscontra una forma di gerontocrazia che, combinandosi con un'accentuata subordinazione della donna, dà luogo a una gerarchia di relazioni sociali che vede al fondo le donne giovani, su cui hanno autorità gli uomini adulti e le donne anziane, e in cima gli uomini anziani, i quali dominano i giovani e le donne di qualsiasi età.
Per quanto riguarda i rapporti fra i sessi, esiste una disuguaglianza fra uomini e donne più o meno accentuata, ma sempre presente. La subordinazione femminile si esprime soprattutto nella divisione sessuale del lavoro, che annette valore sociale soltanto all'attività maschile di caccia e vieta alla donna l'accesso agli strumenti e ai compiti dell'uomo, e nella condizione di impurità che le è attribuita in relazione al suo ciclo biologico (tabù mestruali, di gravidanza, di parto). La società riconosce alla donna, qualunque sia il suo contributo economico, solo un ruolo riproduttivo che la confina in quell'ambito naturale da cui l'uomo, detentore esclusivo dell'oggetto culturale per eccellenza, l'arma, si è chiamato fuori, ponendosi come unico soggetto sociale (→ Società primitive).
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